Si è da poco conclusa la regular season del campionato di Serie B 2023/24. Con merito, il Parma di Fabio Pecchia ha dominato il campionato e ha strappato con anticipo il pass per la Serie A. Con i ducali, disputerà la massima serie anche il Como, con alle spalle la proprietà più ricca dell’intero panorama calcistico italiano. Per contro, sono retrocesse Lecco, FeralpiSalò e, con non pochi strascichi, l’Ascoli.
In attesa degli ultimi verdetti su promozioni e retrocessioni, possiamo già stilare un bilancio su quanto il campionato ha proposto in termini di spettacolo e risultati. In realtà dovremmo ormai parlare di trend: già da alcuni anni infatti il prodotto Serie B risulta godibile e avvincente. Merito certamente delle modalità di fruizione che la Lega Serie B ha saputo trovare, ma anche di allenatori capaci di proporre nuove ed interessanti soluzioni tattiche che, in alcuni casi, sembrano decisamente funzionare. Per contro, ci sono realtà che pur provando ad abbracciare un’idea di gioco più propositiva, hanno incontrato molte difficoltà nel loro percorso.
Chi ha avuto successo: i casi di Catanzaro e Parma
Il Catanzaro è stata sicuramente la più grande sorpresa del campionato, un percorso che nasce da lontano. L’impresa, in questo caso, ha un nome e cognome: Vincenzo Vivarini. Il tecnico abruzzese è stato chiamato al timone delle Aquile nella stagione 2021-22, chiusa al secondo posto nel girone C di Lega Pro dietro soltanto all’inarrivabile Bari, e da lì è stato un continuo migliorarsi, preludio all’autentico capolavoro della stagione successiva: un dominio incontrastato come mai si era visto nel durissimo girone del sud Italia. I dati parlano chiaro: 30 vittorie su 38 partite e due sole sconfitte, 102 gol fatti e 21 subiti.
A colpire maggiormente non è stata la prolificità offensiva o l’ermetica difesa ma la proposta di gioco, un impianto decisamente raffinato per una squadra di terza serie. Un gioco arioso costruito ad una velocità vertiginosa, la ricerca ossessiva della costruzione dal basso, i continui tagli degli esterni, un ritmo infernale impresso alla partita: guardare il Catanzaro muoversi in campo, come un’orchestra sinfonica in cui ognuno era in grado di recitare il proprio spartito sotto la sapiente direzione di Vivarini, è stata un’avventura estasiante per il pubblico del Ceravolo. Un calcio che non è stato soltanto estremamente godibile ma anche e soprattutto molto produttivo, come ci ricordano i dati citati in precedenza.
Nelle varie discussioni successive alla promozione della Regina del Sud la domanda era sempre la stessa: riuscirà il Catanzaro a ripetersi in Serie B? Ebbene, il quinto posto in campionato con annessa qualificazione ai playoff ha fugato ogni dubbio. L’aver mantenuto l’ossatura fondante la squadra che ha raggiunto la promozione nella stagione precedente ha permesso ai calabresi di non risentire particolarmente del salto di categoria, fornendo anzi una spinta a perfezionare maggiormente i concetti di gioco proposti dal tecnico.
Il portiere Andrea Fulignati determinante in una costruzione che getta le sue fondamenta nel blocco arretrato, pur a dispetto di difensori centrali non eccelsi tecnicamente; i terzini in costante proiezione offensiva e i tagli mortiferi delle ali, che hanno permesso all’esterno Jari Vandeputte di finire nel taccuino di club ben più blasonati e di categoria superiore; l’eterno leader Pietro Iemmello, catanzarese doc, vera icona cittadina e capitano che con la sua leadership ha guidato un mix di giovani e veterani alla loro vera prima grande ribalta. Questi gli ingredienti magistralmente cucinati dal già citato Vivarini, simbolo di una rivoluzione calcistica silenziosa, che ha mostrato all’Europa come si possa arrivare ad una proposta moderna anche in un campionato solitamente poco incline a conciliare estetica e risultati.
Vincenzo Vivarini, allenatore del Catanzaro
Al contrario del Catanzaro, il Parma si presentava come una delle squadre favorite al salto di categoria. E di certo non ha disatteso le aspettative. Pecchia ha sublimato un lavoro lungo tre anni, fatto di spese anche folli che il patron Kyle Krause non ha lesinato. La sua idea di gioco è senza dubbio propositiva: in fase di non possesso si cerca un recupero palla molto alto, un pressing ultra-offensivo che garantisca un naturale e rapido ribaltamento dell’azione pizzicando mal schierata la formazione avversaria. In fase di possesso, invece, verticalità è la parola d’ordine. Passaggi continui alla ricerca della profondità che premino attaccanti rapidi e veloci come Valentin Mihăilă, Dennis Man e Ange-Yoan Bonny.
In mezzo al campo l’ordine e la qualità di Adrián Bernabè ed Hernani, uniti all’intensità di Simon Sohm e Nahuel Estévez, assicurano un ritmo sempre elevato. La palla transita a velocità vertiginosa e gli avversari difficilmente riescono a tenere il passo imposto dai ducali durante la partita. A dimostrazione di ciò, il Parma ha spesso ottenuto vittorie insperate anche nei finali di partita.
Fabio Pecchia, allenatore del Parma
Chi ha steccato: i casi Pisa e Spezia
Il Pisa si presentava ai nastri di partenza con una delle rose probabilmente più attrezzate per raggiungere quantomeno un posto nei playoff. Come ulteriore elemento di interesse, sulla panchina dei toscani si è seduto Alberto Aquilani, considerato da gran parte dell’opinione pubblica una sorta di predestinato, visti i successi ottenuti con la Fiorentina Primavera. Nonostante uno dei primi monte ingaggi della categoria e un inizio di campionato convincente, con la vittoria contro la Sampdoria a Marassi, la squadra ha sempre faticato. La costruzione dal basso pretesa dal tecnico romano è sempre andata a singhiozzo, dal momento che le caratteristiche tecniche dei centrali difensivi pisani, non proprio inclini alla manovra organizzata, mal si sposano con la qualità in impostazione del portiere Nicolas.
Il modulo utilizzato (4-2-3-1) ha depotenziato due delle armi più importanti a disposizione del centrocampo pisano: Miguel Veloso, progressivamente accantonato dopo una prima parte di stagione convincente, e Idrissa Touré, una delle mezz’ali con più forza e capacità di inserimento della squadra che, aldilà dell’infortunio patito nella prima parte di stagione, non ha mai trovato una collocazione all’interno dello scacchiere nerazzurro. Di contro, i tre trequartisti a supporto del centravanti hanno aiutato poco e male in fase di non possesso, lasciando spesso la squadra spaccata in due, anche a causa dell’appoggio costante dei terzini che, come prevede l’idea di gioco di Aquilani, accompagnavano l’azione portando fino a otto il numero di uomini in prossimità dell’area avversaria.
Il centrocampo si è quindi trovato spesso in difficoltà nel fronteggiare i contropiedi avversari e, per tutta la stagione, il Pisa ha subito gol sempre nello stesso modo, risultando addirittura la terza peggior difesa della categoria. Se è vero che il possesso palla arrivava anche a superare il 70%, questo è rapidamente divenuto sterile e fine a se stesso, con tanti passaggi orizzontali e all’indietro. Gli avversari hanno iniziato ad aspettare la squadra sempre più a ridosso della propria area di rigore, riducendone gli spazi a disposizione e pronti a ripartire a tutta velocità con una batteria di 4/5 giocatori non appena recuperavano palla, sfruttando i buchi di un Pisa tremendamente sbilanciato.
Alberto Aquilani, allenatore del Pisa
È noto quanto sia difficile, dopo una retrocessione dal massimo campionato, riuscire e resettare e ripartire, soprattutto con calciatori che hanno praticato poco la categoria cadetta. È ciò che è successo allo Spezia, salvatosi solo all’ultima giornata, con tanto di cambio di guida tecnica nell’accidentato percorso. Massimiliano Alvini, allenatore che conosce benissimo la cadetteria, non è riuscito nell’obiettivo di portare la squadra allo switch mentale necessario per affrontare la Serie B. Un gruppo poco coeso, fatto di giovani interessanti ma anche di ragazzi che hanno mal digerito la permanenza in cadetteria, ha fatto una fatica enorme ad imporsi, risultando la peggiore squadra del girone d’andata al netto delle neopromosse Lecco e FeralpiSalò.
Tra i problemi dei liguri un Daniele Verde visto solo a sprazzi, Mirko Antonucci che non si è inserito nei meccanismi e finito a Cosenza durante il mercato invernale, oltre a calciatori di peso come Filippo Bandinelli che non sono riusciti a trainare i più giovani ad un campionato di vertice. L’arrivo di D’Angelo ha portato pragmatismo e praticità ed evitato il disastro. Il mantenimento della categoria è sicuramente la nota lieta di quest’annata difficile per una squadra che ambiva decisamente a ben altri piazzamenti.
Luca D’Angelo è subentrato ad Alvini a stagione in corso, salvando lo Spezia
Gli aggiustamenti in corsa: Sampdoria e Cosenza
La Sampdoria affrontava il campionato di B con i galloni della squadra da battere. Retrocessa malamente dalla serie A, con Andrea Pirlo in panchina aveva gli occhi di tutti gli addetti ai lavori puntati addosso.
L’inizio e, a dirla tutta, l’intera prima parte di stagione, sono stati tuttavia al limite del disastroso per i blucerchiati. L’idea di gioco di Pirlo prevede una difesa a 4 molto mobile, connotata a inizio di stagione da un terzino sinistro adattato a centrale – Nicola Murru, già impiegato nel ruolo l’anno scorso con risultati rivedibili – e il continuo tentativo di costruire il gioco dal basso. Purtroppo i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative, culminati con l’ultimo posto in classifica dopo 10 giornate. I continui infortuni non hanno certamente aiutato, su tutti quello del talentino Estanis Pedrola. Pirlo tuttavia è parso inizialmente succube delle suo ego, tanto da insistere sulle proprie idee senza trovare una soluzione alla Caporetto che si stava prefigurando. La società , ad ogni modo, è sempre stata dalla parte dell’allenatore, conscia che una soluzione l’ex playmaker della Nazionale l’avrebbe potuta trovare.
E così è stato: a partire dalla gara di ritorno contro la FeralpiSalò, Pirlo ha deciso di mettersi a 3 dietro, assicurando più copertura ad un reparto che faceva troppa fatica quando attaccato centralmente, spesso in occasione di pressione alta sulla partenza dal portiere. Promossi definitivamente i giovani difensori Giovanni Leoni (17 anni) e Daniele Ghilardi (21), ha rinforzato il centrocampo con Ebrima Darboe e Gerard Yepes a supporto di Pajtim Kasami, lasciando liberi di agire a tutta fascia Antonio Barreca da un lato e Petar Stojanović dall’altro. Davanti, Manuel De Luca e Valerio Verre hanno avuto più possibilità di dialogare, segnando i tre gol con cui la Samp ha vinto il match contro i lombardi.
È stato l’inizio della svolta: col cambio di modulo la Samp ha perso una sola volta nelle successive 11 partite, raggiungendo la zona playoff e mantenendola fino alla fine del campionato, con un dignitosissimo settimo posto finale valso lo scontro con il Palermo nel primo turno.
Andrea Pirlo, allenatore della Sampdoria
Dopo diversi anni in cui il Cosenza si è reso protagonista di salvezze mirabolanti, risultando quasi un fenomeno mistico da studiare, un mercato importante e la scelta di un tecnico ambizioso come Fabio Caserta avevano aperto ben altri scenari per la piazza calabrese. L’inizio è stato molto convincente con una proposta offensiva decisamente moderna. Ma dopo poco i meccanismi si sono inceppati. La parentesi di Caserta si può riassumere nei due derby persi col Catanzaro. Tra queste due partite si è dipanato un percorso tribolato. La squadra presentava dei valori indiscutibili ma è risultata psicologicamente fragile sia dopo la prima che dopo la seconda sconfitta.
Il ritorno in panchina di William Viali ha riportato serenità , mantenendo la proposta offensiva ma con qualche accorgimento tattico. Quando i più pensavano all’ennesima salvezza sul filo di lana, una serie di vittorie ha spinto i calabresi fino al nono posto, ad un passo dai playoff. Inutile nascondersi, i rimpianti sono tanti, specie in un’annata in cui il figliol prodigo Gennaro Tutino ha dimostrato di essere un calciatore fuori scala per la categoria. I suoi gol e la sua personalità debordante hanno deliziato e trascinato il pubblico.
William Viali, subentrato a stagione in corso a Caserta sulla panchina del Cosenza
Il confronto con allenatori più “risultatisti”
La Serie B ovviamente mantiene ancora un numero importante di allenatori cosiddetti “risultatisti”. In questo senso è doveroso citare l’esperienza di Roberto Breda con la Ternana. Dal suo arrivo la squadra umbra è tornata a racimolare i punti che le hanno permesso di presentarsi ai play-out nonostante sia stata per parecchio tempo in zona retrocessione diretta. Il confronto col predecessore Cristiano Lucarelli è impietoso: 0,50 di media punti per l’ex tecnico livornese contro l’1,42 del subentrato. Senza troppi fronzoli, Breda ha ridato centralità alla fase difensiva, basando la manovra sulla fisicità di Antonio Raimondo, la verve di Filippo Distefano e sulle invenzioni di Gastón Pereiro, chiamato a sostituire la bandiera César Falletti ceduta a gennaio. Pochi concetti ma precisi, ciò di cui un ambiente irrequieto aveva bisogno.
Roberto Breda, allenatore della Ternana
Come Breda, anche Pierpaolo Bisoli è rientrato in corsa quest’anno dopo il triennio al Südtirol e l’esonero patito a dicembre. Da aprile a Modena ha collezionato 8 punti sui 15 disponibili consentendo alla squadra di raggiungere una salvezza tranquilla. Tra le sue capacità c’è sicuramente quella di sapersi adattare alla rosa a disposizione. Se al Südtirol aveva praticato un 4-4-2 molto abbottonato, a Modena ha optato per il 4-3-1-2, talvolta trasformato in 4-3-3, valorizzando le qualità a centrocampo di Luca Tremolada, vero e proprio faro della manovra dei canarini. Ma soprattutto Bisoli ha aggiustato la difesa, riuscendo a concedere solo 3 gol nelle 5 partite, due dei quali dal retrocesso Lecco nell’ultima gara della stagione.
Pierpaolo Bisoli, ha contribuito da subentrato a salvare il Modena
Al contrario, nonostante l’ottima media punti ottenuta dal suo arrivo in panchina, Massimo Carrera non è riuscito a salvare l’Ascoli. 1,44 di media punti rispetto allo 0,92 di Viali e all’1,00 di Fabrizio Castori. La situazione di classifica era ormai compromessa e nell’ultimo turno, nonostante la vittoria sul Pisa, i risultati provenienti dagli altri campi hanno condannato l’ex giocatore di Atalanta e Juventus ad una bruciante retrocessione.
Giochisti o risultatisti?
Riuscire o meno a proporre una calcio che sia al contempo piacevole ed efficace dipende in larga parte dal materiale a disposizione dei tecnici, questo è evidente. Il Parma, ad esempio, ha potuto beneficiare di una rosa di grande qualità per la categoria. Vivarini a Catanzaro, invece, ha avuto l’opportunità di portare avanti un percorso con giocatori che ha scelto in prima persona e che hanno caratteristiche che ben si sposano con la sua idea tattica.
Nei casi di Pisa e Spezia, al contrario, gli allenatori sono andati a sbattere contro le caratteristiche tecniche dei giocatori a disposizione. Con totale intransigenza si è provato a far digerire principi che mal si sposavano con le qualità di chi doveva portarli in campo. Il risultato è stato in un caso un campionato anonimo, condito da errori marchiani e da frequenti “mal di pancia” della tifoseria, nell’altro un esonero in corsa e la chiamata di un tecnico pragmatico che ha ha saputo riassestare la squadra, principalmente dal punto di vista mentale, tornando a far credere ai giocatori nelle proprie qualità .
La morale è sempre la stessa, una delle verità inattaccabili del pallone: perché una proposta tattica venga attuata con successo, società e allenatore devono condividerla sin dall’estate, quando viene formata la rosa a cui verrà richiesto di mettere in pratica determinati principi di gioco. Ciò è vero a maggior ragione se si intende proporre un calcio al passo coi tempi, contemporaneo e basato sul dominio della partita.
La Serie B sembra essere diventata un più che discreto laboratorio per nuovi allenatori. Alcuni di questi saranno chiamati già l’anno prossimo a dimostrare di poter applicare le proprie idee in un contesto più competitivo come quello della Serie A. Di contro, le nuove realtà che si paleseranno in cadetteria – Cesena, Mantova e Juve Stabia – vorrà no dimostrare che il loro successo e la loro organizzazione sono esportabili anche al piano di sopra.
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