Cosa ci lascia la Supercoppa in Arabia Saudita

Lunedì 22 gennaio 2024 si è svolta la finale di Supercoppa Italiana allo stadio Al-Awwal Park di Riyad in Arabia Saudita. Quest’anno la competizione ha cambiato format, consentendo l’accesso a quattro squadre: non più solo la vincente del campionato (Napoli) e della Coppa Italia (Inter) ma anche le rispettive seconde classificate (Lazio e Fiorentina). Un tentativo, forse maldestro, di emulare quanto già accade in Spagna o in Germania.

Così come per la competizione iberica, anche la Supercoppa Italiana si è giocata nella nuova Mecca (è il caso di dirlo) del football mondiale: l’Arabia Saudita.

Lungi da noi voler discutere gli aspetti più etici che tale scelta ha rappresentato ma, alla fine di questa cinque giorni saudita, cosa rimane del primo esperimento di esportazione massiva del nostro calcio?

 

Aspetti tecnici

Dal punto di vista puramente calcistico, lo spettacolo offerto nelle due semifinali è stato tra il modesto e il ridicolo: Inter e Napoli hanno dominato rispettivamente i propri incontri, affrontando Lazio e Fiorentina come se si stessero disputando amichevoli infrasettimanali contro compagini di Eccellenza. Risultato: doppio 3-0 e pochi, pochissimi interessanti spunti di riflessione.

La finale è stata invece decisamente più combattuta. E qui sorge spontanea una domanda: ma se la finale si è giocata tra le due vincitrici delle competizioni che danno accesso alla Supercoppa, era veramente necessario portare anche altre due squadre a competere nelle notti d’Oriente? Mistero.

Comunque sia, la finale è stata un po’ più interessante. Dopo un primo tempo di marca Inter con occasioni che però non hanno impensierito troppo Gollini, nel secondo tempo il Napoli ha tentato di farsi vedere di più in avanti. Kvaratskhelia ha scaldato i guanti di Sommer intorno al 50’ con un’azione delle sue ma, poco dopo, il Napoli è rimasto in dieci per l’espulsione di Simeone, che ha costretto la squadra di Mazzarri a giocare l’ultima mezz’ora in inferiorità numerica e a difendersi sempre più in apnea fino al 91’ quando, da un cross radente di Pavard, Lautaro ha trovato la zampata vincente. Game set and match.

 

Il pubblico

Le due semifinali non sembrano aver incontrato in toto il gradimento dei palati sauditi. Per Napoli-Fiorentina i presenti allo stadio erano solo 9.762. Dato decisamente misero se si considera che scendeva in campo la squadra campione d’Italia in carica.

La vista dall’alto degli spalti dello stadio di Riyad durante Napoli-Fiorentina

 

Meglio è andata l’altra semifinale che ha annoverato una cornice di pubblico di 20.767 spettatori. Probabilmente il prestigio e il blasone dell’Inter travalicano più facilmente i confini nostrani e anche nella penisola araba sanno un po’ tutti chi sia Lautaro Martinez. 

La finale ha invece visto la presenza di circa 24.900 spettatori che, considerati i 25.000 posti dell’Al-Awwal Park, si può considerare un buon risultato.

Alla luce di queste tre partite, pare comunque evidente che la nuova formula può avere un certo qual significato se a scendere in campo sono squadre davvero conosciute all’estero, altrimenti il flop è assicurato. Per fare un impietoso paragone, la Supercoppa Spagnola tenutasi nello stesso impianto solo pochi giorni prima, ha incontrato il gradimento di 71.891 spettatori totali (23.964 per incontro) portando in dote ai sauditi le prestazioni di Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid e Osasuna. Non proprio la stessa cosa.

Per fortuna al termine della manifestazione ci ha pensato l’attuale Presidente della Lega Calcio Casini a riportare tutti coi piedi per terra:

Come ha fatto l’NBA, stiamo valutando di portare tutte le dieci partite di un turno di campionato in un altro Paese, magari proprio l’Arabia, che per il calcio è diventato un Paese di riferimento già da diversi anni

Già ci si scalda il cuore nell’immaginare le partecipatissime Lecce-Frosinone o Empoli-Salernitana tra fumogeni e giochi pirotecnici.

 

La logistica

L’organizzazione e la tempistica dell’evento possono essere definite, senza mezzi termini, curiose.

Schedulare la competizione nello stesso impianto soltanto pochi giorni dopo la Supercoppa Spagnola (con tutti i paragoni del caso di cui in parte abbiamo già trattato), è stato un discreto harakiri per il nostro calcio. Impietoso il confronto in termini di pubblico e di prestazioni in campo. I sauditi avevano ancora negli occhi le giocate di Vinicius Jr. e Lewandovski e si sono ritrovati davanti Ikone e Rovella. Bene ma non benissimo.

A Riyad i cartelloni che pubblicizzavano l’evento sono stati letteralmente incollati sopra quelli che chiamavano allo stadio per la Supercoppa Spagnola, con risultati al limite del fantozziano.

Senza contare ciò che le squadre che partecipavano all’evento si sono lasciate alle spalle in Italia: un turno di campionato falcidiato dagli “asterischi”, in cui 4 gare su 10 sono saltate per consentire lo svolgersi di una manifestazione in un altro paese con tutto quello che ne consegue in termini di classifiche “reali” e punteggi “falsati” (qualcuno ricorda il famoso asterisco di Bologna-Inter del 2021?).

Suona infine quantomeno strano che nell’epoca dei “calendari asimmetrici” non si sia potuto prevedere un turno di campionato in cui le quattro squadre impegnate in Supercoppa si affrontassero tra di loro, riducendo al minimo i risultati mancanti e, soprattutto, riducendo al minimo l’impatto sulle date da trovare per recuperare quelle partite.  

 

L’aspetto economico

Senza prenderci in giro, il principale motivo che ha portato a questa trasferta in Oriente (per una volta ad esportare calcio, invece della solita democrazia), è ovviamente il ritorno economico.

Per la fredda cronaca (e i freddi numeri), le due semifinaliste sconfitte si sono portate a casa, a testa, 1,6 milioni di euro; la finalista sconfitta si è consolata con 5 milioni, mentre la squadra campione, oltre al trofeo, si è aggiudicata 8 milioni di euro, ossia un premio superiore all’intero budget dell’edizione del 2022.

È del tutto evidente che con queste cifre in ballo il nostro calcio, subissato e martoriato dalle perdite, cerchi e ottenga nuova linfa per provare a tenere la testa a galla un po’ più a lungo. Niente di particolarmente prospettico, sia chiaro, ma come nella migliore tradizione italica, un po’ di sano vivacchiare non ha mai ucciso nessuno. 

 

L’etica

È vero, avevamo promesso di non parlare di problemi etici. Ma concedeteci uno strappo menzionando a nostro avviso i due episodi che maggiormente denotano l’impreparazione del nostro calcio all’esportazione e l’impreparazione dei sauditi alla fruizione del nostro prodotto.

Al termine della prima semifinale non è di certo passato inosservato lo striscione srotolato dai pochi temerari supporters in tribuna recante l’eloquente messaggio “Lazio merda”. Ora, fermo restando che si era appena svolta Napoli-Fiorentina e che la Lazio avrebbe giocato solo 24 ore più tardi, il messaggio rimane comunque decisamente forte se inteso come risposta alle dichiarazioni rilasciate da Maurizio Sarri. Sulla condivisione o meno delle parole del tecnico dei biancocelesti lasciamo libera coscienza ai lettori, tuttavia stride abbastanza che uno striscione, forse l’unico presente sugli spalti, presentasse un’offesa ad una delle partecipanti alla manifestazione, segno che da una parte sarebbe meglio soppesare un po’ di più le parole (la Lazio ha comunque avuto 1,6 milioni di motivi per presentarsi alla trasferta) e, dall’altra, che se proprio si vuole cercare di ripulire l’immagine del proprio paese, certi scivoloni magari si potrebbero evitare.

Quanto accaduto all’inizio del secondo tempo della finale, poi, è a dir poco irricevibile. La Lega Calcio, in un inaspettato quanto doveroso slancio morale, ha deciso di commemorare l’improvvisa scomparsa del grandissimo e indimenticabile Gigi Riva con un minuto di silenzio prima del fischio di inizio della seconda frazione. Giocatori fermi come da prassi e pubblico che sugli spalti fischiava a più non posso, ignaro del perché oltre che di chi fosse stato Gigi Riva. Un boomerang senza precedenti.

Basterebbero quindi solo questi ultimi due episodi per far pendere la bilancia di questa esperienza sul piatto negativo. Nonostante questo, siamo certi che il prossimo anno torneremo ancora più tronfi tra le sabbie del deserto, pronti a genuflettere il nostro onore e la nostra memoria alla mercé del miglior offerente.

 


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catenaccio

Di Dario Tagliaferri

Informatico di professione, allenatore di calcio per bambini per diletto. 40 anni ma ne dimostro meno. Dicono che odio tutti, ma solo quando piove.