Molte volte sport e politica sono stati co-protagonisti di vicende controverse e a modo loro singolari. Ce lo dimostrano ad esempio i Mondiali di calcio del 1934 o le Olimpiadi di Berlino del 1936. Ci sono però anche una squadra ed una competizione iridata più vicine ai nostri tempi che in questo senso hanno fatto storia: è il caso del rapporto tra lo Zimbabwe e il Mondiale di cricket del 2003.
Cricket: una tradizione secolare
La nascita del cricket nella sua forma più rudimentale parrebbe risalire addirittura al XIV secolo nell’India settentrionale, sebbene le prime citazioni ufficiali sulla disciplina siano datate 1588. Le prime partite si disputarono al termine del XVII secolo e il cricket divenne rapidamente lo sport nazionale inglese, espandendosi poi in tutto l’impero coloniale britannico fino ad entrare nel programma olimpico del 1900. La globalizzazione definitiva del cricket avvenne però dopo la Seconda guerra mondiale in seguito all’istituzione del Commonwealth.
In alcuni dei suoi territori infatti – Australia, Bangladesh, Galles, Indie Occidentali Britanniche, Nuova Zelanda, Pakistan, Sri Lanka, Sudafrica, e Zimbabwe – il cricket è entrato nel novero degli sport principali, ragion per cui nel corso del tempo, insieme ad Afghanistan, Inghilterra e Irlanda, questi paesi sono diventati membri a pieno titolo dell’International Cricket Council (ICC), organo fondato nel 1909 che definisce le norme del gioco, si occupa dell’organizzazione dei tornei internazionali e regola i rapporti tra le federazioni.
Un’antica raffigurazione del cricket alle sue origini
Ma come funziona il cricket?
Nel cricket il campo – di forma ovale o rettangolare – è delimitato da una corda poggiata sul terreno denominata boundary. Al centro di esso si trova il pitch, vale a dire una corsia lunga 22 metri e larga 3 che rappresenta l’area di lancio, ai cui estremi sono posti tre pali che formano il cosiddetto wicket. In ogni frazione di gioco, denominata inning come nel baseball, ci sono 11 giocatori impegnati nel lancio della palla e nella difesa del campo contro due battitori che, in caso di eliminazione, vengono sostituiti da un compagno di squadra fino ad arrivare alla decima eliminazione.
Per ottenere un punto (run), il battitore corre verso il lato opposto del pitch dopo aver colpito la palla e, al contempo, il compagno posizionato sulla base individuata dall’altro wicket corre verso la linea di battuta (batting crease). Entrambi devono toccare con la mazza il terreno oltre il pitch e ogni volta che i due si scambiano di base si ottiene un punto. Se gli avversari riescono a rilanciare la palla ad un giocatore denominato wicket-keeper prima che il battitore completi la corsa, questi viene eliminato. Se la palla raggiunge la boundary senza essere recuperata si assegnano 4 punti, aumentati a 6 nel caso in cui la palla non tocchi terra prima di oltrepassare la corda di delimitazione.
Terminato un inning, le squadre si invertono e chi si trova in battuta durante l’ultimo inning ha un preciso numero di run da raggiungere: in caso di successo, la gara termina automaticamente. Per vincere però, oltre a fare più punti degli altri, occorre eliminare tutti gli avversari negli innings disponibili. La fase di lancio inoltre si divide in over e, in ognuno di essi, ci sono sei lanci effettuati ogni volta da un estremo diverso del pitch, specificando che nessuno può lanciare per due over consecutivi.
Un pitch delimitato da due wicket, il “luogo del delitto”
Ruoli in campo e formule di gioco
Nel cricket ci sono cinque diverse posizioni che un giocatore può ricoprire.
Battitore: colui che è posizionato sulla linea di battuta ed è chiamato a colpire la palla. A seconda della strategia adottata, i battitori effettuano colpi difensivi per non essere eliminati oppure colpi aggressivi per cercare di segnare un punto.
Lanciatore: il giocatore che lancia la palla. Può essere un Fast Bowler, specializzato nei lanci veloci, oppure uno Spin Bowler, che fa della capacità di imprimere effetto alla palla la sua caratteristica principale.
Fielder: colui che recupera le palle battute al fine di limitare il numero di corse subite. Il suo obiettivo è anche quello di eliminare i battitori avversari effettuando, quando possibile, una presa al volo.
Wicket-Keeper: uno speciale fielder che sta dietro al wicket del battitore durante il gioco. Deve fermare qualunque palla passata oltre il battitore e, date le sue mansioni, è ritenuto il giocatore più importante.
Esiste, inoltre, una doppia formula che distingue la tipologia di partite:
First Class Cricket: gli incontri disputati con questa formula durano dai tre ai cinque giorni e ogni squadra dispone di due turni di battuta e altrettanti di lancio, mentre l’inning si conclude solo con l’eliminazione di dieci battitori avversari. La formula principale è il Test Cricket, giocato però solo dalle nazionali dell’ICC.
Limited overs cricket: caratterizzata da innings con un numero di over limitato, le gare che rientrano in questa categoria fanno parte della List A Cricket, una sotto-categoria la cui formula più importante è la One Day International. In questo caso ogni squadra ha a disposizione un solo inning su un massimo di 50 overs ed è proprio questo il formato utilizzato per i Mondiali.
Un Wicket-Keeper, giocatore determinante per la difesa
La situazione dello Zimbabwe
Tra tutte le Coppe del Mondo di cricket, che si disputano dal 1975, quella del 2003 merita più di altre di essere raccontata. L’organizzazione dell’ottava edizione del torneo venne affidata al Sudafrica ma alcune partite del girone si disputarono anche in Kenya e Zimbabwe. Paese che nel corso della competizione sarebbe diventato protagonista di molte polemiche. In Zimbabwe, infatti, la situazione geopolitica era tutt’altro che rosea. Il governo guidato da Robert Mugabe, in origine primo ministro e dal 1987 presidente, nei primi anni di potere attuò riforme economiche volte a migliorare la qualità della vita della popolazione.
Tuttavia, con il passare del tempo quello che era un presidente si trasformò in un dittatore. Con l’avvento di un governo presieduto da un nero, la parte bianca della popolazione dello Zimbabwe – che possedeva una grandissima fetta dei terreni agricoli del paese – iniziò ad emigrare all’estero, in particolare in Sudafrica, Stati Uniti e Gran Bretagna. A partire dal 1997 il governo mise in atto una vera e propria persecuzione nei confronti della restante minoranza bianca, avvalendosi dell’appassionato quanto cruento contributo delle bande armate di Chenjerai Hunzvi – presidente della Zimbabwe Liberation War Veterans Association – che assalirono, occuparono ed espropriarono imprese e fattorie di proprietà bianca. La riforma agraria del 2000, infine, portò alla confisca di gran parte dei possedimenti agricoli bianchi, pari al 70% della terra coltivabile dello Zimbabwe.
Alla luce di questa situazione, presto arrivarono i primi problemi legati al torneo: i governi della Gran Bretagna e dell’Australia, ad esempio, consigliarono alle proprie delegazioni ed ai giocatori di non partire per le rispettive gare in Zimbabwe per tutelare la loro sicurezza. La squadra inglese seguì il consiglio e di conseguenza perse per forfait il match contro la squadra di casa. L’Australia, dal canto suo, decise di onorare la competizione e vinse la gara disputata nella città di Bulawayo. Ma la richiesta dei due governi si sarebbe rivelata solo un assaggio di ciò che sarebbe accaduto più avanti. Un atto rivoluzionario che ha un nome e due protagonisti ben precisi.
Robert Mugabe, da presidente eletto a dittatore e oppressore dei diritti civili
Black Armband Protest
L’idea di una protesta contro i soprusi del governo di Mugabe nacque dal giocatore dello Zimbabwe Andy Flower, che chiese supporto ad un suo compagno di squadra. Non uno a caso, ma Henry Olonga, primo giocatore di colore – nonché il più giovane – della storia della nazionale di cricket dello Zimbabwe.
La scelta di un bianco e un nero insieme nella protesta avrebbe garantito maggior forza al messaggio da lanciare. I due giocatori, dopo aver scartato l’idea di ritirarsi dal torneo, si rivolsero a David Coltart, avvocato e membro fondatore del Movement for Democratic Change che, oltre a suggerirgli di indossare fasce nere al braccio come simbolo di protesta, aiutò i due a comporre una dichiarazione. Il comunicato, conosciuto come “Lamento per la morte della democrazia in Zimbabwe”, venne rilasciato poco prima del match di esordio contro la Namibia il 10 marzo 2003 e così recitava:
Date le circostanze, abbiamo deciso di indossare una fascia nera al braccio per tutta la durata della Coppa del Mondo. Così facendo lamentiamo la morte della democrazia nel nostro amato Zimbabwe. Così facendo richiediamo silenziosamente ai responsabili di fermare la violazione dei diritti umani in Zimbabwe. E così facendo, preghiamo perché le nostre piccole azioni possano aiutare a restituire sanità e dignità alla nostra nazione.
L’iniziativa riscosse grande successo tra il pubblico, ma la risposta degli organi di governo fu ben diversa. Il Ministro dell’Informazione Jonathan Moyo definì Olonga “uno zio Tom con la pelle scura e la maschera bianca”. I vertici governativi accusarono i media britannici di aver forzato i due giocatori, perché a dire dei connazionali “un vero zimbabwese non avrebbe mai accettato di aderire a qualcosa di simile”. Olonga e Morgan Tsvangirai, presidente del già menzionato Movement for Democratic Change, furono accusati di alto tradimento, un reato punibile con la condanna a morte. Il Takashinga Cricket Club, la squadra di Olonga, licenziò il giocatore con l’accusa di aver violato il codice etico del club portando all’interno di un campo sportivo questioni politiche, atteggiamento da sempre osteggiato dall’ICC.
Opposte invece furono le reazioni internazionali a riguardo: BBC e Daily Telegraph elogiarono l’azione dei due giocatori e criticarono aspramente l’ICC. Anche il capitano inglese Nasser Hussain disse che Flower e Olonga avevano dimostrato di essere grandi uomini per quanto messo in atto.
Andy Flower in campo con la sua fascia nera al braccio
L’esito del torneo
Il Mondiale del 2003 era suddiviso in due gruppi da 7 squadre: Australia, India, Inghilterra, Namibia, Olanda, Pakistan e Zimbabwe nel gruppo A; Bangladesh, Canada, Kenya, Indie Occidentali, Nuova Zelanda, Sri Lanka e Sudafrica nel gruppo B. Al termine dei due gironi all’italiana a partita secca, le prime tre classificate di ciascun gruppo accedevano a un ulteriore raggruppamento all’italiana da 6 squadre detto Super Six. A questo punto ogni squadra avrebbe affrontato solo le squadre provenienti dall’altro girone e, in base ai punteggi ottenuti sia nella prima fase che nel Super Six, le quattro migliori classificate si sarebbero sfidate in una semifinale incrociata: la prima contro la quarta e la seconda contro la terza. Le due vincenti, ovviamente, avrebbero giocato la finalissima.
Dal gruppo A arrivarono al Super Six l’Australia campione in carica, la fortissima India e lo stesso Zimbabwe, qualificato a discapito proprio dell’Inghilterra, sconfitta a tavolino per il forfait sopracitato, e del Pakistan finalista dell’edizione precedente. Nel gruppo B invece si qualificarono il Kenya, la Nuova Zelanda e lo Sri Lanka. All’atto finale giunsero l’India e l’Australia e, come prevedibile, quest’ultima vinse senza troppi problemi riconfermandosi campione del mondo.
Gli highlights della finale tra l’India e i campioni dell’Australia
Tagliati fuori dal proprio Paese
Ma come si concluse il torneo per i due atleti? Olonga fu scartato per ben 6 partite nel corso della manifestazione – secondo alcuni a causa della sua scarsa condizione fisica, secondo la maggioranza a causa della sua protesta – mentre Flower fu ritenuto indispensabile e venne schierato regolarmente, anche se la sua presenza non bastò. Giunto al Super Six, infatti, lo Zimbabwe fu sconfitto da Kenya e Sri Lanka e venne eliminato.
Tuttavia e com’è ovvio, il risultato sportivo passò in secondo rispetto a ciò che accadde in seguito: una volta terminato l’evento, Flower si ritirò dal cricket internazionale. Olonga invece, oltre a ritirarsi dalla Nazionale, visse per un mese a Johannesburg e ottenne un permesso di lavoro che gli avrebbe consentito di giocare per un club inglese. Gli fu infine concesso asilo nel Regno Unito e, come il suo amico Andy Flower, non tornò mai più in Zimbabwe.
Un finale triste e ingiusto per due giocatori, ma prima di tutto due uomini, che con grande forza d’animo e spirito di iniziativa provarono a caricarsi sulle spalle il peso di un’intera nazione, nel tentativo di far sì che le cose, in qualche modo, potessero davvero cambiare.
I due ribelli: eroi per molti, reietti per altri
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