Per Zeman il gioco di posizione non è più una bestemmia

Il Pescara ter di Zeman non è Zemanlandia e forse non lo sarà mai. Il decano più controverso degli allenatori del calcio italiano è tornato per la terza volta in Abruzzo con l’arduo compito di riportare il Delfino in serie B. Lo scorso anno subentrando in corsa ha raggiunto le semifinali playoff disputate, ironia del destino, contro il Foggia, perdendo ai rigori.

 

Ripartire

Zeman è arrivato a Pescara a febbraio con la squadra terza in classifica, ma con i giochi ormai fatti per il campionato. Sebbene Catanzaro e Crotone avessero già blindato le prime due posizioni, il Delfino non ha mollato e ha mantenuto la terza piazza fino al termine del campionato, ridando entusiasmo ad un ambiente partito con ambizioni di promozione diretta presto deluse. In estate il Pescara ha deciso di affidarsi alla più classica mistica zemaniana, lasciando plasmare al sapiente demiurgo ceco un gruppo di giovani talenti più o meno puri, con l’obiettivo di trasformarli in giocatori veri in grado di raggiungere ogni traguardo.

La dirigenza ha così deciso di monetizzare la buona stagione con diverse cessioni, Hamza Rafia al Lecce su tutte, per puntare su calciatori in cerca di riscatto o della prima affermazione in carriera. Luigi Cuppone è l’unico elemento acquistato a titolo definitivo in questa sessione di mercato: la punta di Nardò è senza dubbio un punto fermo nello scacchiere di Zeman. Accanto a lui scommesse come Antonino De Marco, sicuramente il profilo più affascinante di questa sessione di mercato, e Denis Manu, entrambi pescati in Serie D. Squizzato, Moruzzi, Cangiano e Accornero arrivano invece da varie formazioni Primavera, mentre Georgi Tunjov era reduce da una pessima annata, sia personale che di squadra, con la retrocessione della Spal.

 

Strenght in numbers

Zeman è sempre riconoscibile per quanto riguarda la filosofia di gioco e la sua impronta si nota soprattutto dal ruolino della squadra. Nove volte su tredici in campionato, il Pescara ha terminato la partita con almeno tre gol complessivi tra subiti e segnati. Come nella migliore tradizione zemaniana, il mantra è cercare sempre di segnare una rete in più dell’avversario. Andando più in profondità e osservando il primo terzo di stagione, la trasformazione dei ragazzi della rosa in raffinati prodotti calcistici non sta riuscendo del tutto. Uno dei fattori positivi di questo scorcio di annata è stata senza dubbio la crescita degli esterni. Terzini e ali hanno dimostrato di poter essere ingranaggio fondamentale per far girare il meccanismo offensivo. Prova ne sono le sei partecipazioni ai gol di Pierno, Milani e Moruzzi – gli esterni bassi in rosa – e i quattro gol a testa di Accornero e Cangiano, uniti ai tre di Merola.

I quattro gol del centravanti Cuppone non sono certo da buttare, tuttavia l’ex attaccante di Cittadella e Casertana sembra ancora un po’ in difficoltà nel ricoprire il ruolo di terminale di riferimento per una squadra di alta classifica in C. Lo si vede infatti spesso faticare un po’ nella gestione della palla negli ultimi 20 metri, porzione di campo che dovrebbe essere invece il regno di un attaccante top di categoria.

Il classe ’97 è sicuramente una punta molto associativa che, grazie alla sua conformazione fisica e al suo passo, è a suo agio nello scambiarsi di posizione con gli esterni in determinati momenti della partita. Ma soprattutto è sempre pericoloso quando la squadra può attaccare in campo aperto, pur dovendo migliorare nella finalizzazione. Edoardo Vergani è indietro nelle gerarchie e, per quanto Christian Tommasini sia la prima alternativa, è evidente che Cuppone sia il prototipo della punta che vuole Zeman. Per quanto i numeri possano raccontare di una squadra che ha perfettamente recepito i dettami del mister, analizzando le partite ci si scontra con una realtà diversa. Il Pescara fatica a mantenere alta l’intensità e troppo spesso si spegne.

 

Adattamento complicato

Capita spesso di vedere per lunghi minuti un Pescara non in grado di dare velocità al proprio possesso, occupando male il campo. In assenza di spazi da aggredire, spesso la squadra finisce per andare sotto ritmo. La situazione è aggravata dall’assenza di un solista, come era lo scorso anno Rafia, in grado di inventare la giocata anche nei momenti di stanca. In questi frangenti emerge l’inesperienza di un gruppo giovanissimo che finisce per essere vittima di sé stesso.

Nelle partite del Pescara non è raro vedere palloni lunghi estremamente velleitari, giocata esattamente opposta a quelle che esaltano questa squadra, fortissima negli scambi stretti e nell’aggressione degli spazi con le corse del terzo uomo. Questo genera la perdita delle distanze, lasciando il centrocampo in sofferenza con pessime coperture e una costruzione offensiva mediocre. In questo modo la squadra diventa disordinata e passiva: un’assoluta antitesi rispetto al calcio predicato da mister Zeman.

Quando il Pescara fatica ad accendersi, solitamente salta anche il banco del reparto arretrato: le marcature preventive non arrivano nei tempi giusti e di conseguenza si moltiplicano gli attacchi verticali degli avversari. Il calcio di Zeman è da sempre guidato dall’ossessione per l’accorciare verticalmente il campo verso la porta avversaria, con la linea difensiva sempre altissima anche in situazioni di estremo pericolo con la palla scoperta.

In questo contesto la capacità di filtro del centrocampo diventa fondamentale per mantenere i rischi elevati che la squadra si prende in fase di attacco. Tale atteggiamento sta mancando e il Pescara si scopre spesso fragile quando le imbucate avversarie sono di qualità. Alla mancanza di opposizione della mediana cercano di sopperire i difensori spezzando la linea per cercare la riconquista del pallone. Ciò genera inevitabilmente ulteriori spazi alle spalle della difesa, ed è proprio in queste praterie che hanno banchettato Torres e Recanatese. La squadra abruzzese soffre particolarmente anche le palle alte, sia da open play che da calcio piazzato. Se il Delfino ha segnato un solo gol di testa fino ad ora, ne ha concessi con la palla per aria poco più di un terzo dei diciassette totali.

 

Il ragazzo si farà

Come accennato in precedenza, sono molti i prospetti intriganti giunti a Pescara. Senza nulla togliere a Cangiano, Accornero e Merola, tutti arrivati in prestito e quindi difficilmente pensabili come progetti a medio termine, il più interessante è senza dubbio Antonino De Marco. Il ragazzo ha cambiato aria dopo un anno da protagonista in D in maglia Vibonese, con 24 presenze e 4 reti sotto la guida di Giacomo Modica, ex giocatore ed ex collaboratore di Zeman.

De Marco è quello che viene spesso definito un centrocampista moderno, in grado di giocare da play e da mezzala. Struttura fisica compatta, buonissimo piede e tempi di gioco non da diciannovenne al primo anno da professionista. Dovrà lavorare sulla struttura fisica per farsi largo in un calcio dove i chili contano tanto, ma è già al centro dello scacchiere abruzzese. Giocando prevalentemente da mezzala, De Marco ha già siglato una doppietta e un assist, a dimostrazione del fatto che un anno di scuola zemaniana a Vibo gli ha giovato tantissimo.

In campo è estremamente dinamico e ha abilità tipiche del centrocampista box to box. Se gli inserimenti senza palla non sono un problema, deve però crescere nella qualità delle scelte e della gestione palla nell’ultimo terzo di campo, focalizzandosi sull’occupazione degli spazi in difesa. La stoffa c’è e le undici presenze stagionali con oltre seicento minuti giocati ne sono la prova. Da Pescara è già passata un decennio fa una mezzala di altissimo livello che proprio sotto la guida di Sdengo si è rivelato al mondo. La speranza, anche se il talento sembra diverso da quello di Verratti, è che l’avventura in Abruzzo possa essere per De Marco l’inizio di una parabola simile e magari più apprezzata in patria.

Il giocatore ha un contratto fino al 2026 e in estate è stato corteggiato da Avellino, Bari e Pro Vercelli. L’asse Modica-Zeman ha avuto la meglio e De Marco si trova ora nell’ambiente ideale per fiorire.

 

L’evoluzione di un dogma

Nonostante Zeman venga visto come l’emblema di un calcio sempre uguale e se stesso, quando la banda di ragazzini terribili che gestisce riesce ad alzare i giri del motore, emergono degli elementi di modernità che hanno attecchito con successo nel dogma. Sebbene la ricerca di superiorità numerica grazie al lavoro coordinato delle terziglie è da sempre uno degli stilemi più riconoscibili del 4-3-3 zemaniano, in questo Pescara si vede con buona frequenza la ricerca della superiorità posizionale.

Quel tipo di superiorità che si genera quando un giocatore si mette alle spalle della linea di pressione avversaria, pronto a ricevere per attaccare la linea successiva. Una delle soluzioni introdotte nel calcio contemporaneo dai profeti del juego de posicion. Anche le soluzioni fornite agli esterni, tanto alti quanto bassi, presentano elementi di innovazione rispetto all’ortodossia.

Possiamo infatti vedere gli esterni alti effettuare cross dai 25 metri circa, a piede invertito, superando la direttrice del vertice dell’area con lob che vanno a cadere alle spalle della linea difensiva sul lato debole. Una situazione di gioco che ormai è esplosa in campionati di altissimo livello come la Premier League e largamente adottata perché, dati alla mano, è spesso più pericolosa rispetto ai traversoni tradizionali. Nella proposta di Zeman si può vedere l’esterno alto o basso che arriva ad attaccare l’area avversaria cercando la ricezione nel corridoio tra limite dell’area e area piccola per rifinire dal fondo. Si tratta di un’altra giocata stereotipica del calcio contemporaneo, guidata dai dati in nome dell’efficienza massima.

 

Zeman cambia tutto affinché nulla cambi

Stride pensare all’accostamento tra i metodi ormai mitici ma impolverati che hanno sicuramente modellato la leggenda di Zeman e questi elementi data-driven che hanno cambiato e stanno cambiando in continuazione il calcio ai massimi livelli.

Il boemo in carriera ha stupito tutti a più riprese, rimanendo sempre fedele al suo personale codice morale e calcistico, ma la sensazione è che Zemanlandia si avvii a chiudere definitivamente. Non la vedremo mai compiutamente in questa terza esperienza in Abruzzo, dove forse il talento della rosa non è abbastanza spiccato per riproporla. Inoltre, le ambizioni di una piazza importantissima come Pescara non sembrano corrispondere agli sforzi effettivamente profusi per soddisfarle. In Abruzzo, comunque, da anni Zeman rappresenta qualcosa che va oltre il calcio.

Il boemo è per Pescara l’uomo che ne garantisce la rilevanza, l’uomo della Provvidenza che porterà il Delfino di nuovo al tavolo dei grandi, di nuovo in quella Serie B che dovrebbe essere lo standard, la base sulla quale ricostruire per poi puntare ancora più in alto. Un personaggio ormai talmente legato a Pescara che non è una bestemmia considerarlo un raro caso di profeta in patria, sebbene sia nato a 1300 chilometri di distanza. Una figura messianica in grado di accendere i sogni e l’entusiasmo grazie ad un’identificazione pressoché totale tra la guida tecnica del boemo e il riscatto di una città.

Durante la stagione, sicuramente, ci saranno periodi o singole partite in cui si vedrà qualche sprazzo di Zemanlandia, ma difficilmente il bilancio complessivo farà parlare di un ennesimo miracolo in provincia. Questo alimenterà, con ogni probabilità, la pletora dei detrattori di Zeman che lo vogliono, nel migliore dei casi, come un perdente di successo. Quel che è sicuro è che Sdengo, da maestro di calcio qual è, avrà insegnato molto ad un’altra generazione di giocatori che hanno la fortuna di averlo incontrato.

 


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