Da quando Baggio non gioca più: meno tecnica e troppi muscoli

Non è più domenica, come recita una celebre canzone di Cesare Cremonini. E non solo a causa del ritiro del Divin Codino.

In un mondo dove l’utilitarismo e il semplicismo hanno preso ormai da tempo il sopravvento, tutto ciò che ci circonda diventa di fatto svuotato di ogni suo significato. Si perde ogni orpello stilistico, ogni tentativo di emergere da un grigiore e da una normalità degno dei migliori standard Ikea. Ogni aspetto della nostra esistenza diventa canonico e tra questi il calcio non può ahimè sfuggire alla logica imperante.

Nel tentativo di codificare all’inverosimile ogni più piccolo movimento ed ogni minima azione, il calcio è stato depauperato di tutto ciò che lo ha reso magico, fuori dagli schemi, estremamente intuitivo.

L’ultima partita di Baggio in nazionale

 

Sport o ingegneria?

Negli ultimi 20 anni la componente tecnica è andata via via scemando in luogo di un calciatore più dogmatico, più “robotico”. Sicuramente meno avvezzo a tentare qualsivoglia espediente per risolvere situazioni ingarbugliate. L’abilità nel trovare un passaggio smarcante, o il dribbling funambolico nell’uno contro uno, o ancora il tiro da posizione impossibile sono sempre meno frequenti. E le pennellate di talenti al limite dell’immaginabile che con le loro sfumature né troppo grezze, né troppo lievi, facevano brillare gli occhi di giovani e più anziani sono solo un lontano ricordo.

Abbiamo assistito inermi all’avvicendarsi di prototipi di calciatore sempre meno capaci di inventare, ma sempre più schematici nell’esprimere il gesto tecnico.

Ma come siamo arrivati a questo punto?

Probabilmente si tratta di una commistione di cause ed effetti che si intrecciano in un tourbillon di rimandi continui ma che possiamo provare a definire in tre punti principali:

  • il costante aumento della velocità di gioco
  • il progressivo spostamento delle fonti di gioco qualitative dal centro del campo alle zone esterne
  • il percorso di insegnamento del gioco del calcio a livello giovanile

 

Partite di calcio o 800m piani?

Analizzando la questione nel nostro Paese, possiamo affermare che i ritmi di gioco imposti in campo sono diventati alle volte insostenibili. Il pressing sempre più spesso ultra offensivo, l’aggressione e i raddoppi di marcatura anche in zone non pericolose, la difesa altissima, ai limiti del centrocampo, e la gestione degli spazi sempre più accurata hanno portato nel tempo a cercare figure che interpretassero questi dettami al limite del maniacale. Difensori, terzini, centrocampisti e esterni (difensivi e offensivi) sono sempre più di frequente giocatori che superano il metro e ottanta di altezza. Abbiamo standardizzato, di fatto, la fisionomia del calciatore e ridotto per questo le caratteristiche proprie di ciascun ruolo.

A questo proposito sono sempre più frequenti esempi di giocatori “intercambiabili”, in grado di svolgere con profitto ruoli anche molto diversi tra loro finendo spesso con l’avere tanti onesti/buoni giocatori ma pochi/pochissimi campioni.
La scelta dei componenti di una squadra si è sempre più spostata in favore di individui dalla fisicità prorompente. L’obiettivo è quello di poter “reggere” lo sforzo fisico richiesto dai nuovi ritmi imposti alle partite di calcio. Chi non sopporta lo sforzo è fuori, avesse anche qualità pressoché divine, non ha spazio in un contesto di questo tipo.

Naturalmente la prima obiezione che si può sollevare è: “ma allora Messi? E il Barcellona di Messi?”. Anche questa regola è quindi dotata di un’eccezione, tuttavia occorre tenere presente che di Messi ce n’è uno e che è difficilmente non solo replicabile, ma anche imitabile. Così come unico è il Barcellona di cui Messi ha fatto parte e unica e non replicabile è stata la sua filosofia di gioco.

 

Da numero 10 a esterno

Sempre tenendo presente la limitazione spaziale, è possibile constatare che il modo di attaccare la porta avversaria nel corso degli ultimi anni si è spostato lateralmente rispetto a quanto accadeva solo 20 anni fa. Il ruolo del cosiddetto “numero 10”, per antonomasia l’epitome della tecnica, la sublimazione dell’interpretazione fantasiosa del gioco del calcio, si è trasformato sempre di più spostando sensibilmente la propria posizione e il proprio raggio d’azione in campo. Da un “trequartista” che agisce dietro una o due punte, come accadeva con Baggio, Totti, o il primo Pirlo, sempre più spesso il numero 10 è diventato un esterno d’attacco che deve creare la “superiorità numerica” sfidando ora il terzino, ora il “braccetto” avversario per poter cercare il tiro o effettuare il cross per il centravanti in area di rigore.

 

Un ruolo determinante ma con “poca” qualità

Di fatto il ruolo si è molto standardizzato e scolarizzato, arricchendosi esclusivamente di una componente atletica importante utile per non lasciare la propria squadra in inferiorità numerica in fase difensiva e basando quindi molto spesso l’uno contro uno in fase offensiva ad una mera questione di velocità e riflessi.

Vujadin Boskov, con le sue “perle di saggezza” ha esaltato l’estro e la fantasia dei suoi giocatori

 

E’ ovviamente più complicato trovare spazi nella zona centrale rispetto alle fasce laterali. La crescente velocità del gioco sicuramente non avvantaggia chi con la palla deve trovare una soluzione in una selva di gambe. Ma la qualità non va insegnata, la qualità come climax della tecnica di base va coltivata. Occorre sublimarla al contesto perché del contesto si impadronisca e ne diventi la parte più importante. Invece, questa modifica così devastante, ha avuto come unico risultato quello di mitigare l’impatto della qualità (e della tecnica più in generale) sulle sorti di una partita di calcio, riducendo al minimo la possibilità di uscire dallo spartito da parte di qualsiasi giocatore che fosse in grado di “vedere autostrada dove c’è piccolo sentiero”.

 

Il ruolo dei settori giovanili

Ma a questa deriva, quanto concorrono i nostri settori giovanili? La domanda non è di semplice risposta, tuttavia è sotto gli occhi di tutti quanto il livello tecnico dei nostri giocatori negli ultimi anni si sia drasticamente appiattito. I risultati delle nostre squadre nazionali stanno lì, lapidari, a ricordarci quanto in basso siamo scesi non solo in termini di pura qualità, ma anche di decision making e di capacità di lettura della partita.

Dove possiamo andare con le nostre scuole calcio? Possiamo risollevare le sorti del nostro calcio?

Dove possiamo andare con le nostre scuole calcio? Possiamo risollevare le sorti del nostro calcio?

 

Ci siamo ritrovati ad avere buoni soldatini che non sono in grado di leggere le fasi di una partita e cercare una giocata che vada oltre il “compitino” per cui sono stati istruiti.

La formazione tecnica dell’attuale classe di calciatori viene da molto lontano e ciò dovrebbe porre l’accento sulle modalità di insegnamento del gioco del calcio, sempre meno alla ricerca della giocata estemporanea proponendo al giovane calciatore la soluzione a situazioni di campo standardizzate, impedendo quindi a lui stesso di trovare una via d’uscita migliorandone la capacità adattiva e evidenziandone la qualità.

 

A riveder le stelle…

In definitiva la qualità dei nostri calciatori è sicuramente condizionata da fattori esogeni, cui devono adattarsi per “poter sopravvivere”.
Da parte nostra abbiamo il dovere, come movimento calcistico, di insegnare calcio nel giusto modo ai nostri futuri calciatori. Occorre valorizzare le qualità dei singoli, aiutandoli a emergere con le loro scelte e non applicando quelle predeterminate.
Non è tutto perduto. In fondo dopo un medioevo, c’è sempre un rinascimento.

 


Ascolta Catenaccio, il podcast ufficiale di Puntero. Puoi trovarlo su Spotify, oppure ti basta cliccare qui sotto.

Di Dario Tagliaferri

Informatico di professione, allenatore di calcio per bambini per diletto. 40 anni ma ne dimostro meno. Dicono che odio tutti, ma solo quando piove.