Il calcio italiano ha un problema con la violenza di genere


“Siamo rimasti molto colpiti dalla tragedia di Giulia Cecchettin. Per le partite della prossima settimana prepareremo una maglia speciale contro la violenza sulle donne, e i capitani delle squadre leggeranno una poesia”.

A parlare è Luigi De Siervo, amministratore delegato della Serie A, interrogato a tal proposito dai giornalisti intervenuti al Social Football Summit di Roma. Non sono state le uniche parole a riguardo da parte di De Siervo, che ha ricordato come tale iniziativa si inserisca in un quadro più ampio. Dal 2018, infatti, la Serie A ha lanciato “Un Rosso alla Violenza”, iniziativa che mira a sensibilizzare i tifosi, sia allo stadio che davanti alla tv, ad adottare comportamenti consapevoli e rispettosi verso il genere femminile, ripudiando la violenza di genere in ogni sua forma.

Attraverso l’utilizzo di hashtag dedicati e campagne pubblicitarie ad hoc, la Lega punta da cinque anni a lanciare un messaggio piuttosto chiaro. Non si è lesinato nemmeno sulla scelta dei testimonial che hanno prestato il loro volto nel nome della responsabilizzazione. Col passare degli anni, si sono alternati Bernardo Corradi, Matteo Pessina e un vero e proprio carico da undici: Alessandro Del Piero. Anche loro, come tutti i calciatori che scendono in campo nelle giornate dedicate alla campagna della Serie A –  quasi sempre nei turni a ridosso del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne – si sono sporcati il volto con uno sbaffo di rossetto. Un gesto simbolico, che in questa situazione assume una doppia valenza. Il rossetto viene utilizzato come archetipo di appartenenza al genere femminile, ma anche come rimando al colore del cartellino che nel calcio significa espulsione.

Non è casuale neanche l’hashtag di riferimento della campagna  – piuttosto cringe, a dire il vero – visto che, come recita testualmente il sito istituzionale della Lega Serie A, “dal 2018, Lega Serie A e Weworld danno un cartellino rosso ad ogni forma di sopruso e violenza verso l’universo femminile attraverso la campagna di sensibilizzazione nazionale #UNROSSOALLAVIOLENZA. Il simbolo della campagna, infatti, richiama il cartellino rosso per esorcizzare insieme a tutte le donne vittime di violenza la paura che vivono ogni giorno”.

 

 

Fin qui non ci sarebbe nulla di sbagliato, anzi. Al momento in cui scriviamo questo editoriale, su 295 omicidi commessi in Italia nel 2023, si contano 106 vittime di sesso femminile. 87 di queste uccisioni sono avvenute in contesto affettivo o familiare e ben 55 donne sono state assassinate dal partner o dall’ex. Quindi si può affermare con certezza che l’82% delle donne uccise nel nostro paese vengono ammazzate da chi sta loro vicino, o da a chi lo è stato a lungo. Numeri agghiaccianti, che impongono riflessioni profonde e che hanno scatenato negli ultimi giorni violente discussioni sui social. Quindi il fatto che la Lega Serie A, organo ufficiale del maggiore campionato dello sport più seguito in Italia, si impegni su questo tema può essere identificata come una presa di posizione importante, quasi obbligata dal buonsenso.

Soprattutto vista la conformazione del pubblico che segue il campionato, da sempre in maggioranza maschile, per quanto negli ultimi anni la forbice stia diminuendo. La Serie A ha quindi un potere importante e da questo potere deriva una grande responsabilità: parlando direttamente alla maggioranza della popolazione maschile di età compresa tra 15 e 65 anni ha l’opportunità di veicolare un messaggio chiaro e può diventare un attore di rilievo nella lotta alla violenza di genere in Italia.

 

La tabella rilasciata dal Ministero dell’Interno sulla tendenza dei femminicidi in Italia nell’ultimo triennio

 

Il dubbio che ci assale è però un altro, di non poco conto. Siamo sicuri che la Serie A, e la Lega Calcio in generale, siano nelle condizioni giuste per poter risultare credibili quando ci parlano di guerra alla violenza contro le donne?

 

La predica, in effetti, non sembra arrivare dal pulpito giusto. La Lega Serie A è una componente della FIGC, che regola e organizza il calcio in Italia, dal massimo livello fino ai campionati dilettantistici, passando per le divisioni di calcio femminile, giovanile e paralimpico. Si tratta della stessa Federazione che consente a Manolo Portanova, condannato in primo grado di giudizio dalla giustizia ordinaria a 6 anni di reclusione per stupro di gruppo, di giocare a calcio come professionista in Serie B. Portanova è tesserato per la Reggiana, che lo ha prelevato dal Genoa in estate.

Gli emiliani se lo sono messi in casa con la formula del prestito: quindi è di fatto ancora legato professionalmente ad una squadra di Serie A, che ne è la proprietaria del cartellino. Portanova si è sempre professato innocente, anche se nel 2022 la difesa del calciatore ha chiesto che il proprio assistito venisse giudicato col rito abbreviato, proponendosi di risarcire la vittima, la famiglia e le parti civili con una somma in denaro.

La tifoseria reggiana si è divisa in due schieramenti ben distinti, dopo l’arrivo di Portanova in città. Se un’ampia fetta di tifosi ha condannato la scelta di prendere il giocatore, minacciando di disdire abbonamenti e disertare lo stadio se la società non avesse mandato all’aria la trattativa, la tifoseria organizzata ha invece applaudito l’acquisto di Portanova. Durante un’amichevole a Toano, sede del ritiro estivo della Regia, le “Teste Quadre” hanno srotolato un eloquente striscione: “Fino al terzo grado nessuno è condannato”. Un segnale che il messaggio antiviolenza della Serie A non ha colpito nel segno, non riuscendo ad arrivare fino al cuore del target che si era prefissata di raggiungere.

D’altronde, la FIGC non sembra aver mosso chissà quali intenti per vietare a Portanova di giocare sotto la sua egida: l’uomo è colpevole, ma il calciatore no. Per la giustizia sportiva Portanova non si è macchiato di illeciti e quindi può giocare. Siamo sicuri che sia il messaggio corretto da far passare? Non è un concetto in contraddizione con i poderosi hashtag lanciati su X e Instagram? La vicenda comunque è ancora in divenire: nelle ultime settimane i procuratori dei tribunali sportivi, Ugo Taucer e Marco Ieradi, hanno chiesto cinque anni di squalifica per Portanova, con proposta di radiazione.

Non finisce qui, purtroppo. La Serie A è lo stesso campionato in cui gioca Demba Seck, sgusciante uomo offensivo del Torino di Juric. Il senegalese negli ultimi mesi è finito sui giornali non tanto per le sue doti in campo, quanto per una brutta storia di revenge porn. Ad accusarlo l’ex compagna, Veronica Garbolino, che ha denunciato di aver scoperto che Seck la stava filmando senza il suo permesso durante alcuni rapporti sessuali, minacciandola di diffondere i video qualora non fosse tornata sui suoi passi dopo la decisione di lei di troncare la relazione.

In una recente intervista concessa a Repubblica, Garbolino ha dichiarato di essersi accordata con la difesa di Seck per l’archiviazione del processo, terminato con una transazione economica da parte del calciatore nei confronti della ragazza. Come troppo spesso accade in questi casi, i riflettori si sono spostati dal presunto colpevole alla presunta vittima: Garbolino sostiene di essere stata oggetto di una pesante campagna di victim blaming che l’ha addirittura costretta a cambiare nazione.

 

 

E la Lega Serie A? Silenzio di tomba, nessuna parola sull’argomento e Demba Seck regolarmente arruolabile per il Torino. Dal 25 gennaio 2023, il giorno in cui Garbolino ha presentato la prima denuncia contro Seck, all’8 novembre, data dell’archiviazione, Seck ha giocato 17 volte in Serie A. Sospendere dalle competizioni un calciatore con un’accusa così pesante sulle spalle sarebbe stato un segnale potente: nessun tesserato per le squadre FIGC può anche essere soltanto avvicinato ad accuse del genere, non lo permettiamo. Invece, come ampiamente prevedibile, nulla di tutto ciò è mai stato detto o fatto.

Ci sono altri casi, che hanno fatto meno rumore ma che non per questo sono meno gravi. Nel gennaio 2023, per esempio, la giustizia ordinaria ha condannato a sei anni di reclusione ciascuno cinque calciatori della Virtus Verona – che milita in Serie C –  per una violenza sessuale di gruppo perpetrata su una ragazza di 20 anni. Tre di loro giocano ancora nei campionati italiani, uno di questi ancora alla Virtus.

In definitiva, il rischio che si stanno prendendo da ormai troppo tempo Lega Serie A e FIGC è quello di predicare bene ma razzolare malissimo. Far seguire dei gesti netti alle dichiarazioni d’intenti sarebbe la miglior maniera per rendere credibile una campagna che, di per sé, sarebbe sacrosanta. Una sacralità del messaggio che rischia di rendersi vana e vuota, perdendosi in parole e segni di rossetto.