“Nel calcio di oggi sarebbe considerato un fenomeno“. Quante volte abbiamo letto o ascoltato una frase di questo tipo in relazione a un calciatore? Ci sono tanti giocatori per cui è una frase esagerata, segno di una più o meno inconscia nostalgia del passato. Ma ce ne sono altri per cui ha assolutamente un fondamento di verità . Un esempio è Gianluigi Lentini da Carmagnola.
Se il Lentini che ha incantato il calcio italiano nei primi anni ’90 fosse in campo oggi sarebbe considerato ingiocabile. Sempre utilizzando termini contemporanei e cari ai social, nel suo prime era uno dei calciatori italiani più forti, un ragazzo attorno al quale un certo hype si era già venuto a creare da giovanissimo, quando militava nelle giovanili del Torino.
Il primo Lentini: l’esordio a 17 anni
Nato il 27 marzo 1969 a Carmagnola, nella provincia torinese, Gigi muove i primi passi calcistici nella scuola calcio del Barcanova per poi entrare a 14 anni nella cantera granata, percorrendo tutta la trafila fino alla formazione Primavera sotto l’occhio vigile di Sergio Vatta. Visionario, grande scopritore di talenti e straordinario gestore di giovani, Vatta riesce a costruire una squadra fortissima, capace di vincere due tornei di Viareggio e un campionato Primavera, plasmando talenti che si affacceranno in prima squadra come lo stesso Lentini, Fuser, Cravero e in seguito Christian Vieri e Dino Baggio.
Le doti atletiche e tecniche sono di prim’ordine e Gianluigi è pronto al salto in prima squadra già da giovanissimo: ad appena 17 anni, il 23 novembre 1986, esordisce in Serie A in quel di Brescia durante una sfortunata trasferta per la compagine di Gigi Radice. Dopo poco più di venti presenze nelle prime due stagioni, la società granata decide di mandarlo a farsi le ossa in provincia. A spuntarla è l’Ancona, dove da titolare contribuisce alla permanenza dei marchigiani tra i cadetti realizzando quattro reti. L’estate successiva torna al Torino: la squadra è inopinatamente retrocessa in Serie B l’anno precedente e conta sul ragazzo per una rapida risalita. Le potenzialità sono lì da vedere, il talento è enorme seppur ancora un po’ acerbo.
Il vero inghippo, come per tanti altri talenti della sua generazione, è di natura tattica: alla luce dei moduli più in voga nel calcio italiano degli anni ’80, viene ritenuto troppo offensivo per giocare a centrocampo e troppo poco incisivo sotto porta per essere considerato un attaccante a tutti gli effetti. Sulla panchina granata c’è Eugenio Fascetti, uno specialista in promozioni ma anche un saggio e sapiente gestore di talenti. Il tecnico toscano usa il più classico metodo del bastone e della carota: le strigliate sono all’ordine del giorno ma l’apprezzamento per il ragazzo è palpabile, tanto da opporsi con forza alla prospettiva di un nuovo prestito. Sei reti in ventidue partite rendono Gigi uno dei protagonisti della vittoria del campionato di Serie B.
La svolta: arriva il “Mondo”
Nel 1990 arriva l’uomo della svolta, quello che riesce a plasmare definitivamente Lentini, una sorta di secondo padre: Emiliano Mondonico, detto Mondo. Felice intuizione del presidente granata Gian Mauro Borsano, il tecnico di Rivolta d’Adda, ex bomber della Cremonese degli anni ’70, è reduce da un triennio sulla panchina dell’Atalanta, condito da una promozione in Serie A e un esaltante cammino in Coppa delle Coppe, terminato solo in semifinale al cospetto dei belgi del KV Mechelen, che avrebbero poi portato a casa il trofeo.
Il 23 settembre 1990 arriva il primo gol in Serie A. E che gol. Il Toro affronta l’Inter, a 10 minuti dal termine Gigi parte in progressione e dopo una galoppata di quasi 50 metri palla al piede batte Walter Zenga in uscita.
Devo dire di aver fatto un bellissimo gol e sono molto contento.
Parole oneste, pronunciate con il sorriso di un ragazzo con lo sguardo da duro ma che nasconde una profonda timidezza. Le reti e le giocate spettacolari si susseguono e la stagione si conclude con un ottimo quinto posto e la qualificazione alla Coppa UEFA.
L’impressionante cavalcata dei granata in Europa l’anno successivo va a sbattere, nella notte di Amsterdam, contro tre pali e contro la regola dei gol in trasferta in una doppia finale che premia i lancieri e trova spazio nell’immaginario collettivo grazie ad un celebre episodio che riguarda Mondonico, che imbraccia e solleva al cielo una sedia per protestare dopo un rigore non concesso per fallo su Cravero. Oltre alla delusione sportiva, la beffa societaria: la situazione finanziaria non è delle migliori, diventa necessario vendere i pezzi pregiati della rosa e ovviamente il primo nome sul taccuino delle grandi squadre è proprio quello di Lentini. Ha tutto: fisico prorompente abbinato a una grande tecnica e velocità da giocatore venuto dal futuro, look stravagante con capello lungo, orecchino luccicante, giubbotti ricamati, auto di lusso. C’è tutto il pacchetto per farne un idolo in campo e fuori.
Lentini in azione nella finalissima contro l’Ajax
Mister 65 miliardi
Si fa avanti per prima la Juventus, senza trovare il gradimento del ragazzo: è un cuore granata, non può trasferirsi agli acerrimi rivali. A vincere la concorrenza è il solito Silvio Berlusconi, presidente del Milan e collezionista di campioni: se ne innamora, atterra col suo elicottero e strappa un super assegno al collega Borsano per portarlo a Milanello. Cifre da record per il mercato dell’epoca, che lo rendono il calciatore più pagato al mondo: Lentini arriva alla corte del Diavolo per circa 18,5 miliardi di cartellino, cui si aggiungono le cifre non trascurabili per l’ingaggio e per presunti pagamenti in nero, tanto da far circolare la voce che il complessivo importo impegnato da Berlusconi si attesti di poco sopra i 60 miliardi, creando un vero e proprio caso mediatico il cui eco non si spegnerà negli anni e che varrà a Gigi il soprannome di Mister 65 Miliardi.
L’impatto con i rossoneri è positivo fin da subito: i rigidi schemi di Capello e la presenza di grandi campioni tra centrocampo e attacco non impediscono a Lentini di sbocciare e deliziare i palati fini dei tifosi milanisti. Il primo gol in rossonero arriva in un rocambolesco Pescara-Milan 4-5 ed è una perla: cross di Savićević dalla destra e micidiale sforbiciata che vale il momentaneo 1-2. Non sarà l’unico gioiello di quell’annata, seguiranno altri 6 gol, compresi la staffilata dalla distanza nel derby di andata contro l’Inter e la rovesciata a San Siro con il Napoli, con cui contribuisce fattivamente al tredicesimo scudetto del Diavolo. In Europa invece non trova il gol né la gloria finale: il cammino immacolato dei rossoneri, un solo gol subito e tutte vittorie contro Olimpija Ljubljana, Slovan Bratislava, Göteborg, Porto e PSV di Romario, viene macchiato dall’inopinata sconfitta in finale per 1-0 contro l’Olympique Marsiglia.
Ma non sono solo rose e fiori, per Lentini. Le aspettative dell’ambiente, vuoi per il livello della squadra, vuoi per l’esborso sostenuto per accaparrarselo, lo pongono costantemente nel mirino per alcuni atteggiamenti ritenuti poco consoni per un professionista, tra paparazzate, presenze alle feste e quel look sopra le righe di cui abbiamo già parlato, sfoggiato uscendo dalla sua Porsche gialla. Che purtroppo per lui diventerà il simbolo e la ragione di un precoce ed inatteso declino.
Mister 65 Miliardi in azione con la casacca rossonera
Quella maledetta Porsche
La sera del 2 agosto 1993 il Milan fa parte del parterre de roi per la festa del centenario del Genoa. Di ritorno dal torneo estivo, Lentini si avvia verso casa in Piemonte con la sua Porsche gialla quando una foratura lo costringe a montare il ruotino. Circostanza che tuttavia non lo spinge alla necessaria prudenza: Mister 65 Miliardi continua a premere sul pedale dell’acceleratore. Troppo. Perde il controllo e si schianta. Con un briciolo di lucidità rimasta fa in tempo ad uscire dall’auto, che poco dopo prende fuoco, prima di stramazzare al suolo per il trauma cranico e la frattura orbitale che lo costringeranno in coma per due giorni.
Un camionista che trasporta quaglie presta i primi soccorsi, Lentini viene portato in ospedale. Non è in pericolo di vita, i progressi sono quasi immediati ma ci sono dei danni neurologici che spingono alla massima prudenza e inizialmente fanno pensare addirittura alla fine della carriera. Non sarà quello il momento peggiore, almeno stando a quanto racconterà il ragazzo. Che dà tutto per tornare in campo, stimolato da Arrigo Sacchi che dichiara di attenderlo per il Mondiale statunitense cui, purtroppo, il talento di Carmagnola non prenderà parte: troppo tardivo il rientro, le partite sono poche ed il livello, come logico, è lontano da quello pre incidente.
Ed anche la stagione seguente inizia col freno a mano tirato fin quando, sul finale di stagione, ritrova lo smalto dei tempi migliori: tra aprile e maggio realizza 5 gol in 6 partite di campionato, candidandosi con prepotenza ad una maglia da titolare nella finalissima di Champions League ad Atene contro l’Ajax, nella quale i rossoneri devono rinunciare al Genio Savićević, fuori per infortunio. Eppure quella maglia non arriva, Capello lo manda in campo solo all’84’, sul risultato di 0-0. Risultato che dura meno di un minuto, dato che Kluivert segna pochi istanti dopo il gol che porta i lancieri sul tetto d’Europa. Ancora l’Ajax a rovinare i suoi piani. Paradossalmente, Lentini dirà essersi trattato del colpo più duro per la sua carriera, anche più di quel maledetto schianto estivo sulla Porsche gialla. A distanza di anni le sue parole spiegano il suo scoramento:
Quella sera è finita la mia carriera.
Gioca un’altra stagione nel Milan, portando a casa lo scudetto ma con un bottino misero a livello personale: le sole 9 presenze e i problemi con Capello lo spingono a cercare fortuna altrove, lasciando il Milan con un palmarès ricchissimo ma anche con molte meno presenze e molti più rimpianti di quanto era lecito attendersi neanche quattro anni prima.
Lentini in azzurro. L’incidente gli ha precluso la partecipazione al Mondiale americano
Comfort Zone
Ad accoglierlo in uscita da Milanello c’è il “suo” Mondo, il mister che gli ha dato spazio nel calcio che conta. Tornato all’Atalanta, Mondonico vede in Lentini l’uomo giusto per raggiungere gli obiettivi di squadra e ridare linfa alla carriera di Mister 65 Miliardi. Che non delude le aspettative, decisamente: segna 4 gol in 31 partite e soprattutto riassapora la maglia della Nazionale azzurra, chiamata ad un nuovo ciclo con Cesare Maldini. Un ritorno che non sarà cavalcato da Lentini, perché il ragazzo di Carmagnola fa risuonare come una grancassa quel cuore granata che ha sempre battuto nel suo petto e accetta perfino di scendere in Serie B pur di tornare a casa, di nuovo al Torino.
Lentini è ancora giovane ma gli anni migliori sembrano volati via: nonostante una tecnica invidiabile, tra i cadetti non incide granché, con 69 presenze e soli 6 gol in due anni, sebbene impreziositi da un centro nel successo ad Andria che vale la promozione in Serie A. E la stagione 1999-2000 è quella del ritorno in massima serie con la “sua” maglia, quella granata: sarà l’ultima volta nel massimo campionato, un’annata sfortunata per lui, che non trova mai il gol, e per la squadra, che retrocede. E a fine anno se ne sbarazza, lasciandolo svincolato. Gigi Lentini è rimasto a piedi, sputato via anche dalla sua comfort zone.
Lentini da capitano al ritorno nel suo Torino
Per amore, non per soldi
L’immagine di un Lentini avido e attaccato al denaro, che l’opinione pubblica aveva avanzato ai tempi del trasferimento al Milan e dello sfoggio di beni e abiti di lusso che lo contraddistingueva, va a cozzare con la realtà . Un giudizio affrettato e severo nei confronti di un ragazzo che ha avuto la sola colpa di sfruttare la propria immagine in maniera diversa da quanto i calciatori facevano all’epoca, un precursore di ciò che oggi è diventato la normalità . Perché, quando a 31 anni si trova senza squadra, Lentini rifiuta le cospicue offerte provenienti da campionati esotici, come quello cinese o qatariota, benché con un appeal economico diverso rispetto a quello odierno.
E stupisce tutti quando risponde ad una chiamata dell’agente e dice sì ad un’offerta radicalmente diversa dalle altre, quella del Cosenza. Sente di avere ancora qualcosa da dimostrare e vuole rilanciarsi in una piazza calda che non ha mai conosciuto la gloria della Serie A. Quando arriva è fermo da sei mesi, siamo già a gennaio del 2001 ed il Cosenza si trova in piena bagarre per la prima, storica promozione in massima serie. Un grande stimolo per un ragazzo che sente di aver fatto meno di quanto avrebbe potuto: vorrebbe compiere una grande impresa ma la sfiora soltanto, pur con un contributo relativo, limitato ad appena 11 presenze a causa del tempo necessario per tornare ad essere atleticamente all’altezza della squadra di Mutti.
Nei due anni successivi il feeling con il club calabrese si rinsalda, diventa anche capitano dei Lupi della Sila ma la Serie A resterà un miraggio. E non solo: nel 2003 il Cosenza retrocede e non riesce a sfruttare il ripescaggio dato dall’allargamento della Serie B a 24 squadre perché i problemi societari che travolgono i bruzi sono insanabili. Arriva il fallimento sportivo, il club rossoblù riparte dai dilettanti, dalla Serie D. Ma un vero capitano non abbandona la nave e Lentini lo è: decide di diventare un punto di riferimento per i giovani che sposeranno la causa dei calabresi, regalandosi un ultimo anno al Cosenza da capitano, senza l’agognata promozione e l’auspicato ritorno tra i professionisti.
E così, riscoperto il piacere del calcio lontano dai riflettori, decide di tornare a casa ma senza alcun tipo di ambizione economica o sportiva, solo per amore del pallone. Accetta la corte dei piemontesi del Canelli, in Eccellenza, dove la sua classe fa la differenza: dopo un primo anno interlocutorio, nella seconda stagione segna 19 gol e porta di peso la squadra in Serie D, non riuscendo tuttavia a salvarla con i 12 centri della stagione 2006-07, compromessa nella parte iniziale da un nuovo incidente, stavolta a bordo di uno scooter.
Dopo un altro campionato di Eccellenza con il Canelli, nel 2008 scende in Promozione con la Saviglianese, portandola subito in Eccellenza con 15 gol. Quindi nel campionato seguente si divide tra la Saviglianese e la Nicese, con la quale non riesce ad evitare la retrocessione in Promozione, campionato in cui torna protagonista nella stagione 2010-11, prima di chiudere la carriera nella stagione successiva vestendo la maglia della squadra del suo paese, il Carmagnola. È l’ultima tappa di un lungo addio, che si concretizza a 43 anni compiuti dopo una carriera passata tra le luci dei riflettori e le ombre gettate dai rimpianti su ciò che poteva essere e non è stato.
Lentini in azione con la maglia del Cosenza
Post-carriera
Il ritorno nel suo paese ha un significato non solo sportivo: terminata la carriera da calciatore, a casa ritrova gli affetti e gli amici, staccando del tutto da un mondo che gli ha dato tanto, sia in termini di soddisfazioni che di delusioni. A Carmagnola decide di aprire un ristorante in cui poter giocare a biliardo, passatempo che scandiva le sue giornate nei ritiri al tempo del Milan: le cose non vanno bene, tanto che escono fuori presunte implicazioni con la Mafia, frutto dell’accusa di un pentito che addita Lentini di pagare il pizzo alla malavita locale, circostanza mai provata e sempre oggetto di fermo diniego da parte dell’ormai ex calciatore.
Prova allora la strada dell’apicoltura, divenendo produttore di miele: fonda l’azienda Mieli Lentini in società con l’amico Giovanni Murano, un progetto fatto non solo per valorizzare un prodotto della sua terra ma anche con finalità inclusive, tanto da coinvolgere associazioni di ragazzi affetti da disabilità , su tutte gli Angeli di Ninfa. Si dichiara felice lontano dal calcio ma anche questo piano finisce per naufragare a causa del logorio dei rapporti con il socio. E così lascia l’apicoltura e torna nel mondo che gli ha dato visibilità , grazie a chi aveva creduto in lui: quel Galliani che aveva partecipato alla trattativa per portarlo al Milan gli ha dà una nuova occasione come scout in Piemonte per il Monza:
Ho riscoperto il calcio dopo esserne stato lontano per tanto tempo. Faccio scouting in Piemonte per il Monza del dottor Galliani, che mi è stato sempre vicino. Mi piace andare a vedere le partite dei ragazzini, cercare se c’è tra loro qualche perla nascosta. Del calcio mi è sempre piaciuto il campo, il resto no. Non mi sono preparato al dopo perché non faceva parte di me.
Gigi Lentini in posa con un barattolo di miele
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