In un calcio in cui sempre più spesso le trattative di calciomercato e i procuratori la fanno da padroni, legarsi a una squadra di un Paese diverso dal proprio per cinque anni non è così scontato. Chris Smalling lo ha fatto con la Roma ma in questo lasso di tempo ha vissuto molte vite calcistiche, dallo scetticismo all’acclamazione e ritorno, fino al definitivo addio di qualche giorno fa. Un saluto arrivato con una dichiarazione d’amore sui social ma senza il consenso popolare che avrebbe meritato, dopo essersi dimostrato uno dei migliori difensori dell’epoca recente giallorossa e forse, a tratti, dell’intera Serie A.
Tutte le strade portano a Roma
La storia di Christopher Lloyd Smalling in giallorosso inizia nel 2019 quando, partito dalla settima serie inglese nel Kent e arrivato a convincere Sir Alex Ferguson fino a vestire per nove anni la casacca del Manchester United, sulla sua strada ha trovato Ole Gunnar Solskjær, all’epoca neo-allenatore dei Red Devils chiamato a sostituire José Mourinho – che ha creduto in lui e con cui ha vinto un’Europa League da protagonista – e non esattamente un estimatore del centrale di origini giamaicane. Con l’arrivo di Harry Maguire, infatti, Smalling diventa un esubero, sebbene l’ingaggio piuttosto alto scoraggi i potenziali acquirenti.
Il suo destino si scrive a circa 1.700 chilometri di distanza, a Roma, dov’è in corso una rivoluzione: la stagione 2018-19 è stata fallimentare e si è conclusa con l’esonero di Eusebio Di Francesco e, soprattutto, con il polemico addio di Monchi, arrivato per rivoluzionare la Roma dopo i cinque successi in Europa League al Siviglia e che lontano dall’Andalusia si è rivelato solo il simulacro del genio che avrebbe dovuto alzare il livello dei giallorossi – ironicamente, nel 2019 tornerà proprio al Siviglia e finirà per vincere un’altra Europa League, la penultima. Ma ci arriveremo.
Il nuovo ds è Gianluca Petrachi, che incontra sin da subito non poche difficoltà, tra calciatori invendibili come Steven Nzonzi e Javier Pastore, cessioni prestigiose come quella di Kōstas Manōlas – passato al Napoli in cambio di un conguaglio e di un Amadou Diawara ipervalutato che finirà per ostacolare i successivi mercati in uscita del club – e calciatori in decadimento fisico come Federico Fazio, già sostituito con l’arrivo di Gianluca Mancini dall’Atalanta.
Senza contare la grana Edin Džeko: nel corso della fase finale della stagione precedente l’attaccante bosniaco ha quasi incrociato le braccia nonostante un oneroso contratto con la Roma, di fatto accordandosi con l’Inter – peraltro rivale della Roma nella corsa al quarto posto utile per la Champions League – e scatenando le ire di Petrachi, che pubblicamente ha dichiarato con termini coloriti di non volersi far prendere in giro da nessuno. Nonostante le voci su un possibile scambio con Mauro Icardi, la corte dell’allenatore nerazzurro Antonio Conte – a lungo candidato alla panchina giallorossa anche in virtù dell’amicizia col ds, con la Roma che ha poi ripiegato su Paulo Fonseca – cade nel vuoto, con rinnovo e conferma in giallorosso per il centravanti bosniaco che tuttavia priva la Roma dei fondi necessari a chiudere gli ultimi due acquisti visti come necessari, quelli di un esterno sinistro offensivo e, appunto, di un difensore centrale.
In soccorso a un Petrachi in difficoltà arriva una figura controversa del romanismo, Franco Baldini: celebratissimo ds del terzo scudetto giallorosso, assurge al ruolo di eroe per le prese di posizione contro Luciano Moggi e il potere dal medesimo esercitato e lascia la Roma quando il battagliero Franco Sensi, ormai malato, passa il timone alla figlia Rosella, rea secondo il dirigente toscano di essere troppo morbida nei confronti della “cupola” del calcio. Ma la storia d’amore tra Baldini e la Roma è un saliscendi, non l’unico di questo racconto.
Una mossa avventata sul mercato – l’ingaggio di Philippe Mexès, all’epoca sotto contratto con l’Auxerre, grazie a una clausola in realtà inesistente che spinge la FIFA a bloccare il mercato della Roma nell’estate del 2005 – e l’amicizia con il “traditore” Fabio Capello, con cui tornerà a collaborare dopo la controversa separazione tra la Roma e il tecnico friulano, lo rendono inviso alla piazza. Torna nel 2011 come direttore generale e una terza volta, nel 2016, come consulente e uomo di fiducia del presidente James Pallotta ma, non appena le cose vanno male, viene individuato come responsabile di ogni errore, come accadrà anche con l’addio di Daniele De Rossi alla Roma, proprio alla vigilia dell’estate 2019.
Come detto, Baldini ha collaborato con Capello anche come assistant manager durante il periodo del tecnico da ct dell’Inghilterra, oltre ad aver rivestito l’incarico di direttore tecnico del Tottenham tra il 2013 e il 2015, pertanto gode di conoscenze e buoni uffici negli ambienti inglesi che contano: viste le evidenti difficoltà di Petrachi, Pallotta si affida a lui che, all’ultimo giorno di mercato, porta a Roma due giocatori dalla Premier League con un’emergenziale prestito secco. Si tratta di Henrikh Mkhitaryan e proprio di Smalling, arrivato in prestito oneroso per 3 milioni. Due arrivi accolti in maniera radicalmente diversa dal popolo giallorosso.
Scetticismo verso l’uomo e il calciatore
A differenza dell’armeno, delle cui qualità nessuno dubita, Chris Smalling viene accolto con una ventata di scetticismo per vari motivi. Stanti i suoi imminenti 30 anni e una cartella clinica tutt’altro che immacolata durante gli anni di Manchester – non una circostanza nuova a Roma – non è considerato un giocatore su cui fare affidamento. Senza contare la generale diffidenza nei confronti dei calciatori inglesi: al momento del suo arrivo sono pochi i connazionali a essersi mai confrontati con la Serie A, in molti casi deludendo amaramente.
Limitatamente alla Roma, il rapporto con gli inglesi sino a qualche anno prima era circoscritto in maniera quasi esclusiva agli allenatori e in epoca tutt’altro che recente. Il primo allenatore della storia della Roma è stato nientemeno che William Garbutt, un tecnico leggendario, finora unico straniero ad aver guidato la Nazionale azzurra e vincitore di tre scudetti con il Genoa, oltre che del primo trofeo della storia giallorossa, la Coppa CONI del 1928, conquistata un anno dopo la fondazione del club. È proprio a Garbutt che si deve l’accostamento della parola “mister” all’incarico di allenatore, per la sua nazionalità ma anche per la signorilità. Dopo di lui sono arrivati Herbert Burgess, Jesse Carver e Alex Stock, quindi un buco di 55 anni senza che nessun inglese rappresentasse più la società giallorossa.
Se l’esperienza con gli allenatori ha trovato spazio positivo negli annali, rimanendo lontana dagli occhi dei tifosi del giorno d’oggi, non si può dire lo stesso di quella con i calciatori: prima di Smalling, solo un inglese ha vestito la casacca giallorossa: Ashley Cole nella stagione 2014-15. Arrivato con grandi aspettative dopo un glorioso passato nei top club della Premier, aveva invece già ampiamente imboccato il viale del tramonto. Una paura che a Roma è stata inconsciamente riversata anche su Smalling, seppur più giovane e con un ruolo diverso.
Una dinamica abbastanza assurda viene posta alla base dello scetticismo attorno a Chris Smalling. In particolare: il giocatore è vegano. Una circostanza che non genera alcun impedimento a una carriera da professionista ad alti livelli ma che il vociare poco qualificato di alcuni tifosi erge a ragione dei molti infortuni patiti in carriera dal ragazzo.
Chris è abituato a lottare sin dall’infanzia difficile, all’insegna delle ristrettezze economiche e del razzismo dopo aver perso il padre a soli cinque anni, figuriamoci se può spaventarlo qualche tifoso che storce il naso. E fa parlare i fatti, dimostrando che i timori erano totalmente infondati: in campo l’inglese è un punto di riferimento tanto che, nonostante arrivi a campionato già iniziato, diviene sin da subito fondamentale nei meccanismi di Fonseca.
Inizialmente centrale difensivo accanto a Mancini in un sistema a 4, la stagione subisce lo stop forzato a causa del Covid in un momento in cui la Roma, complici anche i numerosissimi problemi di infortuni patiti nella prima parte del campionato, pare troppo distante dalla zona Champions. Il ritorno in campo avviene in piena estate, il 24 giugno, con all’orizzonte un di tour de force in campionato e lo slittamento della fase finale delle coppe europee ad agosto, compresa l’Europa League – da disputarsi interamente in Germania – che vede i giallorossi impegnati negli ottavi di finale contro il Siviglia. Alla ripresa, Fonseca approfitta dell’arrivo del giovane Roger Ibañez, acquistato a gennaio dall’Atalanta, per lavorare su una difesa a 3 che garantisca maggior solidità alla Roma. Smalling ne diviene il perno centrale e consolida il suo ruolo di leader difensivo, guidando i giovani e sin lì svagati compagni di reparto.
La Roma chiude al quinto posto e la stagione dell’inglese è eccellente: 30 presenze con il 76,9% di dribbling sventati e 81 chiusure difensive per un calciatore che decisamente bada al sodo, poco avvezzo all’impostazione dal basso e molto alla sostanza, con ben 126 occasioni in cui ha liberato l’area senza troppi fronzoli per disinnescare le iniziative avversarie. Il rovescio della medaglia è l’Europa League: in caso di trasferimenti temporanei – quale il prestito di Smalling, appunto – la UEFA ha imposto ai club di gestire internamente gli accordi per il prolungamento dei prestiti nel mese di agosto, durante il quale si sarebbero disputate le coppe.
Il regime emergenziale ha portato a un sorteggio anticipato con la creazione di un tabellone tennistico in cui la Roma si trova dalla stessa parte del Manchester United, proprietario del cartellino del difensore e potenziale avversario in semifinale. La possibilità di sfidarsi non favorisce la trattativa, i Red Devils chiedono l’esorbitante cifra di 5 milioni per il prolungamento del prestito, rifiutando la controfferta della Roma di 15 milioni per l’acquisto dell’intero cartellino. Senza accordo, il 6 agosto 2020 la Roma scende in campo a Duisburg senza il proprio leader difensivo e affronta il Siviglia con Ibañez centrale nella difesa a 3. L’esito è infausto: in una prestazione di squadra complessivamente povera, il brasiliano affonda clamorosamente, sbagliando un intervento “stile Smalling” nell’azione del 2-0. Le speranze europee della Roma finiscono al cospetto degli andalusi, che elimineranno proprio lo United e vinceranno la coppa in finale contro l’Inter.
Inizia il saliscendi
Chiusa in maniera burrascosa la collaborazione con Petrachi, il nuovo facente funzioni in sede di mercato è Guido Fienga, che di professione non fa il ds ma l’amministratore delegato e si trova a occuparsi di dinamiche di calciomercato senza saperne nulla, come da lui stesso ammesso. Non la miglior presentazione possibile per un personaggio già inviso ai tifosi della Roma, che hanno imparato a conoscerlo in un contesto tutt’altro che favorevole quando, ancora poco noto ai più, era stato mandato ad affiancare De Rossi nella conferenza stampa in cui la leggenda giallorosa, subito dopo uno scarno comunicato ufficiale di saluti, annunciava che avrebbe disputato l’ultima partita con la maglia della Roma.
Il mercato per la stagione 2020-21 è confusionario quanto quello della stagione precedente, seppur per motivi diversi: il prolungamento della precedente stagione a causa del Covid ha ridotto la sosta estiva e, soprattutto, la durata del calciomercato, comprimendo i periodi per le trattative. Senza contare che queste, oltre a essere affidate a un dirigente non del mestiere, finiscono per soffrire un’altra situazione determinante, quella del passaggio di proprietà da James Pallotta a Dan Friedkin, con conseguente uscita di scena di Baldini che, pur sgradito alla piazza, avrebbe potuto essere un supporto nelle trattative. Sta di fatto che, dopo un tira e molla totalmente infruttuoso, l’acquisto di Smalling è una priorità assoluta per società e tifoseria: alla fine il centrale londinese torna alla Roma ancora all’ultimo giorno di mercato, praticamente senza completare le visite mediche, per la stessa cifra offerta a fine luglio, 15 milioni.
Arriva con un fastidio muscolare che si rivela molto peggio del previsto: durante tutto l’anno sarà falcidiato dai problemi fisici, giocando la miseria di 21 partite tra tutte le competizioni, compreso il ritorno a Old Trafford in semifinale di Europa League. Il destino ha ridato alla Roma la chance dell’anno prima, quella di sfidare i Red Devils in semifinale di Europa League. E di farlo con Smalling. In un match grottesco, in cui la Roma – ridotta in emergenza dalle defezioni della vigilia e da tre infortuni nel corso del primo tempo che la costringono a esaurire i cambi al 37’ – va negli spogliatoi in vantaggio per 2-1. L’ex di turno affonda completamente nella ripresa sotto i colpi della squadra di Solskjær, che ribalta tutto e vince addirittura per 6-2.
E così quei 15 milioni essenziali diventano sprecati, Smalling è un rottame e un giocatore da buttare via, che non merita la riconferma anche alla luce del deludente settimo posto in campionato. Le considerazioni sull’ormai esperto difensore sono piuttosto tranchant e spesso prescindono dagli aspetti tecnici, partendo da pregiudizi sulla persona che derivano da quanto già detto circa le sue scelte alimentari. Chris è un ragazzo come gli altri, di grande intelligenza, ma la scelta etica legata al veganesimo ha fatto sì che la gente lo etichettasse come una sorta di figlio dei fiori degli anni Duemila.
Un cambio di vita legato al matrimonio – celebrato presso il Lago di Como – con la modella Sam Cooke, capace di coinvolgere il calciatore nei suoi progetti a tutela degli animali, tanto che anche Chris deciderà di investire tempo e denaro in un progetto sostenibile, quello del Pinatex, un tessuto ricavato dagli scarti dell’ananas e utilizzato in sostituzione della pelle per la produzione di scarpe, borse e accessori. Nell’estate del 2021, proprio quando il rapporto con la tifoseria è ai minimi storici, un altro fatto curioso crea ironie e malumori: durante una vacanza in Giamaica, la moglie dichiara che lei e Smalling hanno avvistato un UFO.
In una storia su Instagram, la moglie precisa che la coppia non era sotto l’effetto di funghi allucinogeni e fornisce una descrizione accurata dell’avvistamento, specificando che l’UFO è rimasto in cielo per circa un’ora ma che era troppo piccolo per essere ripreso se non nel momento di maggior sbalordimento, quando ha rapidamente puntato dritto verso di loro, cogliendoli impreparati. Inutile dire che, stante il momento di bassa nel rapporto con la piazza, l’episodio è visto con ilarità e diventa ulteriore motivo di frattura. Per la tifoseria è un altro appiglio per considerare l’inglese come un tipo strano e, come tale, non affidabile, una persona da trattare con sospetto e da cedere per un motivo ulteriore rispetto ai guai fisici della stagione appena conclusa.
Le cose però cambiano nuovamente di lì a poco, perché a ridosso della semifinale di ritorno di Europa League della stagione precedente la Roma ha annunciato il suo nuovo allenatore, quel Mourinho con cui il centrale ha conosciuto il suo unico successo europeo. Anche con Mou il cammino prevede l’iniziale scelta della difesa a 4 per poi passare a 3 per dare maggior solidità e Smalling splende come mai prima. Migliora i suoi compagni, contribuendo alla definitiva crescita di Mancini e permettendo alla squadra di sopportare le numerose distrazioni di Ibañez: la sua guardia consente al brasiliano di esaltare il proprio dinamismo con uno scudiero sempre pronto a parargli le spalle.
Il gioco speculativo dello Special One si fonda principalmente sulla capacità di Smalling di guidare il pacchetto difensivo e marcare il centravanti avversario senza colpo ferire. La definitiva consacrazione dell’idea del tecnico arriva nella fase a eliminazione diretta del cammino in Conference League: nelle 7 partite disputate, la Roma gioca prevalentemente di rimessa e gestendo le folate avversarie, con un possesso palla medio solo del 39,14%. Nonostante ciò, i giallorossi concedono appena 4 gol, nessuno dei quali siglato dalle punte centrali avversarie, quasi totalmente escluse dai match da Chris. Che nella finale di Tirana ha di fronte Cyriel Dessers, capocannoniere della competizione e principale arma a disposizione del Feyenoord. Il risultato è che il nigeriano non tocca palla, la Roma vince 1-0 e Smalling alza non solo la sua seconda coppa europea ma anche il premio di MVP della finale.
Per il terzo anno di fila una notte europea cambia le carte in tavola e riattiva le montagne russe emotive: nell’estate del 2022 Smalling torna a essere considerato fondamentale per la Roma.
Mourinho e la fine di un amore
Le notti europee sono decisive nel giudizio su Smalling che, come ogni buon leader, è chiamato a caricarsi sulle spalle la squadra nei momenti cruciali. Nella stagione 2022-23, successiva al successo in Conference, rischia di non farlo per via di un infortunio. Lo patisce nel corso del ritorno dei quarti di finale di Europa League, ironicamente di nuovo contro il Feyenoord, quando la Roma sta vincendo 1-0, in risposta alla sconfitta del De Kuip di sette giorni prima con il medesimo risultato.
Un infortunio che arriva dopo che la Roma ha effettuato già un cambio in difesa, sostituendo Diego Llorente con Ibañez, unico centrale a disposizione in panchina. Mourinho ridisegna la squadra come può e al centro della difesa torna proprio il neo-entrato difensore brasiliano, chiamato a sostituire Smalling alla guida della difesa esattamente come accaduto quasi tre anni prima con il Siviglia. Con risultati altrettanto negativi, perché a 10 minuti dal termine si perde il connazionale Igor Paixão, non esattamente un saltatore, che indisturbato incorna alle spalle di Rui Patrício. Sembra la fine della corsa ma con un gol all’89’ di Paulo Dybala e altri due nei supplementari, i giallorossi piegano di nuovo gli olandesi e accedono alle semifinali.
In un mix tra sincera preoccupazione e la consueta masterclass comunicativa all’insegna della pretattica, già nell’immediato post-partita Mourinho evidenzia come il prosieguo della stagione, che vede la Roma in corsa anche per un posto in Champions League, potrebbe essere funestato dall’assenza di Smalling, su cui vengono paventati dubbi di rientro. Che saranno fugati grazie ai 12’ giocati per fronteggiare il forcing del Bayer Leverkusen e, soprattutto, grazie alla presenza in campo nella finale di Budapest contro il Siviglia. Un match praticamente infinito, terminato ai rigori dopo ben 146 minuti giocati tra tempi regolamentari, supplementari e recuperi vari. E nell’ultimo minuto dell’overtime – considerato che nel timer non vengono conteggiati i recuperi delle frazioni precedenti si trattava formalmente del 131’ – la palla del destino cade sulla testa di Smalling, che incorna verso la porta. Pochi centimetri troppo in alto, perché è la traversa a impedire alla Roma di alzare la coppa.
Una questione di centimetri che cambierà tutto: ai rigori è il Siviglia a imporsi. Mourinho con un sermone in mezzo al campo dichiara ai suoi giocatori che rimarrà a Roma per loro. Ma nulla sarà più come prima, qualcosa si è rotto. Con la squadra, con l’ambiente. E anche con Smalling. Quando riparte il campionato 2023-24 la Roma è imballata e il meno in forma appare proprio l’inglese, che affonda sotto i colpi di Verona e Milan alla seconda e terza giornata. Non solo un problema di forma ma anche un guaio fisico, una fastidiosa infiammazione al tendine rotuleo che lo costringe fuori per molto tempo, tanto da diventare un caso. Iniziano a diffondersi voci che affondano le radici nelle convinzioni etiche del difensore, secondo cui questi preferirebbe le cure naturali a quelle mediche specialistiche.
Ma non solo, anche Mourinho lo scarica pubblicamente. Inizialmente il portoghese rilascia dichiarazioni dirette sullo stato del calciatore:
Smalling non sa se fuori c’è vento, visto che è sempre in infermeria: si tira un po’ indietro, non sa giocare sul dolore anche se l’infortunio c’è.
Passano i giorni e i mesi, Smalling non scende in campo né fa trapelare nulla circa le proprie condizioni, situazione figlia del suo carattere un po’ schivo ma che alimenta il chiacchiericcio incontrollato di chi gli sta dando contro. Nel frattempo le dichiarazioni dirette del tecnico si trasformano in frecciate indirette:
Mancini ha un problema importante ma non ha le due gambe rotte e quindi giocherà a Bologna. Non è come chi ha un problema all’unghia e non gioca.
A gennaio arriva la definitiva rottura, con il tecnico di Setúbal che accolla l’esito sin lì nefasto del campionato proprio al centrale inglese, dichiarando che “il suo infortunio ci ha rovinato la stagione”. Una questione non nuova per i due, perché già dai tempi di Manchester nel 2016, pur con riferimenti meno secchi e polemici, lo Special One si era espresso con riferimento alla scarsa resistenza al dolore del centrale:
Smalling non si sente al 100% visto che prova dolore. I calciatori di oggi sono troppo cauti: devono essere più coraggiosi, mettere in gioco il loro corpo, e invece sono eccessivamente prudenti.
In un ambiente come Roma, che vive il calcio come una religione e in cui le radio locali contaminano – non senza polemiche da parte di chi la pensa diversamente – il sentire comune, si iniziano a cercare fonti risalenti e ulteriori dissapori tra i due, tanto che inizia a girare la voce che non si fossero mai amati neanche ai tempi di Manchester, dove la loro relazione professionale è stata decisamente fruttuosa. E si sa, in certi casi il tempismo e l’opportunità possono diventare armi, perché a segnare definitivamente il cammino di Smalling è il fatto che, dopo mesi di silenzio, decide di dare la sua versione dei fatti e smentire le voci sul rifiuto di cure il giorno dopo l’esonero di Mourinho. Una decisione societaria che rappresenta una ferita ancora aperta per i tifosi giallorossi, che contestano a Smalling un atteggiamento da traditore e di fatto lo scaricano.
I problemi fisici sono reali e continuano, non permettendogli di dare continuità alle sue prestazioni una volta rientrato. La Roma continua con un buon cammino europeo e arriva di nuovo alle semifinali contro il Bayer Leverkusen, come l’anno precedente. Smalling è titolare nell’andata in casa ma vincono i tedeschi per 2-0, apparentemente ipotecando la qualificazione e sollevando qualche mugugno per la decisione del nuovo tecnico De Rossi di escludere Evan N’Dicka per schierare il centrale di origine giamaicana. Sette giorni dopo, alla BayArena, Smalling siede in panchina e la Roma clamorosamente si porta sul 2-0 contro una squadra sin lì imbattuta. Gli ultimi cambi arrivano all’81’: per resistere alle folate avversarie, proprio come aveva fatto Mourinho l’anno precedente, nel finale viene schierato Smalling al posto di Angeliño.
Passa appena un minuto e, sugli sviluppi di un corner per i tedeschi, il portiere giallorosso Mile Svilar, sin lì miracoloso, tenta l’uscita ma Smalling di fatto finisce per ostacolarlo, impedendogli di raggiungere il pallone, che sbatte sul corpo del compagno di reparto Mancini e finisce in porta. È il gol che di fatto sancisce l’eliminazione della Roma e il definitivo ripudio di quello che era stato il ministro della difesa negli ultimi anni.
Addio amaro
Per tutta l’estate 2024 Chris Smalling sta bene, lavora con il gruppo, è recuperato. Ma a Roma nessuno si fida più di lui, dopo i problemi dell’anno precedente diventa quasi invisibile per la tifoseria. Si parla di lui solo per il peso del suo ingaggio. Tutti vorrebbero cederlo, compresa la società, tanto che, nonostante la carenza di centrali, sulle treccine del ragazzo cresciuto nel Kent è attaccato il cartello “vendesi”.
Il 30 agosto, giorno di chiusura del calciomercato, la Roma ha solo tre difensori centrali in rosa, i titolari Mancini e N’Dicka e proprio Smalling. Ciononostante, approfittando dei cinque giorni che dividono la chiusura del mercato dalla presentazione delle liste UEFA, viene tesserato lo spagnolo Mario Hermoso e pur senza la garanzia dell’arrivo di un quarto centrale – che poi arriverà e sarà il tedesco Mats Hummels – Chris Smalling chiude la sua avventura in giallorosso, ceduto all’Al-Fahya in Arabia Saudita.
Il giocatore ha espresso i suoi sentimenti tramite i social:
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Parole senza nessun intento polemico, parole d’amore che inquadrano una bella storia, fatta di momenti indimenticabili e che probabilmente avrebbe meritato un finale più onorevole, con le giuste celebrazioni per uno dei migliori centrali della storia recente della Roma.