L’Albania non ha paura di nessuno

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Underdog s. f. e m. Chi, partecipando da sfavorito a una competizione, sportiva o extra sportiva (per es., elezioni politiche), riesce a sovvertire i pronostici.

Questa è la definizione che il vocabolario Treccani dà di un termine che, pur se non di origine italiana, abbiamo imparato ad utilizzare in molti aspetti della nostra vita. Sentirsi perennemente svalutati, messi in secondo piano, poco presi in considerazione. Ma l’underdog è tale proprio perché, come abbiamo già detto, ribalta ogni tipo di pronostico, riscrivendo il proprio destino.

Lo scrittore e drammaturgo siciliano Giovanni Verga nel suo periodo verista tratta il tema della sopravvivenza, dello scalare le gerarchie sociali, del provare a cambiare la propria condizione di vita, riscrivendo il proprio destino. Ma come ben sappiamo, i personaggi verghiani (dai Malavoglia fino a Mastro-don Gesualdo) non hanno molta fortuna, proprio perché l’autore siciliano è convinto che quando si nasce in una determinata condizione sociale non bisogna provare a cambiare il proprio destino, perché ciò porterà solo tristezza e fallimento: se nasci in un determinato modo è così e basta, non ha senso provare a cambiare un qualcosa di immutabile, in barba al positivismo di quegli anni, al progresso, a quello che di lì ad un paio di decenni sarà “il sogno americano”.

Ma sappiamo bene che invece il mondo dello sport, e più nello specifico quello del calcio, è pieno di sfavoriti partiti da zero e arrivati al sogno ad occhi aperti, proprio come l’Albania: nazionale nata nel 1930 che fino al 2016 non era mai riuscita ad ottenere né una qualificazione europea né tantomeno mondiale, rimanendo isolata ai margini del calcio d’élite.

 

Mani azzurre sul sogno

Un popolo di umili lavoratori, quello albanese. Che nel corso della sua lunga e tormentata storia ha sempre dovuto fronteggiare difficoltà importanti: dalla dominazione turco-ottomana all’indipendenza raggiunta nel 1912, passando per i conflitti mondiali e il regime comunista di Enver Hoxha, concludendo con le atroci sofferenze della guerra dei Balcani. Un Paese che è dovuto ripartire da zero proprio come la sua gente, emigrata nelle parti più disparate del mondo, pronta a rifarsi una nuova vita, senza però mai abbandonare quell’amore intrinseco per la madre patria, perché in fondo non ci si deve mai scordare delle proprie origini.

Questo spirito di appartenenza è il fuoco che arde all’interno di ogni singolo albanese che si accinge a guardare una partita della nazionale, con la speranza che prima o poi il calcio possa in qualche modo regalare una soddisfazione importante, come ad esempio la partecipazione ad una competizione internazionale. Sogno che prende forma nel 2016 per mano di un italiano, uno che potremmo definire a sua volta come underdog, Gianni De Biasi: un’onesta carriera da calciatore alle spalle e un curriculum da allenatore di tutto rispetto in piazze come Torino, Udinese e Brescia tra le altre. Ci si affida al Made in Italy dunque, che in fatto di allenatori non è quasi mai una scelta sbagliata.

Il corso targato De Biasi inizia nel 2011, apparentemente senza troppe pretese; una nazionale con una tradizione calcistica quasi nulla, che non sembra avere a disposizione una generazione di campioni che possano sovvertire il ciclo degli eventi. Dopo un quinto posto nel girone di qualificazione dei Mondiali brasiliani, il debutto alle qualificazioni per Euro 2016 supera le più rosee aspettative: i ragazzi di De Biasi trionfano in Portogallo per 1-0, grazie ad una splendida volée firmata Bekim Balaj, alla sua prima rete in Nazionale. Ai più potrà sembrare un caso isolato, una di quelle cose che a volte nel calcio capitano, perché si sa, il pallone è rotondo. Ma probabilmente in quell’esatto momento il seme del miracolo sportivo inizia piano piano a germogliare nella mente di De Biasi e dei suoi uomini.

I tre punti sono pesanti, ma il girone è comunque proibitivo: Portogallo, Danimarca, Serbia e Armenia da fronteggiare, le Aquile a due teste sulla carta sono la quarta forza del girone. Eppure la vittoria dà fiducia e morale ad un gruppo che è sprovvisto di stelle, primedonne e fuoriclasse ma che proprio per questo gioca con la compattezza che si richiede ad una squadra chiamata a un’impresa: ognuno dà il 110% per il compagno, lottando tutti insieme. Un’unione di intenti per riscrivere la storia di una nazione perennemente sfavorita.

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Il bel tiro di Balaj supera Rui Patricio: l’Albania fa il colpaccio in terra lusitana

 

Tutti insieme per la storia

Onesti mestieranti dunque ma anche uomini di assoluta esperienza che abbiamo imparato a conoscere nel nostro campionato, come Lorik Cana (capitano alla sua last dance con la nazionale), Etrit Berisha, Migjen Basha e Ledian Memushaj, che costituiscono l’ossatura del team, ai quali si aggiungono i vari Taulant Xhaka (fratello maggiore del più celebre Granit, che è appena diventato campione di Germania col Leverkusen), Abrashi, Roshi, Lenjani e Agolli. Il successo col Portogallo non è un caso isolato, perché nella giornata successiva arriva un pari con la Danimarca, che proietta i rossoneri a quota 4 punti. Solo a qualificazioni ormai inoltrate arriverà il verdetto dei 3 punti a tavolino per i disordini della gara di andata contro la Serbia, una stangata per gli eterni rivali, una manna dal cielo per le Aquile.

Quando non si hanno a disposizione fenomeni assoluti bisogna fare di necessità virtù e questo il CT italiano lo sa bene, dunque si affida al più classico dei 4-3-3: squadra compatta in blocco basso pronta a ripartire con due ali veloci ma allo stesso tempo capace di cercare soluzioni offensive come il lancio lungo per la torre o il tiro da fuori. Eppure ad un certo punto qualcosa sembra incepparsi, i ragazzi e il popolo intero sentono il peso della storia e le gambe iniziano a tremare: dopo la vittoria per 2-1 ai danni dell’Armenia, arriva un buon pareggio in casa della Danimarca, poi due sconfitte consecutive, entrambe maturate nei minuti finali, entrambe dolorose, contro Portogallo e Serbia, rispettivamente per 1-0 e 2-0.

Quello che sembrava un sogno rischia di tramutarsi in incubo proprio sul più bello. Sarebbe una beffa indescrivibile, soprattutto in un momento del genere, quando ormai non si aspetta altro che festeggiare. Ma la vittoria finale per 3-0 ai danni dell’Armenia e la conseguente sconfitta della Danimarca col Portogallo regala ai rossoneri la prima storica qualificazione ad un campionato europeo. La spedizione si conclude con una sola vittoria conquistata nel girone A, un successo a sua volta storico, il primo in una manifestazione internazionale, per 1-0 ai danni della Romania, con gol di Armando Sadiku. Ma in fondo va bene anche così, perché si sa che l’importante in questi casi non è vincere ma partecipare. Per il popolo albanese il sogno si era già realizzato con l’approdo alle fasi finali, tutto il resto era un dolce e piacevole contorno alla già ricca pietanza assaporata con gusto.

Lo storico gol di Sadiku che ha regalato alle Aquile il primo successo di sempre in una grande manifestazione internazionale

 

Nuova consapevolezza, nuova qualificazione

Il CT italiano lascia l’incarico nel 2017, forse conscio del fatto che il suo ciclo fosse ormai giunto al termine, anche se a noi piace vederlo come un maestro che accompagna i propri allievi nella crescita, per poi abbandonarli quando ormai hanno imparato a stare in piedi e camminare con le proprie gambe: il lavoro fatto da De Biasi consegna consapevolezza ad un gruppo ed una nazione intera. Consapevolezza che tornerà utile otto anni dopo, con la qualificazione ad Euro 2024: nuovi calciatori, nuovo CT, nuovi modi di fare, nuovo calcio ma stesso identico spirito di rivalsa, perché in fondo un popolo come quello albanese non smette mai di essere underdog.

Il CT questa volta è Sylvinho, allenatore giovane ma con alle spalle un pedigree invidiabile: carriera da calciatore più che onesta, passata tra Corinthians, Arsenal, Celta Vigo, Barcellona di Guardiola (con cui vincerà 2 Champions League) e Manchester City, da aggiungere alle esperienze maturate dopo il ritiro dal calcio giocato: vice di Roberto Mancini all’Inter dal 2014 al 2016, sarà poi collaboratore tecnico di Tite alla guida della Seleçao. Ma visto che questa è una storia di underdog, anche l’allenatore brasiliano non è da meno: mai protagonista, ha sempre ricoperto il ruolo dell’umile gregario, un po’ come tutti i suoi nuovi giocatori. Due sole esperienze come allenatore su una panchina, finite entrambe con un esonero per gli scarsi risultati ottenuti (rispettivamente con Olympique Lione e Corinthians).

La chiamata della federazione albanese è inaspettata, potremmo definirla quasi esotica, una scommessa che si rivelerà azzeccatissima: lui non ha nulla da perdere e neanche il gruppo, che parte da sfavorito assoluto in un girone in cui figurano Polonia e Repubblica Ceca come Nazionali più papabili alla qualificazione diretta. Si parte quindi con aspettative basse, si punta come massimo al terzo posto, per cercare di entrare nella storia passando da una porta secondaria. Ne viene fuori una cavalcata trionfale, che porterà le Aquile a due teste al primo posto solitario del girone, risultato storico per la nazionale e per l’intero movimento calcistico albanese.

Le vittorie ottenute con la Polonia e la Repubblica Ceca sono il manifesto di quello che Sylvinho è riuscito ad inculcare nella testa dei giocatori: 4-2-3-1 come modulo di partenza, difesa solida che concede poco, due mediani di rottura ma allo stesso tempo di palleggio che possano imbeccare la batteria di trequartisti qualitativi alle spalle della punta. Spiccano tra gli interpreti di maggior rilievo Djimsiti, Ismajli, Asllani, Bajrami, Ramadani e Uzuni. Partito con aspettative bassissime, il CT brasiliano ha riscritto la storia grazie alla forza delle idee. Tantissimi i giocatori convocati, selezionati dai campionati più disparati, ragazzi che aspettavano questa occasione da tutta la vita, proprio come Jasir Asani, pescato dal campionato coreano e che alla soglia dei 30 anni si è ritrovato ad essere l’eroe di una nazione intera.

Uno staff nel quale spicca una figura come quella di Zabaleta, ex terzino perno del Manchester City e della nazionale argentina, che ha aiutato il gruppo grazie ad una mentalità vincente e l’applicazione di un metodo di lavoro efficace basato sul sacrificio. Uomini prima che calciatori, ragazzi che sono maturati durante le esperienze coi propri club fino a diventare delle vere e proprie colonne portanti del movimento (Berisha, Djimsiti e Hysaj su tutti) ma anche nuove leve, come Asllani, Bajrami, Broja e Mitaj, pronti a raccogliere il testimone e rendersi portavoce di una generazione promettente che punta a regalare nuove soddisfazioni ad un popolo che, sportivamente, ne ha sempre avute poche.

Il destino è beffardo, questo si sa, e nonostante la posizione da testa di serie al sorteggio per Euro 2024, la dea bendata non ha assistito la banda di Sylvinho, finita in un girone di ferro: Italia campione in carica, Spagna e Croazia, difficile fare peggio. Ma chissà che questa Nazionale eternamente sfavorita non possa regalare ai suoi tifosi un’ulteriore impresa da underdog. La Cenerentola è pronta a ballare nel valzer delle grandi, questa volta senza paura di perdere la sua scarpetta di cristallo.

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La nazionale albanese festeggia sul campo la qualificazione ad Euro 2024

 


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