Si giocano troppe partite: l’esempio di Mark Hughes

Gennaio 2024 ci ha portato in dote un calendario calcistico nazionale ed internazionale sempre più fitto, con alcune competizioni che determinano una variazione sul tema ed un aumento dei match rispetto al solito. I motivi sono i più disparati, dall’originaria stagionalità della Coppa d’Africa a quella necessaria causa rinvio e ricollocazione della Coppa d’Asia, fino ad arrivare agli interessi economici che hanno portato a disputare alcune supercoppe, come quella italiana, in Arabia Saudita e con un allargamento a quattro squadre.

Gli appelli degli addetti ai lavori, volti ad ottenere un calendario nazionale ed internazionale meno intasato e più armonico al fine di evitare infortuni e accrescere lo spettacolo, stanno diventando sempre più frequenti. Oltre a Guardiola e Sarri, che da tempo e coerentemente lamentano un numero eccessivo di partite, nel corso di questa stagione si è aggiunto anche Klopp alla lista di allenatori preoccupati per la salute dei propri calciatori.

Il tutto alle porte di una stagione, la 2024-25, che potrebbe prevedere fino a 70 partite per alcune squadre di prima fascia considerando l’impegno nel nuovo Mondiale per club.

Per contro, il popolo degli appassionati di calcio si divide tra chi condivide le preoccupazioni degli allenatori e i “populisti” che mettono da parte l’empatia e minimizzano l’allarme per la salute dei calciatori ricordando che sono lautamente retribuiti per tirare quattro calci ad un pallone e anche che in generale oggi i calciatori “non sono più quelli di una volta”.

Chi ti aspetteresti di non sentire mai lamentarsi del calendario fitto, probabilmente, è Mark Hughes. E non solo perché attualmente non allena ma perché, a proposito della tempra dei calciatori di un tempo, detiene un record incredibile.

 

La carriera di Mark Hughes

Mark Hughes, classe 1963, è stato un ottimo attaccante, dalle spiccate doti acrobatiche e dalla carriera molto longeva e di alto livello, nonché uno dei più influenti calciatori della storia del Galles, tanto da guadagnarsi, a carriera conclusa, la nomina a cavaliere dell’Order of the British Empire.

A livello di club, ha giocato con le maglie di Manchester United, Barcellona, Bayern Monaco, quindi, dopo un ritorno ai Red Devils, ha difeso i colori di Chelsea, Everton e Blackburn Rovers. In carriera ha vinto due Premier League, tre FA Cup, tre Charity Shields, tre Coppe di Lega inglese, una Supercoppa Europea, due titoli come miglior calciatore del campionato inglese e, soprattutto, due Coppe delle Coppe, competizione in cui è stato grandissimo protagonista.

Nel 1991, infatti, una sua doppietta da ex di turno ha deciso la finale, con la vittoria per 2-1 del Manchester United sul Barcellona, mentre nel 1998 il gol del decisivo 3-1 al 76’ in semifinale ha portato il Chelsea alla finale, poi vinta contro lo Stoccarda, infrangendo il sogno del Vicenza di Guidolin.

Dal 1999, inoltre, si è dimostrato uno stakanovista, portando avanti parallelamente la carriera da giocatore e quella di CT della nazionale gallese, in cui da calciatore ha disputato 72 partite segnando 16 gol, uno dei quali, all’esordio, ha regalato ai Dreigiau una storica vittoria per 1-0 sull’Inghilterra. Dopo aver allenato anche Blackburn, Manchester City, Fulham, Queens Park Rangers, Stoke City, Southampton e Bradford, Hughes al momento è senza contratto. Ma la storia di oggi parla proprio di nazionale e di quello stakanovismo poco sopra accennato. Portiamo quindi indietro le lancette e iniziamo un viaggio nel tempo, tornando al 1987.

La Coppa delle Coppe del 1991, vinta grazie ad una sua doppietta, tra le mani di Hughes

 

1987, a caccia della svolta

Nel mercato di novembre della stagione 1987-88, Hughes, fuori rosa da sei mesi nel Barcellona, si trasferisce in prestito al Bayern Monaco. La squadra di Jupp Heynckes, reduce da tre titoli nazionali consecutivi, ha intenzioni bellicose: vuole vincere tutto e decide di potenziare il suo attacco proprio con Hughes. Spoiler: non solo Heynckes non riuscirà in quel triplete che invece otterrà sulla stessa panchina ben 26 anni dopo, ma addirittura il Bayern chiuderà la stagione senza vincere nulla.

Anche per la nazionale gallese il 1987 è un anno importante: i Dragoni si stanno giocando la prima, storica qualificazione agli Europei, che si disputeranno l’estate seguente. Il girone è equilibrato e con un calendario irregolare: Danimarca, Cecoslovacchia e Finlandia le avversarie, si qualifica solo la prima (gli Europei, all’epoca, erano riservati a sole 8 nazionali). Pur privo di Hughes nella fase iniziale del girone, il Galles si aggrappa al suo compagno di reparto Ian Rush e nelle prime tre partite, in epoca di vittoria da 2 punti, raccoglie 4 punti, frutto di due pareggi (1-1 in Finlandia, stesso risultato in casa con la Cecoslovacchia) intervallati dal rotondo 4-0 rifilato sempre ai finlandesi.

Hughes torna in scena a settembre 1987, appena approdato al Bayern. E lo fa col botto, gol decisivo nell’1-0 alla Danimarca. Che, un mese dopo, rende pan per focaccia ai gallesi, vincendo 1-0 il retour match casalingo. La classifica, che vede Danimarca e Finlandia aver già concluso i match a loro disposizione, recita: Danimarca 8, Galles 6, Cecoslovacchia 5, Finlandia 3. Manca un solo incontro, da disputarsi a Praga l’11 novembre 1987: Cecoslovacchia-Galles. Alla luce della differenza reti, con una vittoria il Galles sarebbe qualificato agli Europei. Sarà una giornata storica.

Hughes in azione con la casacca della sua nazionale

 

11 novembre 1987, doppio turno

L’esordio col Bayern arriva il 7 novembre, contro il Bayer Uerdingen: subito titolare, subito gol. C’è un problema, però. L’11 novembre anche il Bayern ha un match importantissimo, rematch del secondo turno di DFB-Pokal contro il Borussia Mönchengladbach. Il Bayern ha investito su di lui a stagione già iniziata e non è disposto a rinunciarci. Serve una soluzione creativa ed il general manager Hoeneß la trova: il Galles gioca nel pomeriggio, alle 17.30, il Bayern Monaco alle 20.15. Lo scarto di tempo è poco ma la Cecoslovacchia è vicina: un autista raccoglierà Hughes al termine del match in nazionale portandolo all’aeroporto. Un jet privato coprirà la tratta da Praga a Monaco, dove proprio Hoeneß sarà pronto a sgasare con la sua Porsche verde verso l’Olympiastadion.

Hughes non fa storie e anzi è ringalluzzito dall’importanza datagli dal club. Giocherà due volte nello stesso giorno. Alle 17.30, Hughes scende in campo per un match che può consegnare lui e i compagni alla storia. Non sarà così, la Cecoslovacchia vince 2-0 e manda la Danimarca agli Europei.

Ma non c’è tempo di piangere: senza neanche farsi la doccia, Hughes parte alla volta di Monaco. È in distinta come panchinaro ma, al fischio d’inizio, ancora non è allo stadio. Arriva a fine primo tempo, intimamente spera non ci sia bisogno di lui. Anche stavolta non va come il gallese avrebbe sperato, al 57’ Thiele, già autore del gol nei supplementari che ha mandato l’incontro al rematch, firma il vantaggio degli ospiti. Al 63’ Heynckes lo manda in campo e dopo 10’ Lothar Matthäus firma l’1-1. Supplementari anche nel rematch. Alla fine, il Bayern vince 3-2, Hughes non segna ma entra ugualmente nella storia: in un giorno disputa due partite ufficiali, per un totale di 147’.

Highlights del match tra Cecoslovacchia e Galles

 

Un monito, ma per chi?

A prima vista, la storia potrebbe far pensare ad un’argomentazione contraria a quei calciatori che lamentano l’eccessivo numero di partite. Tuttavia, sono proprio le parole di Hughes, dapprima nella sua autobiografia, quindi durante un intervento in un podcast dedicato al Manchester United, a contraddire tale assunto, rivelando l’inefficacia di quanto accaduto in quel lontano giorno di novembre di più di 36 anni fa.

Oltre a sottolineare la pericolosità dell’eccesso di velocità nei tratti stradali percorsi, soprattutto quelli a bordo di una Lada attraversando la campagna cecoslovacca, l’ex CT del Galles afferma come non fosse dell’umore né nelle condizioni adeguate per giocare una partita dopo aver dato più del massimo per il Galles e aver raccolto un’amara delusione. E, sebbene fosse stato acclamato dai suoi nuovi tifosi all’arrivo nello stadio e durante il riscaldamento nell’intervallo, nel corso del match non ha praticamente toccato palla, finendo sui titoli di giornali senza avere alcun merito ai fini del risultato, in maniera eccessiva ed irriguardosa nei confronti del compagno Michael Rummenigge, che aveva deciso l’incontro del Bayern con una doppietta.

In sostanza, afferma Hughes, i calciatori devono poter giocare una partita solo quando siano effettivamente in grado ed in condizione di farlo, senza forzature che potrebbero essere dannose per la loro salute e anche per i risultati della loro squadra. Un monito che, a sorpresa, non va in favore del credo nostalgico di chi minimizza l’attitudine al sacrificio dei calciatori moderni ma, bensì, porta nello schieramento dei professionisti che lamentano un calendario bulimico anche la voce di un calciatore che del sacrificio e dello stakanovismo è stato, forse, una delle voci e bandiere più influenti.

Rovesciata di Hughes con la maglia del Bayern

 


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Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.