Albert Richter, il ciclista che sfidò Hitler

Albert Richter è stato un grande ciclista morto in circostanze misteriose. Ma in vita è stato un fiero esponente della lotta al nazismo, aiutando tanti ebrei.

Colonia è stata la prima città tedesca a ospitare nel 1965 un Gran Depart, l’avvio del Tour de France. Lì, sulle rive del Reno, il più importante velodromo cittadino è dedicato ad Albert Richter, campione del mondo su pista nel 1932 e oppositore del nazionalsocialismo.

 

Chi è Albert Richter

Richter, classe 1912, cresce a Ehrenfeld, un quartiere popolare di Colonia. La sua è una famiglia di piccoli artigiani. Il padre si occupa di disegnare modelli di gesso, ma ci tiene che i figli, oltre a imparare un mestiere, si avvicinino all’arte, in particolare alla musica. Albert e i suoi fratelli Karl e Josef infatti imparano tutti a suonare uno strumento, nel caso del futuro ciclista la scelta ricade sul violino. A 16 anni Richter corre la sua prima gara su pista alla Rheinlandhalle, che si trova a 600 metri da casa sua e nello stesso anno, il 1928, debutta anche nella Sei Giorni.

Albert è un talento. Con una bicicletta da passeggio rischia di battere Werner Moden, uno dei migliori atleti degli anni Venti. Nel 1931 conquista la sua prima gara ma, nonostante i risultati, il ciclismo a casa Richter è un tabù. Il padre della giovane promessa non vede di buon occhio la passione del figlio – Albert nasconde i trofei che vince sotto il letto – e i due arrivano a litigare quando Albert si rompe una clavicola in allenamento. Il ciclista di Colonia è così forte che nel 1932 va a Parigi, la capitale del ciclismo su pista dell’epoca: al Velodromo di Vincennes si corre il Grand Prix de Paris, una delle più importanti competizioni dell’epoca. Richter vince nello sprint, categoria dilettanti.

Nella prima metà di agosto Richter dovrebbe partecipare anche ai Giochi Olimpici di Los Angeles, ma la Bund Deutscher Radfahrer, la Federazione ciclistica tedesca, non ha soldi per finanziare il viaggio della squadra in California. Così Albert si concentra sui Mondiali dilettanti su pista in programma a Roma. La preparazione è tutt’altro che semplice perché Richter si allena poco e male. L’impresa del padre è fallita a causa della crisi del ’29 e lui, essendo dilettante, vive dei rimborsi delle gare a cui partecipa che spesso sono fuori dalla Germania, circostanza che gli rende più difficile la convocazione in Nazionale. Senza contare la già menzionata fattura alla clavicola.

Nonostante le circostanze, la Federazione lo convoca comunque per i Mondiali in Italia. E lui non delude vincendo allo Stadio Nazionale l’oro nella velocità davanti all’azzurro Nino Mozzo. È un trionfo che segue di cinque anni quelli di Matthias Engel, anche lui tedesco, anche lui di Colonia.

 

Il tecnico Berliner e l’opposizione al nazismo

Un successo mondiale, quello di Richter, che ha un segreto. Si chiama Ernst Berliner ed è l’allenatore e manager di Richter. È nato nel 1891 nel Griechenmarktviertel, quartiere di Colonia ad alta percentuale di popolazione di religione ebraica. Come molti tedeschi ed europei a inizio secolo si è appassionato al ciclismo e ha corso a discreto livello, prima di diventare giornalista sportivo e manager. È lui che ha notato il talento di Teddy, come lo chiamano tutti. L’ha convinto a trasferirsi a Parigi e ha coltivato le sue doti innate. Allenamento duro, disciplina, ma anche affetto sincero hanno trasformato Albert nel Deutscher Achtzylinder, il tedesco a otto cilindri.

Un binomio perfetto che sembra essere il preludio di una stagione di vittorie dello sport tedesco. Solo che nel 1933 Adolf Hitler diventa cancelliere e può iniziare a mettere in atto la sua politica razziale. Per le autorità che si stanno insediando ai vertici dello sport tedesco non è ammissibile che il migliore pistard tedesco abbia un allenatore ebreo. È in atto la Gleichschaltung, l’allineamento anche dello sport al nuovo corso della Germania. Via gli ebrei e i comunisti dallo sport, che siano atleti, allenatori e funzionari. Ad esempio il presidente della Federciclismo diventa Viktor Brack, futuro criminale di guerra, giustiziato nel 1948 per il suo coinvolgimento nell’eliminazione dei disabili fisici e psichici.

Per questo – ma non solo – Richter non è un sostenitore del nascente governo. Ha bollato i nazisti come criminali e ha deciso di mantenere come tecnico Berliner, che per lui è un secondo padre. In patria non si allinea, pertanto gareggia sempre più spesso all’estero, rifiutandosi di portare sulle sue divise alcun segno del regime, come la svastica, a cui preferisce l’aquila. Nel 1934, quando è uno dei migliori pistard del mondo, vince una gara ad Hannover ma in mezzo a tutti che fanno il saluto nazista, il suo braccio è abbassato.

Un’opposizione personale, ma ferma. Richter, che dal 1938 vive in Olanda come il suo tecnico e manager Berliner, conquista ancora due volte, da professionista, il Gran Prix de Paris, si piazza più volte sul podio dei Mondiali. È conosciuto e acclamato, ma la Gestapo ha messo gli occhi su di lui. Perché sfruttando i suoi soggiorni all’estero per le gare, ad esempio ai Mondiali di Amsterdam, aiuta gli amici in esilio, portando loro soldi.

 

Il mistero della morte e il lascito di Albert Richter

Nel 1939 la situazione precipita. Richter ha 27 anni ed è nel pieno della sua carriera. Ma il 1939 è anche l’anno in cui, per la precisione il 1° settembre, il Terzo Reich invade la Polonia, dando il via alla Seconda Guerra Mondiale. In quei giorni Teddy è a Milano per i Mondiali ma la competizione viene annullata proprio per lo scoppio del conflitto. La dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia spinge Richter a pensare di andarsene definitivamente dalla Germania, perché non vuole andare a combattere, lui che a Parigi ha tanti amici. Il 9 dicembre 1939 Albert conquista il Gran Premio di Berlino. È la sua ultima gara.

Una ventina di giorni dopo, il 31 dicembre 1939 decide di mettere in pratica i suoi piani di fuga. Non ascoltando i consigli di Berliner, Richter parte in treno per la Svizzera, dove spesso si era allenato in quei mesi. Nel suo bagaglio nasconde 12.700 marchi da dare a un amico ebreo. La polizia di frontiera lo ferma a Lörrach. Non è un controllo casuale ma mirato, come raccontano Cor Wals e Kees Pellenaars, due ciclisti olandesi testimoni dei fatti. Teddy finisce nel carcere locale, dove muore tre giorni dopo, senza che suo fratello partito da Colonia riuscisse a visitarlo. Ufficialmente si è impiccato, ma i sospetti sulla sua morte sono tanti, a partire da chi l’ha tradito (si parla di alcuni suoi colleghi tedeschi). Le autorità nascondono tutto. Il 10 gennaio 1940 verrà sepolto davanti a 200 persone a Ehrenfeld, nella sua Colonia.

Berliner, che perderà alcuni familiari nella Shoah, riesce a sopravvivere alla guerra nascondendosi durante l’occupazione tedesca prima di emigrare negli Stati Uniti. Il tecnico tornerà nel suo Paese solo per sapere della sorte degli amici e per testimoniare quanto accaduto. La famiglia Richter cercherà giustizia ma non otterrà mai un risarcimento. Per decenni la storia di Richter è rimasta incollata alle pagine della storia. Inizialmente solo la Germania Est nella continua – e a tratti artefatta – affermazione della sua natura antifascista lo omaggia con un francobollo nel 1965 e nella DDR due impianti sportivi, ad Halle e a Schwerin, porteranno il suo nome. Dal 1996 la principale pista di Colonia si chiama come Albert Richter, l’uomo che disse no al nazismo.

Una dedica ad Albert Richter, eroe ben oltre lo sport