Come De Coubertin inventò le Olimpiadi moderne

Mancano poche settimane all’apertura dei Giochi della XXXIII Olimpiade: ormai siamo abituati a percepire l’evento come l’apice dello sport, il punto più alto raggiungibile da un atleta e un fenomeno culturale e sociale ad impatto globale. La Storia, tuttavia, ci racconta che non è stato proprio così fin dall’inizio, anzi. Andando a ritroso emergono fatti, curiosità e aneddoti impensabili per la nostra concezione moderna. E quale miglior modo per prepararsi a Parigi 2024 se non andare a ripercorrere passo dopo passo quelle edizioni disputatesi più di cento anni fa, con storie ormai miste a leggenda?

Mettetevi comodi, accendiamo la macchina del tempo e cominciamo un lungo viaggio che ci porterà di settimana in settimana a rivivere le prime nove edizioni delle Olimpiadi. Un percorso che da Atene 1896 ci porterà a Los Angeles 1932, l’edizione precedente alla tanto celebrata e raccontata Berlino 1936. Noi, per non aggiungere altro a una narrativa già molto ampia e dettagliata, ci fermeremo proprio un attimo prima.

 

Il sogno del Barone

Prima di immergerci nel caos ateniese è necessario fare un passo indietro e presentare il deus ex machina, la figura fondamentale senza la quale tutta la nostra narrazione non potrebbe esistere: il Barone Pierre de Coubertin. Membro dell’alta aristocrazia francese, de Coubertin – nato nel 1863 – vantava antenati illustri sia da parte di madre che di padre e, come tutti i giovani del suo tempo, era animato da un forte spirito nazionalista.

In particolare, il fatto storico che più di tutti tormentava i pensieri del Barone era la sconfitta nella guerra franco-prussiana patita nel 1871, con la somma umiliazione dell’assedio di Parigi. Una disfatta da attribuire, secondo de Coubertin, non alla limitata abilità militare di Napoleone III, comunque ben lontana da quello dello zio, bensì alla scarsa preparazione fisica e atletica dei soldati francesi, completamente soverchiati dall’esercito di quello che diventerà poi l’Impero tedesco.

Nella testa del Barone era necessaria una revisione totale del sistema francese. Il primo modello preso in esame fu ovviamente quello dei vincitori. Da anni infatti nel mondo prussiano era in corso una rivoluzione totale nel mondo dell’insegnamento. Accanto alla classica routine scolastica, vennero adottati i precetti di Friedrich Ludwig Jahn, studioso di inizio ‘800.

Secondo il pedagogista i giovani studenti, oltre a formarsi sui libri in modo sedentario, dovevano aver cura del proprio corpo con un programma di esercizi fisici estenuante che passerà alla storia con il nome di Turnen – letteralmente “fare ginnastica”. Corsa, salto, arrampicata e attività a corpo libero, erano solo alcune delle discipline che nell’idea patriottica di Jahn, sarebbero servite come collante per unificare il frammentato e sfaccettato German Volk dell’epoca. La Storia – come abbiamo visto – ci racconterà del successo di un progetto facilmente applicabile a un contesto rigoroso e austero come quello teutonico, tuttavia di difficile trasferimento – agli occhi di de Coubertin – nella realtà francese. 

Messo da parte il Turnen, l’attenzione si spostò oltremanica, dove i “cugini” inglesi stavano completamente rivoluzionando il mondo dello sport sia dal punto di vista dei regolamenti che della filosofia, gettando le fondamenta delle varie discipline così come le conosciamo noi oggi. Nelle scuole private come Eton e Winchester, i giovani rampolli dell’alta società inglese potevano dedicare gran parte del proprio tempo libero a canottaggio, corsa, salto e giochi con la palla. Vi siete mai chiesti perché le squadre di calcio sono composte da 11 giocatori? Un numero piuttosto insolito. La risposta è da ricercare proprio nell’Inghilterra di metà ‘800. Le classi erano composte da dieci studenti e coordinate da un professore: ecco che in automatico le partite tra le varie scuole vedevano 22 giocatori in campo, 11 per parte. Da lì, un qualcosa di automatico divenne tradizione.

Rimanendo in ambito calcistico – approfittiamone ora, visto che saranno ben altri gli sport protagonisti delle nostre storie estive – sempre gli inglesi cercarono una volta per tutte di regolamentare il gioco. Le Cambridge Rules – che con uno sguardo contemporaneo possono sembrare scontate – ai tempi furono fondamentali per segnare una volta per tutte dei paletti a uno sport ancora troppo embrionale.

Il Barone de Coubertin ammirava il modello britannico, sottolineando come i ragazzi, una volta terminata l’esperienza a scuola, ne uscivano profondamente formati non solo nel fisico ma soprattutto nel carattere. Era il percorso da seguire. Studiando quindi l’approccio inglese allo sport, il Barone venne a contatto con la figura di W. P. Brookes, l’uomo decisivo per lo sviluppo della nostra storia.

 

Le “proto-olimpiadi” britanniche e altri timidi tentativi

Il Dr. Brookes era un chimico e botanico inglese con una grande passione, l’educazione fisica. I mezzi atletici erano piuttosto limitati – i documenti dell’epoca ci raccontano non certo di un Achille dei tempi moderni – ma la tenacia e l’amore per lo sport erano una fonte di idee e progetti inesauribili. Nel 1849 – 14 anni prima della nascita del Barone – come integrazione alla neonata WARS, la Wenlock Agricolutre Reading Society (una associazione nata per promuovere la cultura anche tra le classi meno abbienti nella contea dello Shropshire), Brookes organizzò gli Olympian Games.

Una rassegna che prevedeva, oltre agli sport su pista, il cricket ed esercizi a cavallo, senza dimenticare sfide artistiche e letterarie. I Giochi furono un grande successo e – al contrario di molti ambiziosi progetti dell’epoca – non finirono nel dimenticatoio. La Wenlock Olympian Society ancora oggi organizza annualmente la propria rassegna con medaglie, corone d’alloro e tutto il resto. Le Olimpiadi prima delle Olimpiadi insomma.

Le due mascotte di Londra 2012 sono chiamate rispettivamente Mandeville (in blu) e Wenlock (quella grigia). Wenlock proprio in onore di Much Wenlock, la cittadina sede dei proto Giochi Olimpici di Brookes.

 

De Coubertin rimase affascinato dal progetto, ritenendo che fosse un ottimo spunto per fare le cose ancora più in grande. Abbandonando progressivamente la volontà di rivalsa verso l’Impero tedesco, il Barone cominciò a sviluppare una visione del mondo nettamente più pacifica e illuminata, in cui i popoli avevano il dovere di cooperare. Ideali liberali maturati in particolare durante un viaggio negli Stati Uniti in cui strinse una profonda e solida amicizia con il futuro Presidente Theodore Roosevelt, figura tutt’altro che banale e che incroceremo nuovamente nei prossimi capitoli. In questo contesto lo sport sarebbe stato il miglior volano possibile. Il mezzo dunque è sempre lo stesso, cambia il fine. Con la giusta organizzazione e le sponsorizzazioni adeguate si poteva arrivare a celebrare un evento globale capace di creare un senso di comunità e fratellanza globale.

Nel 1890 de Coubertin visitò l’ormai 82enne Dr. Brookes per rendergli omaggio e presentare la sua ambiziosa idea, ispirata dal sacro fuoco di Olimpia. Il Barone, tuttavia, doveva fare i conti con altri eventi organizzati con presupposti simili. In Svezia, un professore della Università di Lund, aveva dato vita ai Jeux Olimpiques Scandinaves, così come in Germania un’idea simile venne a Ernst Curtis, archeologo coinvolto nell’ultima parte degli scavi nel sito di Olimpia.

L’avversario più tosto del barone fu però Evangelis Zappas, un imprenditore greco che decise di stanziare un milione di dracme per rinnovare i fasti della Antica Grecia. I primi giochi organizzati nel 1859 ebbero una cassa di risonanza minima, attirando pochissime persone al di fuori della Grecia, mentre il secondo tentativo nel 1870 andò decisamente meglio: sembrava che tutto fosse apparecchiato per un successo eterno. La gloria fu effimera e, con la terza edizione del 1875, l’evento perse completamente di interesse. Probabilmente accostare a gare sportive “classiche”, altre non proprio convenzionali come l’albero della cuccagna e la corsa con i sacchi, non fu un’idea così brillante.

 

Un sogno che diventa realtà

Tentativi insomma tutti arenati con dei fiaschi clamorosi. Questo perché nessuno poteva vantare forse la più grande qualità di de Coubertin, ossia la capacità di smuovere gli interessi della gente e di pubblicizzare un evento. Cominciò a piantare i semi del suo progetto nel 1892 a una festa della neonata Union des sociétés françaises de sports athlétiques (USFSA), con un acceso discorso nel quale si sottolineava la necessità di internazionalizzare lo sport e, in quest’ottica, una versione moderna dei Giochi Olimpici sarebbe stato il viatico migliore. I dubbi inizialmente non furono pochi: molti membri del comitato infatti ritenevano le Olimpiadi un qualcosa di paragonabile ai misteri eleusini o l’oracolo di Delfi, tradizioni proprie di una cultura ormai lontana e ricordate solo a teatro.

Superate le rimostranze iniziali grazie alla sua proverbiale eloquenza, il Barone dovette scendere a patti però con un paletto imprescindibile per lo sport dell’epoca: l’amatorialità degli atleti. Per capire questa parola, bisogna contestualizzarla all’epoca. Siamo in pieno periodo vittoriano e l’upper class britannica, per escludere i ceti più umili, aveva stabilito che chiunque fosse impiegato in un lavoro manuale, dovesse essere escluso da giochi e attività sportive, in quanto incapaci – a detta loro – di incarnare i valori più puri dello sport. Esempio più lampante sono le regole ferree scritte per la Henley Regatta nel 1878, quella che diventerà una delle competizioni di canottaggio più importanti d’Inghilterra.

Partendo da un concetto molto estremo, l’idea di atleta amatore negli anni si ammorbidì, fino a descrivere chi non riceveva alcun tipo di bene materiale – che fosse denaro o qualsiasi altro tipo di ricompensa – grazie alle proprie prestazioni sportive. A de Coubertin poco importava che gli atleti fossero pagati o meno, gli interessava solo la performance: se poi avessero avuto un ritorno economico tanto meglio per loro. Tuttavia per accontentare il ramo più estremista della USFSA dovette cedere e imporre la regola: ormai la macchina era definitivamente in moto.

Il colpo decisivo avvenne nel 1894 con una conferenza organizzata alla Sorbona. Coinvolgendo 78 delegati da 9 paesi, tra cui anche il Principe di Galles, in un ambiente che trasudava Grecia Antica da ogni poro con quadri, statue e poesie recitate in lingua, il Barone stregò i suoi ospiti e ottenne il supporto e via libera per fondare il primo Comité Internationale Olympique. Nacque così il CIO, presieduto – non a caso – dal greco Demetrios Bilekas, un letterato residente da anni a Parigi, con l’obiettivo di aprire la prima edizione dei Giochi nel 1900, anno in cui nella Ville Lumière si sarebbe svolta l’esposizione universale. Sei anni di attesa: non si poteva anticipare? Ormai l’idea era germogliata e non c’era più molta voglia di aspettare. Con il senno di poi, forse sarebbe stato più saggio prendersi più tempo possibile.

Riposto in un cassetto il progetto Parigi, la meta più ovvia – grazie anche alla grande influenza di Bilekas – era Atene, la culla dei Giochi. Tutti erano entusiasti dall’idea di ricominciare da dove tutto era nato, tutti meno che i greci che ritennero l’organizzazione più un onere che un vero e proprio onore. Ne nacque uno scontro politico: da un lato il Primo Ministro Trikoupis, preoccupato dall’impatto finanziario della macchina olimpica (saranno passati 120 anni, ma i problemi sono sempre gli stessi), dall’altro l’opposizione che ovviamente caldeggiava particolarmente l’evento. Una impasse risolta soltanto con le elezioni del 1895 e la nomina di Theodoros Deligiannes, grande sostenitore dell’idea del Barone.

Dunque con molte deviazioni e qualche passaggio a vuoto, arriviamo finalmente nel marzo del 1896, con il miglior clima possibile per cominciare un evento di portata globale.

La primavera ateniese quest’anno è meravigliosa. Il sole splende e i Giochi sono pronti. Le paure e le prese in giro degli anni passati sono un solo un ricordo. Gli scettici non ci sono più. I Giochi Olimpici non hanno un singolo nemico.

Così il Barone scriveva in una lettera carica di ottimismo e aspettative. Ma cosa succederà esattamente ad Atene? Andrà tutto secondo i piani di de Coubertin? Appuntamento alla prossima settimana per scoprirlo. Restez avec nous.

 


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Di Lorenzo Bartolucci

Elegante mitomane stregato dalla scientificità del basket. Mi diverto a sputare sentenze su The Homies e Catenaccio, bilanciando perfettamente il mugugno ligure con l'austerità sabauda.