L’utopia magiara del Paksi

Se c’è una data che ha contribuito a modificare il calcio e a generare lo sport globalizzato e commercializzato che conosciamo oggi, segnando un solco tra l’era nostalgica e quella moderna, quella è il 15 dicembre 1995.

Si tratta del giorno in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata con quella che è nota come Sentenza Bosman. Una pronuncia che ha determinato la rimozione di tutte le limitazioni preesistenti al trasferimento di calciatori appartenenti alle federazioni nazionali dei paesi dell’Unione Europea.

Oltre all’evidente vantaggio per le società più ricche e al ricorso meno frequente ai propri settori giovanili, la Sentenza Bosman ha determinato il crollo di una sorta di utopia nazionale.

Squadre costruite con soli calciatori locali, oggi, riuscirebbero ad essere competitive? Se poco tempo fa avremmo detto di no, oggi dall’Europa dell’Est sta fiorendo un germoglio che può dar nuova vita ad un calcio più autarchico.

 

In origine fu l’Athletic

Quando si parla di questo argomento è inevitabile partire dal caso più eclatante e longevo, quello dell’Athletic Club di Bilbao.

Nel 1912 viene promulgato lo statuto del club, che contiene una disposizione molto netta: nell’Athletic possono giocare solamente calciatori nati nella Euskal Herria, regione a noi nota come Paesi Baschi, ovvero di origine basca oppure cresciuti nelle giovanili di un club basco.

Tale limitazione sopravvive ancora oggi, con un peso sicuramente più rilevante. Dal 1912 e per i successivi ottanta anni, i trasferimenti di calciatori provenienti da altri paesi erano pochi ed il settore giovanile basco ha permesso di ridurre il gap che sarebbe stato generato dall’ulteriore limitazione autoimposta del mancato trasferimento di calciatori provenienti da altre regioni della Spagna.

La bacheca del club è di prim’ordine: 8 Liga, 3 Supercoppe e ben 23 coppe nazionali. Tuttavia, solo le Supercoppe del 2015 e del 2021 sono state vinte in epoca successiva alla Sentenza Bosman ed entrambe a seguito del raggiungimento della finale di Copa del Rey contro la squadra già vincitrice della Liga.

Nel 2012 c’è stato il momento più alto della storia recente degli Zurigorriak, la finale di Europa League: allenati dall’argentino Bielsa, i baschi hanno vinto il loro girone ed eliminato Lokomotiv Mosca, Manchester United, Schalke e Sporting Lisbona prima di cadere con un pesante 3-0 per mano dell’Atletico Madrid nella finale di Bucarest.

Un sogno sfumato che oggi appare difficilmente replicabile.

Paradossalmente, la coesistenza dei tre requisiti previsti dallo statuto ha determinato nel corso degli anni alcune circostanze apparentemente eccezionali che, in realtà, sono assolutamente in linea con lo spirito che da oltre cento anni anima l’Athletic Club.

Orgoglio basco che emerge con chiarezza da questa immagine

 

Eccezioni basche

L’Athletic infatti ha avuto calciatori non spagnoli in rosa: l’Euskadì contempla una piccola porzione della Francia pirenaica da cui proviene Bixente Lizarazu, campione del mondo con Les Bleus nel 1998.

Dalla Francia arriva anche Aymeric Laporte, oggi nazionale spagnolo ma reduce dalla trafila nelle nazionali giovanili francesi: nato e vissuto in Aquitania, le sue origini basche gli hanno aperto le porte delle giovanili del club di Bilbao e contestualmente garantito il pass per rappresentare il club.

Alcuni calciatori in possesso di doppia cittadinanza hanno finito per rappresentare altre nazionali, come nel caso di Fernando Amorebieta, nato in Venezuela da padre di Bilbao, o di Jonás Ramalho e Iñaki Williams.

Ramalho, angolano figlio di madre basca, è divenuto il primo calciatore di colore della storia dell’Athletic. Il secondo è stato Williams, nato e cresciuto in Euskal Herria da genitori ghanesi emigrati e primo marcatore di colore per i Lehoiak prima di optare per la nazionale del Ghana, a differenza del fratello minore Nico che gioca per le Furie Rosse.

I casi più eclatanti sono quelli del romeno Cristian Ganea, cresciuto nelle giovanili del Baskonia e dell’Indartsu, e del bosniaco Kenan Kodro, cresciuto nei rivali della Real Sociedad e nato a San Sebastián durante la militanza nel club di suo padre Meho Kodro.

Alcuni tifosi più rigidi e “puristi” hanno contestato anche la presenza in rosa di Fernando Llorente, basco ma nato a Pamplona. Il motivo del “tradimento” è la nascita nell’ospedale in cui lavorava la sorella della madre, in altra città.

In nessun caso, comunque, lo spirito identitario del club di una regione a forte tendenza separatista ha influito sulla carriera internazionale dei propri calciatori, che hanno, nel tempo, rappresentato la Roja.

Iñaki Williams, autentica leggenda dell’Athletic

 

Piacenza, orgoglio italiano

Anche il Bel Paese ha avuto il suo esperimento nazionalista, non per statuto ma per scelta societaria.

Ad inizio degli anni ’90, il Piacenza di Luigi Cagni inizia una crescita costante: promosso in Serie B nel 1991, appena due anni dopo la squadra emiliana raggiunge la Serie A per la prima volta.

Per premiare il gruppo che ha raggiunto questo traguardo e dare una connotazione unica alla squadra, il compianto presidente Leonardo Garilli decide di proseguire con un gruppo integralmente italiano.

Gli emiliani tuttavia retrocedono beffardamente e non senza polemiche: nel nefasto 1 maggio 1994 che ci ha portato via Ayrton Senna, il Piacenza ha già giocato l’ultimo turno col Parma, impegnato il 4 maggio nella finale di Coppa delle Coppe.

Il Milan, già campione d’Italia e con la testa alla finale di Champions League, affronta a San Siro la Reggiana impegnandosi relativamente: la Regia vince 1-0, si salva e condanna il Piacenza.

Ma Garilli non molla: i biancorossi tornano subito in A e vi rimangono per cinque stagioni, con un mix tra giovani interessanti e in rampa di lancio e giocatori più esperti, su tutti lo Zar Pietro Vierchowod.

Nel frattempo però le cose sono cambiate: Leonardo Garilli è morto nel 1996. Sostituito dal figlio Stefano, nel 2000 questi lascia al fratello Fabrizio per dissapori nella gestione societaria.

Nel 2001, dopo un solo anno di purgatorio, il Piacenza torna in A ma Fabrizio Garilli, in maniera molto meno romantica, vede nel progetto paterno un limite alla competitività: vengono acquistati i primi stranieri, Amauri e Matuzalém.

È la fine del Piacenza tricolore e ironicamente anche un grave colpo alla sua competitività: dopo la salvezza del 2002, nel 2003 gli emiliani retrocedono e non torneranno più in Serie A.

Un’esultanza del Piacenza tricolore

 

Berlusconi e il progetto naufragato

In tempi più recenti era stato nientemeno che Silvio Berlusconi a rilanciare questo progetto per il Monza, da poco acquistato durante la militanza in Serie C.

Le regole dettate in una dichiarazione del settembre 2018 parevano, però, più consone all’esercito che ad una squadra di calcio: non solo “giovani e italiani” ma anche “capelli in ordine, niente tatuaggi, barba o orecchini e correttezza in campo, i ragazzi dovranno essere un esempio”.

Che potesse essere una sparata più che una reale dichiarazioni di intenti lo si era capito quasi subito: il 2 ottobre 2018 arriva il primo colpo dell’era Berlusconi a Monza, il centrocampista Simone Iocolano rimasto svincolato dopo l’avventura al Bari. Segni particolari: un evidente tatuaggio sul braccio sinistro, decisamente in controtendenza rispetto alle asserite intenzioni del Cavaliere.

In rosa ci sono degli stranieri. Vabbè, se li è ritrovati, sicuramente i nuovi acquisti saranno tutti italiani, no? Beh, non proprio: a gennaio 2020 arrivano il portoghese Dany Mota e l’equatoguineano Josè Machin, quindi, con la promozione in Serie B, ecco Carlos Augusto, Kevin Prince-Boateng, Christian Gytkjaer.

Insomma, non esattamente un vero progetto nazionalista.

Carlos Augusto, uno degli stranieri acquistati da Berlusconi smentendo se stesso

 

Club autoctoni in giro per l’Europa

Alla luce di varie traversie, tra cambi di rotta o fallimenti dei club autoctoni, resistono ancora pochi club ai massimi livelli connotati da questa forte corrente identitaria al punto da rischiare di veder compromessa la propria competitività.

In Georgia, sebbene da quattro anni relegata in Erovnuli Liga 2 (la seconda serie) c’è il WIT Georgia, club di Tbilisi che ha scelto di essere rappresentato solo da calciatori georgiani a dispetto di un nome estremamente internazionale (WIT sta per World Innovation Technologies, come l’acronimo della società di import/export che detiene la proprietà del club).

Nel tempo, il WIT Georgia è stato capace di vincere due titoli nazionali (2004 e 2009) ed una coppa nazionale (2010), garantendosi qualche comparsata nei preliminari delle coppe europee.

Un altro club rimasto ligio ai propri ideali senza sacrificare la competitività è stato lo Sloga Jugomagnat, squadra macedone con sede a Skopje e vincitrice di tre campionati nazionali nel 1999, 2000 e 2001 e di tre coppe nazionali nel 1996, 2000 e 2004.

Nel 2010, tuttavia, lo Sloga è stato radiato e retrocesso d’ufficio in seconda serie per non essersi presentato in campo in due match consecutivi come forma di protesta per la rielezione del presidente federale Hadži-Risteski.

Ciò ha portato alla chiusura delle attività dello Sloga: oggi, dopo una fusione con l’Albarsa, il club ha preso il nome di KF Shkupi, squadra ai vertici del calcio macedone ma non più composta da soli calciatori locali.

Oltre all’Athletic Club, quindi, nel 2024 esiste solo una squadra di massima serie composta da soli calciatori locali. E si tratta di un club molto competitivo all’interno di un movimento in continua crescita: il Paksi.

Il WIT Georgia, ormai relegato da qualche anno in Erovnuli Liga 2

 

Sogno tutto magiaro

Il Paksi Sportegyesület, noto come Paksi SE, è un club ungherese fondato nel 1952, ormai da anni presenza fissa in NB I, la massima serie del calcio magiaro.

Promosso nel 2006, ha avuto il merito di trovare subito una dimensione definita, non rischiando mai di retrocedere e divenendo, in pochi anni, un club di medio-alta classifica, con il secondo posto del 2011 a rappresentare il miglior piazzamento di sempre nonché pass per la prima, storica partecipazione alle coppe europee.

Un cammino iniziato e concluso ai preliminari di Europa League ma comunque con due passaggi del turno a discapito di Santa Coloma e Tromsø, prima di cedere il passo agli Hearts.

Il tutto senza mai snaturare il proprio credo, quello di un club ideato per lanciare talenti nazionali senza ricorrere a calciatori di altri paesi.

Il calcio ungherese sta mostrando segni di crescita sia a livello di club, con il Ferencváros ormai presenza costante nei tabelloni delle coppe europee, che di competizioni riservate alle nazionali, con la selezione allenata dal CT italiano Marco Rossi che ha recentemente strappato il pass per la terza partecipazione consecutiva agli Europei, un record per i magiari.

Dal Paksi sono passati calciatori di buon livello e finiti in nazionale: su tutti spicca Barnabás Varga, attaccante che nel suo unico anno nel club ha messo a segno 29 gol in 36 presenze complessive, guadagnandosi la nazionale e la chiamata del Ferencváros, con cui ha segnato alla Fiorentina all’Artemio Franchi.

E se il movimento è in crescita, una squadra che si poggia proprio su quel movimento non può che spiccare il volo. Era solo questione di tempo per vedere il Paksi competere per il bersaglio grosso.

Il successo in casa del Tromsø, più grande successo europeo del Paksi

 

Bognár in stile Mourinho

La squadra allenata da György Bognár appare in maniera diversa rispetto a quanto i risultati possano dire: sicuramente non è il prototipo della corazzata né della squadra spettacolare.

Dopo 17 giornate su 33, il Paksi staziona solo al quinto posto sia per xG, con 1,53 xG a partita, che per xG concessi, con 1,36 xGA.

Un differenziale di +0,17 a match (terzo posto nella lega) ben distante dal livello mostrato dal Ferencváros, ampiamente primo in tutte e tre le graduatorie (2,06 xG contro 0,95 xGA per un differenziale di +1,11).

A livello realizzativo e di rating difensivo, si nota una overperformance rispetto agli xG, dal momento che il club di Paks ha il terzo miglior attacco e la terza miglior difesa.

L’atteggiamento tattico di Bognár ricorda quello di Mourinho al primo anno della sua esperienza alla Roma: il possesso viene lasciato costantemente nelle mani delle avversarie (possesso medio del 42,59%, solo una volta su 17 turni ha superato il 50%) ma vengono sfruttate delle ripartenze ficcanti, tanto da arrivare spesso al tiro e vincere alcune partite in goleada (5-2 in casa dello ZTE con il 47% di possesso ma con 26 tiri totali o 4-1 al DVTK con appena il 38% di possesso e 16 tiri).

Al tiro la squadra non è precisa, con 244 tiri totali di cui 91 nello specchio (solo il 37,29%) ma questo gioco speculativo porta ad una media di oltre 14 conclusioni a partita.

Altro punto di eccellenza è il fatto che il Paksi riesca a difendere il risultato di vantaggio nell’83% dei casi (la media della NB I è 63%).

La solidità è la chiave di volta del cammino in campionato.

Il tecnico del Paksi György Bognár

 

Sognare è possibile

Il campionato del Paksi non è iniziato in maniera roboante: nei primi quattro turni sono arrivati solo 5 punti, con tanto di tennistico 6-1 incassato dal Ferencváros. Di lì a poco però i ragazzi di György Bognár hanno preso consapevolezza nei propri mezzi, con sei vittorie e un pareggio nelle successive sette partite che hanno ridato piena convinzione alla squadra.

Il Paksi si è dimostrato una cooperativa del gol: a differenza dell’anno scorso, dove Varga segnava a raffica, quest’anno entrano nel tabellino in tanti, sebbene non raggiungendo cifre stratosferiche. I migliori marcatori della squadra infatti sono il fantasista 34enne Norbert Könyves ed il 31enne centrocampista József Windecker, entrambi a quota 6 reti.

La partita che ha sancito la definitiva consacrazione è stata quella del 10 dicembre contro il Ferencváros.

Una vittoria per 3-2 che, a dispetto dei numeri (32% di possesso palla, 11 tiri totali contro i 22 degli avversari), non è mai sembrata realmente in discussione dopo il doppio vantaggio maturato al quarto d’ora di gioco.

Il successo ha dato al Paksi un inatteso +4 sui più accreditati rivali e in città si è iniziata a respirare l’aria del grande evento.

Successo netto sul Ferencvaros: il sogno del Paksi è possibile

 

Come finirà la stagione?

Nel turno seguente, ultimo prima della sosta invernale di un mese e mezzo, il Paksi è caduto con un pesante 3-0 per mano del Fehérvár, terza in classifica.

Il vantaggio si è nuovamente ridotto, scendendo a +1 sul Ferencváros e +4 sulo stesso Fehérvár e la classifica dice 34 punti in 17 match, una media di due punti a partita che nello scorso campionato avrebbe garantito la vittoria del titolo.

Adesso c’è tempo di riorganizzare le idee e non solo. Dopo il match di inizio febbraio contro la Puskás Akadémia, quarta in classifica, il Paksi affronterà quattro delle ultime cinque in classifica, potendo anche capitalizzare il doppio impegno del Ferencváros, atteso da un playoff di Conference League non proibitivo contro l’Olympiacos.

A maggior ragione, se il club di Budapest riuscisse ad imporsi sui greci, per la capolista potrebbero aprirsi strade insperate, soprattutto in caso di conferma dell’ottima attitudine difensiva mostrata.

Sebbene il mercato cui la squadra può attingere sia più limitato di quello delle rivali, affiancare a Könyves un attaccante più prolifico del pur leggendario János Hahn (miglior marcatore di sempre del club e quarto per numero di presenze) potrebbe garantire l’aumento di pericolosità necessario a garantire una maggior efficacia e concretezza sotto porta, ad oggi unico vero limite del gioco speculativo di Bognár.

Dopo cinque anni di dominio del Ferencváros, oggi in Ungheria c’è una nuova contendente. Ed è un vero e proprio motivo d’orgoglio per il calcio locale.

Esultanza al gol di Könyves

 


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catenaccio

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.