L’aura immortale di Michael Schumacher

Ho sempre creduto che non si debba mai, mai rinunciare e si debba sempre continuare a lottare anche se c’è soltanto una piccola possibilità.

Con queste parole Michael Schumacher, nel 2007, sembrava quasi profetizzare ciò che oggi malinconicamente vivono i tifosi. La sua condizione dopo il tragico incidente che lo ha coinvolto sulle nevi di Meribel il 29 dicembre del 2013 riporta alla mente di tutti frustrazione e incredulità.

Michael è stato probabilmente il pilota che più ha stretto intorno a sé il popolo della Ferrari grazie alla sua determinazione, alla sua metodicità e alla sua irrefrenabile voglia di essere il numero uno.

 

Gli inizi

Farò di tutto per riportare il numero 1 sulla Ferrari. È ciò che il team e i tifosi meritano di avere.

Prime foto ufficiali per Schumacher in Ferrari

 

Così il campione di Kerpen si presentò al popolo del Cavallino nel 1996. Reduce da due titoli mondiali consecutivi in Benetton, Montezemolo lo aveva strappato ai rivali mettendo sul piatto un contratto faraonico per l’epoca. Solo lui avrebbe potuto riportare il titolo di campione del mondo che mancava in Ferrari dal 1979 con Jody Scheckter.

Nel 1991 si era messo in luce con la Jordan al debutto nel gran premio del Belgio di Spa-Francorchamps con un settimo tempo in qualifica. Quel GP che, a tutti gli effetti, sarebbe diventato negli anni seguenti il “suo” gran premio di casa. Pur non riuscendo a finire la corsa a causa di un guasto alla frizione, tutti nel paddock si erano accorti della luce che emanava il tedesco.

Solo tre anni più tardi sarebbe diventato campione del mondo guidando una vettura che, per caratteristiche, motore e performance era lontana anni luce dal “mostro” che dominava in quella prima metà degli anni ’90 e per la quale lo stesso Senna aveva rinunciato alla sua leggenda in McLaren: la Williams motorizzata Renault

 

Una Ferrari da ricostruire

I suoi primi anni in Ferrari, però, non furono tutti rose e fiori. Nella prima stagione tanti ritiri, alcuni clamorosi come quello in Francia: rottura del motore durante il giro di formazione partendo dalla pole position.

Certo, il grande talento del tedesco riuscì in parte a sopperire alla carenza strutturale della F310. Basti pensare all’assolo nel GP di Spagna sotto il diluvio, dove Schumi rifilò 45 secondi sul traguardo al fresco ex pilota Ferrari Jean Alesi, girando sistematicamente diversi secondi più veloce di ciascuno dei rivali in pista. O meglio, dei pochi superstiti che riuscirono a guidare in quelle condizioni.

Solo verso la fine del 1996, grazie ai continui lavori di sviluppo sulla pista di casa di Fiorano, alle mattine con i meccanici svegli alle 4.00 perché “Michael vuole provare una nuova soluzione sull’avantreno”, alla sua determinazione e alla sua voglia di non arrendersi mai, Schumi e il team riuscirono a trovare degli accorgimenti che permisero di dominare a Spa. Ma il capolavoro fu a Monza con l’iconico salto sul podio, vero e proprio marchio di fabbrica del Kaiser.

L’iconico “salto” di Schumacher simbolo di ogni vittoria in Formula 1

 

L’epopea sulla Rossa

Non sei un vero campione del mondo finché non vinci con la Ferrari

Ci sono voluti quattro anni. Quattro anni di insuccessi, ritiri, vittorie e poi sconfitte, salite e discese, pole position ed incidenti (quello di Silverstone nel 1999 che provocò il terrore negli occhi e negli animi dei tifosi del Cavallino) prima di poter vedere il Kaiser (con tanto di parrucca rossa, forse uno dei pochissimi momenti di frivolezza nella carriera di Schumacher) festeggiare il primo titolo mondiale con la Ferrari.

Schumacher e Barrichello festeggiano la vittoria del mondiale piloti 2000

 

Il primo di un filotto di 5 successi mondiali che hanno demolito ogni record fin lì esistente. Maggior numero di vittorie, maggior numero di pole position, maggior numero di punti in stagione, sono solo alcuni dei primati che Schumi ha disintegrato tra il 2000 e il 2004 guidando alla perfezione il missile che gli ingegneri e i meccanici di Maranello gli mettevano a disposizione.
In quegli anni il binomio Ferrari-Schumacher era quanto di più all’avanguardia potesse esistere sul Pianeta. Nel 2002, su 17 gare la Ferrari ne vinse 15, di cui 11 con Schumacher che andò a podio in tutte i GP stagionali, stabilendo l’ennesimo record di questa epopea straordinaria. 

 

Schumi: il cannibale

Una volta che qualcosa diventa una passione, la motivazione risiede lì.

Una carriera di successi, frutto della sua voglia continua di migliorarsi, di spingersi e spingere oltre il limite, di misurarsi sempre con nuove sfide che potessero spostare l’asticella del suo rendimento e della sua performance un gradino più in là.

Questo è stato Michael Schumacher nella sua carriera. Fin dai primi giorni a Maranello, la continua voglia di trovare i minimi difetti alla macchina per renderla inattaccabile ha contagiato a tal punto il team che tutti sono stati trasportati da quell’entusiasmo irrefrenabile, fino all’apice della conquista dei cinque mondiali consecutivi.

Ma non solo la sua monoposto, persino la pista di Fiorano ha “subìto” i ritocchi di Schumacher: in pista Schumi non era in grado di percorrere correttamente la prima curva del tracciato, così chiese a Jean Todt (allora direttore generale, ndr) di modificarla. La odiava, perché era totalmente diversa da qualsiasi altra curva del Mondiale. Da quel momento, Fiorano ha cambiato layout.

Ad alimentare questa leggenda, questa volontà di essere iper presente nelle questioni tecniche e di sviluppo della monoposto, non si può certo tralasciare la scelta di risiedere all’interno della pista di Fiorano, dormendo nell’appartamento che fu costruito nei paraggi del box dal Drake Enzo Ferrari

 

Michael: l’uomo

Guai però a considerare Schumacher solo una specie di ragioniere, di impiegato sistematico e metodico. Schumi è stato anche e soprattutto autore di gesti forti e pieni di significato. Come nel 2001 quando, dopo la morte di Pepi Cereda (con cui amava discutere di ciò che avveniva nei test e in gara), dedicò a lui la vittoria in Belgio. Michael, una volta saputo della malattia del giornalista, aveva ottenuto il suo numero di telefono e lo ragguagliava dei progressi nelle gare. Lo informava sulle sue performance e su come avrebbe potuto migliorare in questo o quel particolare per guadagnare decimi di secondo che avrebbero creato un solco irrimediabile con i suoi avversari. Era il suo modo per essere vicino ad una persona cara. Un amico che sapeva non avrebbe più rivisto e con cui voleva condividere il suo essere Michael e non solo Schumacher. Per dirla con le parole di Giorgio Terruzzi

“Le persone, ecco… le persone si rivelano prima o poi. […] Perché parliamo di un uomo importante, nascosto da un pilota immenso.”

Schumacher è anche ambasciatore UNESCO ed è stato protagonista di numerose elargizioni di beneficienza per centinaia di milioni di dollari. Nel 2004, ad esempio, ha donato personalmente 10 milioni alle vittime dello Tsunami nell’Oceano indiano . Evento che lo toccò particolarmente, poiché la sua guardia del corpo Burkhard Cramer e i suoi due figli morirono nella tragedia.

 

L’altra grande passione: il calcio

Giocare a calcio mi rende più nervoso che guidare una Formula 1.

Probabilmente Schumi è entrato così tanto nei cuori dei tifosi Ferrari anche per la sua grande passione per il calcio. Prendeva regolarmente parte alle partite della nazionale piloti con cui, neanche a dirlo, amava poco perdere. Forse non tutti sanno che, da ragazzo, giocava a calcio come attaccante nei dilettanti e il suo primo allenatore si chiamava curiosamente Ferrari (Patrick).

Schumacher durante uno dei match della nazionale piloti

 

Memorabili le sue sfide con i meccanici a Fiorano, anche con condizioni climatiche non proprio favorevoli, che hanno contribuito a rendere la sua immagine così forte e amata.

Schumi nel calcio probabilmente rivedeva quello spirito di squadra che lo aveva fatto diventare il campione cannibale di quegli anni. Aveva bisogno di un team competitivo, quasi maniacale nel gestire gli eventi, di cui lui era l’espressione massima, il numero 10 che sublimava in vittoria tutto il lavoro che i suoi compagni mettevano a sua disposizione. 

Ad oggi di Schumacher rimangono sicuramente i record, l’immagine di un cannibale in pista, probabilmente il primo pilota della svolta tecnologica. Un ingegnere oltre che un perfetto conduttore di monoposto. Con lui è cambiato tutto, il modo di guidare e di interpretare i dati informatici, una sorta di scienziato volante. Non è un’eresia dividere la storia della Formula 1 in due epoche, una prima e un’altra  dopo Schumacher.

Ed è probabilmente quest’aura quasi mitologica che ancora oggi ci fa emozionare e ci fa struggere all’idea che un tale fenomeno, una così prorompente forza della natura sia stato sconfitto da un evento tanto impronosticabile quanto beffardo verso chi della metodica e del non lasciare niente al caso ha fatto la propria bandiera.

Forza Michael!

 


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catenaccio

Di Dario Tagliaferri

Informatico di professione, allenatore di calcio per bambini per diletto. 40 anni ma ne dimostro meno. Dicono che odio tutti, ma solo quando piove.