Il pugile più forte di cui non hai mai sentito parlare

Nella vita di tutti i giorni il termine “intoccabile” ha assunto un significato esclusivamente figurato e talvolta negativo. Anche grazie al cinema, questo termine indica generalmente una sorta di condizionamento nei confronti di soggetti in posizione di particolare autorità.

Ma per Nicolino Locche è diverso, per lui il soprannome El Intocable ha un senso letterale. Perché quando saliva sul ring, questo pugile argentino non esattamente slanciato e con una calvizie incipiente metteva in scena la sua opera artistica.

Uno spettacolo di danza con movimenti sinuosi finalizzati alla seduzione del pubblico e contestualmente ad ipnotizzare l’avversario, capace di cadere stremato innanzi a tale poesia in movimento, perfetta epitome tra la bellezza e l’efficacia, tra la teoria e la pratica, tra l’elevazione dell’anima e l’elogio di una fisicità terrena e brutale.

Un saṃsāra di emozioni applicate allo sport che, ancorché meno in vista di colleghi più acclamati e famosi, hanno fatto di Locche una meravigliosa cometa, un’apparizione rara e diversa all’interno del panorama della boxe.

 

Boxe scientifica

Nicolino Locche nasce a Tunuyán, in Argentina, il 2 settembre 1939, sesto figlio di genitori sardi emigrati tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale dalla cittadina di Villasor.

L’amore per la boxe è sbocciato presto e, per mera coincidenza, nel luogo giusto. A 8 anni infatti il ragazzo si presenta nella palestra Julio Morocoa, dove fa la conoscenza dell’insegnante di pugilato Paco Bermúdez. Che, per essere negli anni ’40, ha un’idea di pugilato piuttosto innovativa: sviluppa il boxeo científico, che unisce lo sport ai principi della biomeccanica, adeguando e personalizzando le tecniche di combattimento all’attitudine fisica di ciascun atleta.

A dire il vero il piccolo Nicolino non è particolarmente atletico o strutturato fisicamente e non lo sarà neanche da adulto perché, dove Madre Natura ha difettato in clemenza, El Intocable ha rincarato la dose con una condotta ed uno stile di vita non esattamente professionali.

Il principio enunciato da Bermúdez è piuttosto chiaro: non è necessaria la forza per superare un rivale, possono essere sufficienti astuzia e istinto. Se un pugile ha un’abilità specifica, deve provare a incentrare il suo stile e i suoi incontri su di essa, portando l’avversario sul proprio campo di battaglia, in particolar modo se risulti meno congeniale alle caratteristiche di chi ha di fronte.

Nicolino si allena per anni alla Julio Morocoa e Bermúdez intravede in quella tela, forse imperfetta, una superficie ideale su cui disegnare un campione sui generis.

Sviluppa quindi in Locche l’unica abilità possibile per un ragazzo che non era molto dotato di forza fisica né particolarmente applicato: gli insegna a non farsi colpire, stancando gli avversari e colpendoli quando questi sono stremati, quando serve meno forza per mandarli al tappeto.

Locche alle prese con una seduta di allenamento

 

Come Charlie Chaplin

Dopo anni di apprendimento del boxeo científico, l’esordio a livello dilettantistico arriva a 16 anni, nel 1955. In pochi sono disposti a scommettere su questo ragazzino dall’aspetto già adulto e dalle abitudini decisamente poco adeguate per uno sportivo.

Il ragazzo fuma continuamente ed inizia a rivelarsi dedito all’alcool, come spesso si conviene a chi è diventato grande troppo presto, tra le difficoltà economiche e la presenza di cinque fratelli maggiori.

L’esordio sul ring è vincente e dà il via ad una serie di risultati di primissimo livello. A soli 19 anni Locche ha già disputato 122 incontri, vincendone 117. Assieme al suo allenatore decide quindi di tentare la strada del professionismo.

L’11 dicembre del 1958 si trova di fronte un pugile di nome Luis García, appartenente alla palestra San Juan: due round e l’avversario va giù.

Ma non è solo la vittoria a renderlo un personaggio a livello nazionale. È la sua spavalderia sul ring, la mimica, gli sguardi e gli ammiccamenti al pubblico, le movenze quasi da circense. Si narra che durante un incontro, allacciandosi al suo avversario che aveva più volte e vanamente tentato di colpirlo, si fosse rivolto ad un fotografo facendogli l’occhiolino e dicendogli “E io? Quando colpirò?”.

Proprio ritenendo fosse più idonea ad un clown che ad un pugile, la sua condotta attira i fischi. Che presto diventano applausi, perché gli amanti della boxe capiscono che oltre questo comportamento, che gli vale il soprannome di Charlie Chaplin del ring, c’è altro. C’è un pugile diverso ma vero.

Fama e risultati crescono e il 4 novembre 1961, al Luna Park di Buenos Aires, Locche vince ai punti contro Jaime Gine diventando campione argentino dei pesi leggeri.

La sua carriera è in ascesa.

Schiva e colpisci (poco), il mantra di Locche

 

Fenomeno e sospetti

I numeri e gli incontri cruciali iniziano a delineare una carriera di prim’ordine per Locche: l’incontro con Gine, cui proprio El Intocable aveva inflitto la prima sconfitta in carriera un anno prima di privarlo del titolo, è il settimo successo consecutivo, cui ne seguono altri 14.

Il 5 giugno del 1962 affronta a Mendoza il primo avversario straniero in carriera, l’uruguaiano Eulogio Caballero, mentre il 20 ottobre dello stesso anno mantiene il titolo ai punti contro Manuel Alvarez.

Nel 1963 arriva anche un titolo continentale: il 29 giugno sconfigge, ancora ai punti, il brasiliano Sebastiao Nascimento, laureandosi campione sudamericano dei pesi leggeri.

Un dubbio tuttavia viene insinuato dagli addetti ai lavori internazionali, che stanno iniziando a notare questo pugile. Ed è legato ad una presunta accondiscendenza degli arbitri di casa nei suoi confronti.

Ancorché al suo cospetto stiano iniziando a presentarsi pugili di tutto il mondo, El Intocable combatte quasi esclusivamente in Argentina. Nell’unico incontro al di fuori dei confini nazionali, a Montevideo, non è riuscito ad imporsi su Gualberto Gutierrez, chiudendo con un pari.

Il suo stile di combattimento lo porta spesso a sfruttare l’appoggio alle corde, una mossa non consentita ma che gli arbitri locali paiono concedergli, di fatto agevolandolo.

Ad alimentare il sospetto sarebbe arrivato l’incontro del 14 novembre 1964 contro Abel Laudonio. All’epoca Laudonio è forse più rispettato di Locche in patria, a seguito del bronzo olimpico conquistato a Roma nel 1960.

I due si contendono il titolo nazionale dei pesi leggeri e stavolta, ai punti, viene proclamato vincitore Laudonio. Al cospetto di un avversario più celebre, la fama di Locche non è stata sufficiente. È forse il segno di un fenomeno studiato a tavolino?

El Intocable saprà smentire questi sospetti da vero campione.

Attacco di Locche a Laudonio

 

Come Rocky Balboa

Il 10 aprile 1965 al Luna Park di Buenos Aires Locche lancia il guanto di sfida a Laudonio, riprendendosi il titolo nazionale.

E sempre sullo stesso ring inizia a macinare risultati di prestigio contro avversari quotati, quali i pareggi contro il panamense Ismael Laguna e, l’anno seguente, il portoricano Carlos Ortiz, entrambi campioni del mondo in carica dei pesi leggeri al momento dell’incontro.

Ad agosto 1966, a causa di un lieve aumento di peso, entra nella categoria dei superleggeri e il suo secondo incontro, anche se non valido per il titolo, è un successo che fa rumore: ai punti viene sconfitto Sandro Lopopolo, italiano già argento a Roma 1960 nei pesi leggeri e, in quel momento, campione del mondo dei superleggeri.

El Intocable, pur non sprecandosi più di tanto in allenamento, è concentrato al massimo: da quell’agosto 1966 vince 28 incontri di fila, battendo anche l’ex campione del mondo Eddie Perkins.

A livello locale è un fenomeno, in senso sportivo e di costume. Appare ben 20 volte sulla copertina di El Grafico, una rivista specializzata di sport argentino talmente quotata che l’ex CT della nazionale di calcio Menotti aveva affermato che per lui, quando era calciatore, “finire sulla copertina di El Grafico era stato come vincere un Oscar”.

Ma è fuori dall’Argentina e dal Sudamerica che il suo mito decolla in maniera inattesa, quasi come un antesignano Rocky Balboa trasportato nel mondo reale.

È il 1968 e arriva un invito per un incontro storico: per la prima volta, Locche sarebbe uscito dai confini continentali per combattere in Giappone. Non un incontro banale ma un match per il titolo di campione del mondo dei superleggeri.

Si era tanto parlato di lui che il campione in carica, l’americano di origini giapponesi Paul Takeshi Fuji, aveva deciso di sfidarlo.

Una copertina di El Grafico dedicata a Locche

 

Big in Japan

Al Ryōgoku Kokugikan di Tokyo, Locche arriva due mesi dopo aver interrotto la striscia di 28 successi di fila a causa di un pari contro Anibal Di Lella. Non il modo migliore di presentarsi all’appuntamento. I bookmakers sono tutti dalla parte di Fuji e nessuno oserebbe mettere in dubbio la detenzione del titolo.

Ma l’argentino se la gioca con una sfrontatezza ancora maggiore del solito. Non ha nulla da perdere ed allora perché non regalare uno show al pubblico giapponese? Oltre ai consueti passi di quella danza capace di essere ammaliante per gli spettatori e ammorbante per i rivali, a livello tecnico è un Locche diverso. Con la guardia bassa sfida il più quotato rivale, espone il viso per invitarlo a colpire: Fuji attacca, El Intocable schiva e contrattacca con un jab. Più volte.

Il delta della gestione delle energie è incredibile, lo sfidante è fresco come una rosa mentre Fuji, non abituato a tale energia, è madido di sudore, con gli occhi tumefatti dai puntuali, seppur non violentissimi, colpi del rivale.

E nell’incredulità generale al decimo round arriva il verdetto: KO tecnico, Locche sfila a Fuji il titolo di campione mondiale dei superleggeri e anche quello di campione lineare: El Intocable è sul tetto del mondo.

È la rivincita dell’astuzia sulla potenza, della scienza sulla forza bruta. Locche è l’antieroe, incarna l’uomo medio a livello estetico e anche per un’abnegazione tutt’altro che scientifica.

L’Argentina lo tifa, il resto del mondo vi si identifica: a Tokyo il mondo intero si sente campione del mondo e impazzisce per Loce, come lo pronunciano i suoi connazionali.

Gli highlights del match valido per il titolo mondiale contro Fuji

 

Strenua difesa e capitolazione

A fronte di chi pensa che la vittoria sia stata un episodio, l’andamento del pugile di origine sarda ricaccia tutti i sospetti nella mente di chi li ha partoriti.

Nel corso dei tre anni successivi l’Argentina ospita cinque diversi sfidanti al titolo: il venezuelano Carlos Hernandez, il brasiliano Joao Henrique, lo statunitense Adolph Pruitt, lo spagnolo Domingo Barrera Corpas ed il colombiano Antonio Cervantes: tutti respinti con perdite.

Cinque incontri, cinque successi ai punti, cinque occasioni in cui mostrare a tutti le sue qualità uniche.

Ma qualcosa cambia nel 1972: è il 10 marzo quando la sfida per il titolo viene lanciata da Alfonso Frazer, detto Peppermint, che invita l’argentino a recarsi a Panama City per difendere il titolo. Locche accetta ma cade ai punti. Ancora lontano dall’Argentina, ancora quel maledetto sospetto che lo accompagna e lo vorrebbe favorito in patria.

Ha 33 anni, il tempo passa e i combattimenti si fanno sempre meno frequenti: dopo quella sconfitta disputa appena quattro incontri, tutti in patria. Quattro vittorie. È il momento di riprovarci e per zittire gli scettici decide di sfidare il campione in territorio neutrale. Il titolo nel frattempo è passato dalle mani di Frazer a quelle di Cervantes, detto Kid Pembelè, avversario conosciuto e già sconfitto nell’ultima volta in cui El Intocable ha difeso il titolo con successo. La fiducia è ai massimi livelli per l’incontro che si disputa in Venezuela, a Maracay. Ma il 17 marzo 1973 il cerchio si chiude com’era iniziato: un KO tecnico alla decima ripresa, stavolta subito da Locche. Sarà l’unica sconfitta prima del limite in tutta la carriera. Il titolo resta a Cervantes.

Duro colpo subito da “Peppermint” Frazer in un match che segnerà il passaggio di consegne

 

Resa definitiva

Locche è frustrato non solo dalla sconfitta e da un corpo che pare non assisterlo più ma anche da quel tarlo che alcune malelingue hanno insinuato negli addetti ai lavori: anche stavolta è uscito dall’Argentina non ottenendo nulla.

Non è mai stato uno stakanovista, non lo sarebbe diventato a 34 anni con un fisico in naturale decadenza, quindi decide di dire addio alle ambizioni iridate.

Niente più incontri per il titolo, niente più match fuori dall’Argentina, dove lo amano senza sospetti. Anzi, lo accarezza l’idea di mollare tutto, per due anni e mezzo non combatte più, tornando solo ad agosto del 1975.

Un anno dopo, con altri sei successi raccolti in sei incontri, arriva l’ultimo ballo di Locche su un ring: al Llao Llao Hotel di San Carlos di Bariloche, in una fredda giornata dell’inverno australe, El Intocable batte ai punti il cileno Ricardo Molina Ortiz, abbandonando per sempre la boxe.

Un totale di 136 incontri, con 117 vittorie (14 per KO), 14 pareggi e appena 4 sconfitte. Di cui solo una per KO, quella contro Cervantes. Per contro solo 4 incontri fuori dall’Argentina, con appena una vittoria, quella più importante della sua carriera contro Fuji. Numeri che da una parte alimentano il mito e dall’altra lo infangano con i sospetti.

El Intocable non c’è più, se n’è andato nella notte del 7 settembre 2002 per problemi respiratori, probabilmente causati dall’abuso di sigarette. Due anni dopo essere entrato nella International Boxing Hall of Fame, al termine di una vita e di una carriera diverse da qualunque cosa sia mai stata vista su un ring.

Locche in posa con la cintura di campione, a distanza di anni

 


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Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.