Il gol che rivelò al mondo il genio di Del Piero

Fin dai primi anni ’90 un giovane attaccante cominciò a far parlare di sé, attirando le attenzioni di numerose squadre di Serie A. Ad adocchiare il talento del giovane Alessandro ci pensò Antonio Venturi, all’epoca osservatore per conto della Juventus, che visionò il giocatore in occasione dell’incontro tra le squadre Primavera di Inter e Padova. Non avendo ovviamente i mezzi avveniristici disponibili oggigiorno per analizzare le prestazioni dei giocatori, Venturi fece uso esclusivamente di carta e penna, lasciandosi guidare dall’intuito per redigere una scheda di riepilogo su Del Piero, completa di valutazioni e considerazioni.

Il documento, sopravvissuto alla prova del tempo, mette in luce la bontà del lavoro svolto dall’osservatore: Venturi descrive Del Piero come un giocatore dal bagaglio tecnico e tattico eccellente, nonostante una struttura fisica nella media e delle qualità atletiche ancora in via di sviluppo, comprensibili vista la giovane età. Ma la considerazione che meglio riassume ciò che Venturi vede quel giorno è: “Ogni volta che è entrato in azione ha sempre fatto la cosa giusta, ambidestro, tecnica, tempo di visione di gioco eccellenti e naturali”. 

Nonostante le numerose offerte arrivate al Padova, Juventus e Milan su tutte, l’incontro con un’icona della juventinità come Boniperti non fece altro che confermare definitivamente la scelta di Del Piero, già deciso a trasferirsi in Piemonte per giocare per quella che da sempre è la sua squadra del cuore.

Già dalle prime apparizioni con la maglia bianconera si intravide subito qualcosa di mistico nella sua figura, una sorta di aura che aleggiava attorno a quel giovane ragazzo proveniente dal vivaio del Padova e voluto fortemente dagli Agnelli. Il 1993 fu un anno di ambientamento sotto l’ombra della Mole, che di certo riservò più di una gioia a Del Piero: il rigore decisivo trasformato nella finale del Torneo di Viareggio, la gioia del primo gol tra i professionisti arrivato al Delle Alpi contro la Reggiana, le prime apparizioni europee. Il ragazzo stava bruciando in fretta le tappe e il tempo era di certo dalla sua parte.

 

Una prima piccola svolta

L’approdo in bianconero di Del Piero non era di certo avvenuto in tempi di opulenza. Boniperti e Trapattoni stavano aiutando la squadra a ritrovare la propria identità, dopo anni passati a guardare gli altri trionfare in campionato. Andava ripristinato il famoso “stile Juve”, dogma basato sull’educazione e sulla cultura del lavoro che da sempre contraddistingue la società bianconera. Forse è anche per questo motivo che durante l’incontro tra Boniperti e Del Piero, il presidente rivolse la frase “tagliati i capelli” al giovane attaccante, che aveva già pensato di dare una spuntata alla folta chioma prima di incontrarlo.

Fu l’estate del 1994 a sancire definitivamente un nuovo inizio per la squadra bianconera, il momento designato per dare una rinfrescata all’ambiente, dandogli lo scossone decisivo che serviva per tornare ai fasti di un tempo. Finì il rapporto con il Trap, fautore del famoso decennio d’oro juventino, che fece spazio a Marcello Lippi. Il vecchio periodico Hurrà Juventus titolò: “L’uomo della signora, Marcello Lippi: un nuovo tecnico per nuove vittorie”. Dopo nove anni di delusioni in campionato c’era molta attesa attorno al nuovo allenatore, conosciuto soprattutto per la capacità di fare leva sullo spirito di squadra.

L’organico comprendeva già alcune figure importanti e dotate di un certo peso all’interno dello spogliatoio, elemento fondamentale per costruire l’ossatura più adatta a ripartire con il piede giusto e a macinare successi. Una su tutte Gianluca Vialli. Il tecnico viareggino anni più tardi spiegherà come Vialli avesse chiesto di fare ritorno alla Sampdoria, evidentemente stanco degli anni di magra dei bianconeri. Richiesta prontamente rifiutata dalla società, che riteneva essenziali per la rinascita i valori tecnici e umani dell’attaccante.

Vennero recisi i rami secchi anche in dirigenza: congedato il vecchio esecutivo, ecco la celebre triade formata da Bettega, Giraudo e Moggi. Le grandi aspettative non riguardavano solo la squadra ma anche la figura di Del Piero, visti i primi lampi di classe dimostrati l’anno precedente. Lippi decise infatti di inserire Alessandro in pianta stabile in prima squadra, rendendolo di fatto il primo cambio offensivo della sua formazione. Compito arduo, visto che davanti aveva dei mostri sacri come Baggio, Ravanelli e Vialli.

Un giovane Del Piero, nel suo primo anno in bianconero

 

Sliding door

La nuova Juventus targata Lippi iniziò il campionato nel migliore dei modi, ponendosi sin da subito in lizza per la vittoria del titolo. Del Piero dal canto suo, nonostante l’affollato parco attaccanti, cominciò a ripagare le sempre più frequenti dosi di fiducia di Lippi figurando con discreta continuità nel tabellino dei marcatori. Incoraggiata delle vittorie di inizio stagione, la Juventus mantenne il ritmo infernale del Parma di Nevio Scala, nonostante qualche momento di blackout qua e là.

Tuttavia sul finire del 1994 arrivò come un fulmine a ciel sereno il grave infortunio di Baggio, che finì per tenere il Divin Codino lontano dai campi da gioco per cinque lunghi mesi. L’infortunio di Baggio fu un colpo durissimo per una Juventus che aspirava a fare suo il campionato dopo anni di purgatorio. Ma con il senno di poi possiamo dire che la momentanea uscita di scena del fuoriclasse di Caldogno cadde nel momento perfetto: Del Piero si stava ritagliando sempre più spazio nelle rotazioni di Lippi e una presenza ingombrante come quella di Baggio avrebbe minato la crescita del giovane fantasista veneto.

Da quel momento Del Piero prese il posto vacante lasciato da Baggio, andando a sostituirlo in tutto e per tutto. Anche nel numero di maglia, visto che la 10 venne momentaneamente affidata a lui.

Un trio d’attacco niente male

 

Sfida ad alta quota

Il 4 dicembre 1994 la Juventus ospitò la Fiorentina al Delle Alpi nel match valevole per la dodicesima giornata di Serie A. Per i bianconeri si trattava di una partita delicata, da portare a casa per proseguire l’inseguimento al Parma capolista. Lippi però si trovò a fare i conti con alcune defezioni importanti come quelle di Conte, Di Livio, Deschamps e il sopracitato Baggio. Dall’altro lato della barricata lo aspettava una Fiorentina con il coltello fra i denti, pronta a vendere cara la pelle, come sempre accade per i viola quando l’avversario è la Juve.

Nonostante la mole di occasioni create dalla Juventus nel primo tempo, la Fiorentina riuscì a mettere alle corde la formazione bianconera, andando negli spogliatoi sul punteggio di 0-2. A risvegliare il Delle Alpi dallo stordimento dei colpi inflitti dai ragazzi allenati da Claudio Ranieri ci pensò l’eterno Vialli, che guidò la riscossa juventina firmando una doppietta in rapida successione.

 

Arte in movimento

A tre minuti dalla fine inizia e termina un’azione da cineteca. Paulo Sousa appoggia di testa per il terzino Orlando, che da poco oltre il centrocampo lascia partire un cross verso l’area avversaria, nel tentativo disperato di pescare qualcuno del tridente offensivo. Più che un lancio sembra una preghiera. Il pallone prende una traiettoria insidiosa, prima impennando e poi scendendo a foglia morta, rendendo difficile il controllo a chiunque.

Su quel pallone si avventa Del Piero, braccato da due difensori che tentano di bloccarlo a tenaglia. Se mettiamo in pausa l’azione per qualche secondo, possiamo immaginare due possibili scenari: un tentativo di controllo della sfera o un già più complicato tiro al volo di sinistro. Del Piero non fa nessuna delle due cose. Lascia scendere il pallone per poi accarezzarlo al volo con l’esterno destro, disegnando un pallonetto perfetto che si deposita nel sacco alle spalle di un Toldo impotente.

Un’opera d’arte. Del gol stupisce soprattutto la naturalezza con cui Del Piero compie quel tocco, quasi come se per lui fosse ordinaria amministrazione. Una pennellata d’artista. Una coordinazione e un senso estetico innati. Il Delle Alpi esplode di gioia, Alessandro si lascia andare ad una corsa entusiasta prima di essere sommerso dagli abbracci dei compagni, a cui si aggiunge anche quello di un tifoso accorso dagli spalti per esprimere tutta la sua felicità. Comprensibile.

L’arcobaleno disegnato da Pinturicchio

 

È nata una stella

In quel pomeriggio uggioso Del Piero disegnò quella che poi sarebbe stata ritenuta da molti la stella più luminosa di tutto il suo firmamento. Grazie alla rimonta contro i viola, la Juventus ottenne quell’abbrivio necessario a raggiungere e superare il Parma, riportando lo scudetto a Torino a fine stagione.

Un successo che sancirà anche il passaggio di consegne tra Baggio e Del Piero e la fine dell’avventura bianconera del Divin Codino, lasciato libero di trovare una nuova casa. Fa sorridere pensare che quel ragazzo che fino a qualche anno prima calciava la pallina da tennis oltre al divano per colpire l’interruttore della luce, lo stesso cresciuto con il mito di Platini e che cercava di replicare Baggio in tutto e per tutto, anche nel modo di portare i calzettoni dietro i parastinchi, fosse riuscito a trovare un posto nei cuori di tutti i tifosi ai danni proprio della leggenda che tentava di emulare.

Da quel 4 dicembre 1994 Del Piero diventa a tutti gli effetti Del Piero, con l’avvocato Agnelli che gli affiderà il celebre soprannome di Pinturicchio. E Del Piero sarà davvero un artista, capace di capolavori rimasti nell’immaginario collettivo e nel cuore dei tifosi della Juventus, di cui sarà un bandiera per quasi vent’anni. Trionfando insieme a lei nei momenti di massimo splendore, con 6 scudetti, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe Italiane e 1 Coppa Intertoto ma, soprattutto, naufragando sempre in bianconero nei momenti più difficili, da vero capitano. Perché, si sa, “un cavaliere non lascia mai la sua Signora”.

Del Piero esulta dopo il gol contro l’Atalanta, nel suo ultimo match in bianconero del 2012

 


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catenaccio

Di Marco De Gaspari

Totalmente dipendente da calcio e musica. Tutto si basa sulla più grande massima mai espressa: chi sa fare sa capire.