Giovanni Floris e l’imbuto di Coverciano

Da qualche giorno circola sui vari social network la foto di Giovanni Floris in versione studente, chinato su un banco che sembra quasi essersi ristretto se confrontato con la sua mole fisica e con quella degli alunni che siedono con lui nella stessa fila. Occhiali ben saldi alle tempie e penna già pronta a carpire tutti i segreti impartiti nel corso della lezione, come un vero primo della classe. Trasuda giornalismo anche agli occhi dei più inesperti, di chi, cioè, si affaccia per la prima volta ai temi politici e quindi non ha ancora contezza delle innumerevoli serate spese da Floris nel trattare questi temi – in modi più o meno condivisibili. Agli habitué dei salotti politici è certo che il suo nome e il suo ruolo non sfugge. Il suo curriculum vitae giornalistico parla da sé: da Ballarò al più recente DiMartedì, Giovanni Floris è a tutti gli effetti uno dei protagonisti in attività più longevi del talk show in salsa politica.

 

La foto da studente

È indubbiamente per questa sua notorietà che il vederlo seduto tra i banchi di un’aula – e non in uno studio televisivo con in mano una classica cartelletta da presentatore a moderare gli animi che si surriscaldano – ha destato stupore. Intendiamoci: è da lodare il fatto che una persona “arrivata”, anche in età abbastanza giovane, abbia sete di conoscenza e voglia di perseguire le proprie passioni. Anzi, questo non può che essere uno spunto positivo per noi nuove generazioni.

Osservando la foto, ci si rende subito conto che non si tratta di un’aula qualunque. Lo si nota più dalle uniformi tutte uguali che da altri segni riconoscibili dell’aula. Per la verità, il contesto non lo si potrebbe desumere con precisione se non leggendo la didascalia della foto, postata sui profili social ufficiali dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio del Lazio. Precisamente, è un’aula in cui ha luogo il corso promosso dall’AIAC Lazio per ottenere la Licenza D (che consente di allenare fino all’Eccellenza maschile e fino alla Serie C femminile), la cui disciplina si trova nell’articolo 23 del Regolamento del Settore Tecnico. Stiamo parlando di un corso decentrato – e cioè organizzato da una sede territoriale – non di un corso che si tiene nella sede centrale di Coverciano.

 

Sognando la panchina

Dopo questo “scoop”, il noto giornalista ha ammesso – forse con tono anche troppo dimesso per la notizia in sé – che si tratta di una notizia vera. «Dico solo che è vero. È il mio sogno, ma non aggiungo altro», avrebbe detto Floris al Corriere della Sera. Che il giornalista romano fosse un appassionato di calcio non lo si scopre certo ora, ma che avesse necessità di costruire un rapporto così viscerale con il campo è piuttosto sorprendente, specialmente non essendo mai stato un addetto ai lavori. Immaginare Floris con un berrettino, con un k-way largo e con un fischietto appeso al collo a guidare lo slalom tra i cinesini è un’immagine che per certi versi fa a pugni con la figura istituzionale che potrebbe trasparire dalla televisione, ma che in alcun modo avrebbe controindicazioni di sorta.

Probabilmente, però, questo è solo frutto di una distorsione cognitiva: solo perché non siamo abituati – perlomeno a buoni livelli – ad associare al campo persone che non hanno avuto un trascorso su questo, non vuol dire che esse non possano ritagliarsi uno spazio. Per sintetizzare, non è detto che un trascorso sul campo sia garanzia di risultato e spesso ne abbiamo anche la prova. Per tornare al caso di Floris, sarebbe addirittura interessante vederlo all’opera e capire quali sono le sue idee di calcio, i modelli a cui si ispira e altri dettagli che si potrebbero evincere dal campo.

 

La lezione di Arrigo

Quando si ripropone ciclicamente il tema di un allenatore che non ha avuto un trascorso sportivo, non possono che rimbombare in mente le parole profetiche di Arrigo Sacchi: «Per diventare un buon allenatore non bisogna essere stati, per forza, dei campioni; un fantino non ha mai fatto il cavallo». In tutta sincerità, come si può dar torto all’allenatore che ha costruito una delle squadre più esteticamente gradevoli e al contempo più vincenti di tutta la storia del calcio? Che una persona che ha masticato calcio sia più portata, per una serie di ragioni, a vestire i panni dell’allenatore è una questione piuttosto logica, ma che questa condizione venga interpretata come un privilegio è inconcepibile. D’altronde, lo si diceva prima, non esiste alcuna certezza di essere buoni allenatori se si è stati calciatori. È con queste logiche contorte che si creano le caste, luoghi già saturati da chi ci entra per diritto acquisito: o nasci con la fortuna di saper trattare un pallone con i piedi, o la carriera di allenatore ad alti livelli ti è già preclusa.

 

Il caso Ancelotti jr.

Proprio qualche anno fa, in un’intervista su “La Gazzetta dello Sport”, Arrigo Sacchi tornava sul tema della concessione dei patentini UEFA PRO (ovvero il livello necessario per allenare nelle serie maggiori) e, dopo aver rivangato la storia del fantino e del cavallo, prendeva come esempio la questione Davide Ancelotti: «Ma lo sapete che il figlio di Ancelotti non è stato ammesso a Coverciano? Lui non ha mai giocato in A e nemmeno in B, ma è da diversi anni che fa il secondo di suo padre e mi pare che abbia contribuito non poco ai successi del Real Madrid: basta leggere che cosa dicono di lui i giocatori. Bene, per avere il patentino di Uefa Pro è dovuto andare in Scozia. Vi sembra normale?»

Il figlio del più noto allenatore del Real Madrid da anni segue il padre come membro dello staff e, pur godendo senza dubbio di una posizione privilegiata (non capita a tutti di essere figli di un ex calciatore e poi allenatore tra i più vincenti della storia), ha sempre dimostrato di meritare quella posizione, tanto da spingere Alessandro Alciato – per quanto piuttosto di parte – a prendere le sue difese di fronte a chi lo etichettava come “raccomandato”. Questo a dimostrazione che non sempre nel calcio italiano ad alti livelli paga la meritocrazia. Che conta più spesso il pedigree delle idee. Che piace più guardare al passato che al futuro. Paradossalmente, stando alle regole attuali, un allenatore-visionario come Arrigo Sacchi – per quanto ultimamente un po’ sopra le righe in veste di opinionista – avremmo avuto pochissime speranze di vederlo su una panchina come quella del Milan di Berlusconi, con tutte le varie implicazioni a cascata.

Giovanni Floris

 

Wild card

Nel caso del Floris-allenatore sono doverose alcune precisazioni, perché è fondamentale sottolineare che sebbene gli sia stato concesso un “privilegio” per essere ammesso al corso per la Licenza D, non ha certo tolto posto ad altri candidati meritevoli. Il privilegio – sempre secondo l’articolo del Corriere della Sera – consisterebbe nell’essere ammesso al corso tramite la presunta concessione di una wild card in quanto persona che si sarebbe distinta nel proprio campo, ma senza che sia stato un tesserato FIGC. Che poi, senza voler nulla togliere a Floris, chi è che lo decide in base a cosa uno si distingue nel proprio campo? È qui che a tutti gli effetti si apre un margine discrezionale che difficilmente può essere contestato: come si può dimostrare che una persona prescelta dalla FIGC non sia meritevole di questa nomina? Floris, a dire il vero, era già stato premiato dalla Federazione per il libro La prima regola degli Shardana, quindi è probabile che sia stato anche questo il motivo per cui gli è stata riservata una corsia preferenziale. Ma, come avrete capito, è un discorso che va oltre il singolo caso specifico.

 

Il bando

Al di là dell’opportunità o meno di distribuire wild card, stando al bando che presumibilmente riguarda il corso a cui il conduttore televisivo sta prendendo parte, la concessione di queste sembrerebbe essere prevista dal punto numero 5 dello stesso bando: «La F.I.G.C. si riserva la possibilità di ammettere al Corso, in sovrannumero, due candidati dalla stessa indicati perché in possesso dei requisiti di cui agli artt. 11 e 12 del presente bando». Lo stesso concetto si legge anche al successivo punto 9 del bando, il quale prevede la possibilità dell’ammissione in sovrannumero di «soggetti che nella loro carriera di calciatori abbiano partecipato ad almeno una fase finale dei Campionati d’Europa o dei Campionati del Mondo per Nazionali A con la Rappresentativa Italiana». Ma trattandosi in questo caso di una licenza base, può anche essere ragionevole ammettere in sovrannumero calciatori che hanno avuto una carriera importante.

Per gli 80 posti “regolari”, invece, viene stilata una graduatoria in base ai punteggi previsti dall’Allegato A al bando, che possono variare in base al cursus honorum di ogni richiedente. Ad esempio, aver giocato una o più partite in Serie A garantisce 4 punti, una o più partite in Serie B 3 punti etc. L’identikit ideale dell’ammesso al corso, stando ai punteggi del bando, potrebbe essere un laureato magistrale in scienze motorie che vanta un passato (anche una sola presenza per la verità) in Serie A.

Ma se questo può essere ammissibile per un corso base, come appunto quello della Licenza D, che si svolge su ambiti territoriali e quindi dà la possibilità di smaltire un numero più grande di allenatori, la situazione si va via via complicando fino al caso della licenza UEFA PRO, che, come si è detto, è un corso che si svolge esclusivamente presso la sede di Coverciano e che rappresenta il massimo traguardo raggiungibile. Già solo questo rappresenta una barriera all’ingresso: sono pochi, pochissimi, i candidati ammessi a frequentare questo corso e il fatto che sia un corso centrale non agevola le ambizioni degli aspiranti allenatori. Uno degli ultimi bandi pubblicati dalla FIGC per l’ammissione al corso per l’abilitazione ad “Allenatore UEFA PRO” prevede l’assegnazione di 20 posti (compresi quelli in sovrannumero), di cui almeno 10 provenienti dalla graduatoria.

Ciò vuol dire che – sempre nell’ambito di questo bando – potenzialmente il 50% degli ammessi al corso può essere scelto discrezionalmente dalla FIGC o dal Settore Tecnico. Uno dei casi, ad esempio, può essere quello dell’ammissione in sovrannumero, sempre a discrezione della FIGC, di un allenatore in possesso della licenza UEFA A che nella sua carriera da calciatore abbia preso parte alla fase finale di un campionato del mondo con la Nazionale A Italiana.

 

La conta dei posti

Supponendo che sui 20 posti disponibili 10 siano già “presi” da FIGC o da Settore Tecnico, la rimanente posta in palio si divide tra i 10 migliori candidati nella graduatoria stilata secondo i punteggi del bando. Sono sufficienti due conti per capire, in modo abbastanza intuitivo, che i punteggi maggiori li si raggiungono o con una buona carriera da calciatore alle spalle o con una buona (e magari anche lunga) carriera in panchina con le licenze inferiori. Basta leggere la lista degli ammessi al corso UEFA PRO di settembre 2023: sono tutti ex calciatori, non tutti di primissima fascia, salvo alcuni che rientrano nelle categorie previste dagli articoli 4, 5 e 6 del bando. Capitolo a parte per Del Piero, Abate e Parolo che sono stati ammessi al corso senza passare dalla graduatoria perché in possesso di licenza UEFA A e partecipanti alla fase finale di un Campionato del Mondo.

 

È innegabile che il modello di Coverciano rappresenti un imbuto e nell’immaginario collettivo può essere raffigurato come rappresentazione dell’Inferno dantesco, immagine che si può trovare su un qualsiasi libro di scuola superiore. L’ingresso è abbastanza capiente per poi restringersi via via. Da quest’imbuto, però, non è garantito che escano i più meritevoli, perché all’estremità ci arriva in maniera molto più agevole chi ha dimostrato di valere in una vita precedente. Allenare una squadra top è – giustamente – cosa di pochi e quindi le probabilità di arrivare a questo traguardo sono molto ridotte, se a questo si aggiunge che molti posti sono indirettamente e inspiegabilmente riservati a ex calciatori, ecco che la frittata è fatta.

Probabilmente, questo meccanismo poteva avere senso anni addietro, quando per i non addetti ai lavori poteva essere difficile anche solo concepire tutti i meccanismi che si celano dietro ai 90 minuti di esibizione domenicale. Ma ora, con l’attenzione maniacale che si è sviluppata intorno al campo, è assolutamente priva di senso la scelta di voler privilegiare chi il campo lo ha calcato. Anche perché, si ripete ancora, non esiste alcuna corrispondenza biunivoca tra l’essere stati buoni atleti e il saper essere dei buoni allenatori. Anzi, forse sono rari i casi in cui le due situazioni coincidono. Non bisogna andare molto lontano per supportare questa tesi, basta prendere come esempio i campioni del Mondo del 2006: al momento Gilardino sembra essere quello più saldamente attaccato alla sua panchina (è ancora troppo presto per giudicare De Rossi, anche se quanto visto finora con la Roma lascia ben sperare), gli altri (Grosso, Gattuso, Pirlo etc) stanno ancora cercando la loro dimensione e non è detto che riescano a trovarla.

 

Casta e futuro

In sostanza, che Floris sia stato ammesso come wild card – sempre secondo quanto riportato – a un corso per diventare allenatore è un problema? No, non lo è. O, per meglio dire, non è un problema la sua ammissione in sé, quanto che la FIGC possa dall’alto decidere di chi ammettere aggirando la graduatoria. Non c’è nessun caso Floris, quindi. Anzi, questo può essere solo l’ennesimo spunto di riflessione che si offre alla nostra Federazione per rendere più agevole la scalata ai non addetti ai lavori e quindi per abbandonare del tutto la possibilità di concedere privilegi di qualche tipo per essere ammessi. Sarebbe impreciso parlare di “liberalizzazione” del settore, perché in linea teorica l’accesso ai corsi – perlomeno a quelli base – non ha particolari restrizioni, anche se nei fatti questo viene reso difficile sulla base dei punteggi attribuiti dai bandi.  Dovrebbe essere la normalità che il Floris di turno possa essere ammesso al corso base per diventare allenatore e non l’eccezione, ecco.

Il calcio, anche grazie a tutti gli approfondimenti tattico-statistici e agli strumenti tecnologici, è cambiato e la comprensione degli esterni ai lavori è sempre maggiore, proprio perché l’evoluzione di questo sport ha portato a considerare come importanti anche altri fattori oltre a quelli strettamente legati al terreno di gioco. Dunque, che senso ha mantenere questi accessi privilegiati? Nessun senso, a meno che non si voglia continuare ad alimentare la formazione di una casta.

 


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catenaccio

Di Rocco Nicita

Classe 1996. In giro per il web da un paio di anni. Mi trovate su Sportellate o in qualche campo di Serie B.