La Serie A del grande schermo

Avete presente quando a fine stagione saltano fuori quei video recap che ne raccontano gli snodi cruciali? Solitamente come titolo riportano variegate variazioni sul tema “Il film del campionato”. Ma un campionato non è un film solo, sono tanti film diversi che compongono un’intera stagione cinematografica: la storia d’amore tra un giocatore e la sua nuova/vecchia tifoseria, l’inseguimento mozzafiato tra la squadra in fuga e le compagini che si lanciano sulle sue tracce, lo slasher horror della lotta salvezza dove di sette otto squadre se ne salva solo una…

Gli stessi protagonisti della stagione, poi, possono essere dei film nel film. Grazie alla suggestione dell’illuminatissimo direttore di Puntero, ho deciso dunque di dileggiarmi nell’individuare alcuni esempi: dimmi chi sei e ti dirò che film mi ricordi. Ovviamente si tratta di una mia pura e arbitraria associazione di idee, ma mi sembra un ottimo gioco che potete replicare anche nelle serate tra amici in cui indovinare il personaggio famoso vi sembra troppo rischioso per la vostra incolumità.

Mi sono limitato alla nostra Serie A per motivi di spazio e pigrizia, ma non ho rinunciato a una scena extra dopo i titoli di coda. Buio in sala!

 

Matias Soulé: C’è ancora domani (2023), Paola Cortellesi

L’esordio alla regia di Paola Cortellesi ha convinto tutti. La critica, che è rimasta piacevolmente sorpresa dai toni, dal messaggio e dalla messa in scena del film; il pubblico, che ne ha decretato il successo commerciale facendogli superare ampiamente i venti milioni di incassi (ultimo film italiano a esserci riuscito: Tolo Tolo di Checco Zalone); i distributori del film, che si fregano le mani per questo Natale arrivato in anticipo.

“Cioè fammi capire: hai preso Soulé a 1 fantamilione e quello prima di te ha preso Success a 10?” “Sì!”

 

Se c’è un giocatore che in questi primi tre mesi di campionato italiano ha fatto la stessa ottima e sorprendente figura di C’è ancora domani, non può che essere Matias Soulé. Come il film della Cortellesi, anche Soulé sta convincendo tutti e facendo felici tanti. Un impatto del genere sul campionato, alla prima vera stagione ad alti livelli, non se l’aspettava nessuno, ma tutti hanno da guadagnarci: la critica specializzata rappresentata dal giornalismo sportivo, che sta tessendo le lodi del gioiello argentino; il pubblico di Frosinone, che segue con gli occhi a cuore le prodezze sue e di tutti i gialloblù in un campionato attualmente sopra ogni aspettativa; sicuramente la Juventus, che ne detiene il cartellino e non vede l’ora di raccogliere quanto seminato, sia in caso di rientro all’ovile, sia in caso di monetizzazione sonante.

Nota di colore per confermare il parallelismo: essendo di proprietà della Juventus, Soulé è a tutti gli effetti un giocatore bianconero, così come in bianco e nero è C’è ancora domani (nota di colore, ahah! L’avete capita?)

 

Rafael Leao: Barbie (2023), Greta Gerwig

Volendo giocare alla provocazione, il blockbuster dedicato alla bambola più famosa del mondo è riuscito in pochi mesi a portare a casa il risultato che decenni di cultura femminista hanno cercato senza successo di raggiungere. Il fenomeno cinematografico Barbie, coloratissimo, stravagante, intelligente, ha avuto il merito di mettere alla berlina e sconfessare decine di stereotipi di genere e soprattutto di raggiungere un pubblico eterogeneo e sterminato.

Nel nostro spesso cupo mondo pallonaro, Leao è come Barbie: vistoso, divertente e divertito, spensierato e vincente. La sua smorfia che somiglia così tanto a un sorriso mentre surfa sopra gli avversari è l’equivalente calcistico di Ryan Gosling che canta “I’m just Ken” e seppellisce con una risata decenni di machismo.

Per la rubrica “Chi sono? Solo risposte sbagliate”: Alessandro Borghese, gli Outkast, Joffrey Baratheon

 

Eppure, sia Leao che Barbie devono costantemente scontrarsi con la critica di non essere mai abbastanza. A Leao, decisivo nel Milan nel bene e nel male, non è bastato vincere uno scudetto praticamente da solo e risollevare il destino di una squadra che prima della sua esplosione era ancora a metà del guado, per vedere riconosciuti fino in fondo i propri meriti sportivi raggiunti fino ad ora. A Barbie viene rinfacciato un femminismo all’acqua di rose che rimane il prodotto di un’operazione commerciale turbocapitalista: in una parola, roba da pinkwashing.

Tutto parzialmente vero, per carità: non basta un film per cambiare una cultura ancora imbevuta di stereotipi e discriminazioni, e non basta solo un grande calciatore per restituire definitivamente un team alla sua storia gloriosa. Però sia Barbie che Leao sanno fare bene quello per cui sono pagati. E allora non è che il problema siamo noi? Noi che da una parte demandiamo a un prodotto di intrattenimento il compito di aprire gli occhi al mondo senza doverci impegnare in prima persona per cambiare le cose? Noi che dall’altra parte ci aspettiamo che un ragazzo poco più che ventenne sia il salvatore di una patria calcistica, senza considerarne i limiti e il contesto? Ai posteri (e ai premi Oscar) l’ardua sentenza.

Se il film di Barbie fosse la stagione del Milan: il momento dell’infortunio di Leao

 

Walter Mazzarri: Alex l’ariete (2000), Damiano Damiani

Walter Mazzarri è un meme. Non lo dico io, lo dice l’Internet. La sua carriera, pur fatta di alti e bassi, è stata sepolta sotto decine di gif e screenshot tra orologi e scuotimenti di capo, interviste possibili e giustificazioni improbabili. Anche ora che è tornato abbastanza sorprendentemente sulla cresta dell’onda del discorso sportivo, nessuno è disposto fino in fondo a dargli un credito dignitoso. Sarà per quell’aria da appuntato della Forestale, sarà per la sua scarsa capacità retorica, sarà quel che sarà ma ho la tragica sensazione che se anche dovesse fare cose miracolose nel suo ritorno a Napoli, il dominio pubblico continuerà a bollarlo come un simpatico fenomeno parastatale che ci fa tanto divertire mentre scrolliamo la timeline di Twitter (scusate, non mi sono ancora abituato a chiamarlo X).

Se Mazzarri fosse nato a San Francisco, si chiamerebbe Clint Eastwood

 

E qual è il film più meme di tutti nella storia recente? Quello maggiormente sbertucciato e citato per la sua improbabile comicità involontaria? Quello che tutti conoscono per la sua bruttezza talmente incontestabile da fare il giro e diventare memorabile? Io non ho dubbi e punto tutte le mie fiches su Alex l’ariete, capolavoro al contrario in cui Albertone Tomba interpretava (oddio, interpretare è una parola forte) il carismatico e intransigente carabiniere Alessandro “Alex” Corso, affiancato da una Michelle Hunziker quasi all’esordio sul grande schermo. Un ex sciatore senza alcuna esperienza davanti alle telecamere (se escludiamo le memorabili interviste, e anche qui andrebbe aperto un capitolo a parte) impegnato in un film d’azione. Chi può aver pensato che fosse una buona idea?

“Non ti muovere: ho visto un manuale di dizione, potrebbe essere pericoloso…”

 

Scene, dialoghi, recitazione… Di Alex l’ariete non si può parlare bene da nessun punto di vista, e la sua gioiosa legacy è ancorata all’indimenticabile performance attoriale di Tomba, che in questa frase può essere usato sia come cognome che come metafora per le sue espressioni facciali. Tutti conoscono Alex l’ariete, pochi – per loro sfortuna – l’hanno visto per intero, ma nessuno può negarne l’immortalità cringe. Insomma, sia Mazzarri che Alex l’ariete rimarranno nella memoria e nel cuore di tanti appassionati, purtroppo per i motivi sbagliati.

 

Andrea Colpani: Grand Budapest Hotel (2015), Wes Anderson

Devo ammettere che qui forse ho barato perchè, più che al film, ho pensato al suo autore. Va infatti innanzitutto riconosciuto che dal punto di vista estetico Andrea Colpani e Wes Anderson si somigliano: stesso taglio di capelli, stessa figura longilinea, stessi occhi chiari, stessa aria vagamente stralunata, stessa faccia potenzialmente da schiaffi. Se saltasse fuori uno zio in comune, non mi stupirei.

 

Ok, non come Giroud e Costil ma insomma non siate così pignoli

 

Ma oltre all’affinità visiva, Colpani e Wes Anderson sono accomunati dallo stesso altissimo credito hipster di cui godono, e che trasuda da ogni loro inquadratura o tocco di palla. Colpani è quella carta che l’appassionato di serie A si gioca quando vuole fare bella figura al bar ma è troppo pigro per andare oltre gli highlights di Youtube. Non è un caso che uno dei soprannomi attribuiti al centrocampista del Monza sia “Cool-pani” (l’altro è El Flaco, che richiama un altro dei top 5 calciatori hipster degli anni Duemila).

Ancora esotico al punto giusto, ma ormai riconosciuto e riconoscibile da tutti quelli che guardano il pallone in TV, Colpani è il Wes Anderson del calcio italiano, nella stessa misura in cui Wes Anderson è ormai quello che a briscola viene chiamato “fermino” per chi vuole parlare di cinema e far capire che non si è fermato al Marvel Cinematic Universe. Grand Budapest Hotel è il manifesto del cinema di Wes Anderson, oltre che il suo film probabilmente più visto (e giustamente, dato che è bellissimo). Insomma: Cool-pani al Fantacalcio, un biglietto per l’ultimo film di Wes Anderson in tasca e una canzone dei Cani a vostra scelta su iTunes. Portate la barba lunga e indossate un paio di Cheap Mondays. È il duemilaquindici. Siete felici.

“In che senso ‘Colpani adesso è troppo commerciale, meglio il primo disco’?”

 

Paul Pogba: Ghostbusters (2016), Paul Feigh

Tesserare un giocatore dalle indiscutibili qualità ma dalla altrettanto indiscutibile cartella clinica, nel periodo più difficile della sua carriera, per di più come cavallo di ritorno dopo anni di lontananza e dopo due stagioni a dir poco sotto le aspettative.
Sviluppare un reboot (qui la definizione di reboot per i meno avvezzi) di uno dei film di maggiore culto degli ultimi cinquant’anni, cambiando genere ai quattro protagonisti (da maschile a femminile) e puntando forte sui toni della commedia brillante al posto dell’avventura.
Cosa potrà mai andare storto?

“Salta su Paul, è omologata per cinque!”

 

Cito da Wikipedia: «L’11 luglio 2022 Pogba fa ritorno dopo sei anni alla Juventus […] Tuttavia, solo poche settimane più tardi, il centrocampista subisce una lesione al menisco laterale durante la preparazione estiva: dopo aver inizialmente provato una terapia conservativa senza successo, si sottopone a un intervento di meniscectomia, saltando così il resto del girone di andata del campionato. Ancora fuori nella prime partite del girone di ritorno, il 28 febbraio 2023 trova la prima presenza della seconda esperienza bianconera, in occasione del derby della Mole vinto per 4-2 contro il Torino. Anche dopo il rientro continua, tuttavia, a trovare poco spazio a causa di altri due infortuni patiti rispettivamente a marzo e a maggio, il secondo dei quali, subito nella sfida vinta in casa per 2-0 contro la Cremonese il 14 maggio 2023, lo costringe a concludere anzitempo la stagione».

Per tacere – anzi no, non taciamone – della squalifica per doping ricevuta all’inizio della stagione attuale che lo terrà fuori dai campi almeno per un anno e mezzo.

E al reboot com’è andata? Restando alle nude cifre, il trailer di lancio di Ghostbusters del 2016 è diventato il nono video per numero di “unlike” della storia di Youtube da quando esiste il tasto col pollice in giù; il film ha incassato la metà del budget investito; i commenti più lusinghieri della fanbase vanno dal “Ghostbusters non si tocca!” ad ogni variazione sul tema dell’augurio di morte lenta e dolorosa.

Due idee rischiose, non del tutto campate per aria, che però hanno finito per confermare la prima legge di Murphy. Non resta che suggerire al Polpo di vestirsi da acchiappafantasmi per il prossimo Carnevale.

 

Josè Mourinho: L’odio (1995), Mathieu Kassowitz

“Fino a qui tutto bene”. Se volessi riassumere in una frase l’esperienza del santone di Setúbal sulla panchina della Roma – cosa che in effetti sto facendo – direi che lo slogan di apertura del film di Mathieu Kassowitz del 1995 sarebbe perfetto.

L’odio è quello che ogni ingiacchettato con toppe ai gomiti e occhiali spessi definirebbe “film generazionale”, me compreso (anche se non porto gli occhiali spessi), grazie al suo memorabile mix di realismo e gangster movie sui generis. Questo racconto sincopato della banlieue parigina sempre sul limite dell’esplosione sociale e fisica mi sembra la metafora perfetta per descrivere la battaglia contro il mondo che Mourinho conduce ogni maledetta domenica in difesa del suo operato e della sua squadra. Contro le ingiustizie e la repressione del giochismo, a salvaguardia di un’identità meticcia dove non importa il colore della tua pelle, l’importante è che tu sia disposto a guidare un pullman da parcheggiare davanti alla porta. Quando parla in conferenza stampa, Mourinho ha il volto spigoloso di Vincent Cassell mentre imita il monologo di Taxi Driver allo specchio, e la stessa tigna incosciente davanti a qualsiasi critica.

Trivia: quello di spalle NON è Vincent Cassel, ma una controfigura. Ciò significa che quello NON è uno specchio, ma un buco nel muro.

 

Finchè la Roma porta a casa tre punti, by any means necessary, “fino a qui tutto bene”. Se poi arrivano le contestazioni o qualche sopracciglio si solleva davanti alle polemiche preventive dello Special One – maestro di maniavantismo –, ci si può sempre rifugiare nello slang per dire che in realtà siamo stati fraintesi. Nel film di Kassowitz, ciò si traduce nella speciale sintassi dei tre protagonisti, in cui l’ordine delle parole e delle sillabe viene spesso invertito. Nelle dichiarazioni di Mou, ben più prosaicamente, nel ritorno alla lingua madre.

“O problema não é a queda, mas sim o pouso.”

 

Mattéo Guendouzi: Trainspotting (1996), Danny Boyle

Prima di essere denunciato: la droga non c’entra. Però ogni volta che vedo Guendouzi in campo, ho le stesse sensazioni che provo quando nel capolavoro di Danny Boyle entra in scena Begbie, quello del bicchiere. Avete presente, no?

Guendouzi ti dà la sensazione di poter svitare la testa dal collo a qualcuno in qualsiasi momento. Sarà quella criniera a metà tra il guerriero di Braveheart e un qualsiasi motociclista di Mad Max, sarà che i suoi precedenti tra Inghilterra e Francia lo fanno avvicinare a una guardia del corpo la cui carriera è stata affossata dalle denunce per lesioni, ma il roccioso centrocampista laziale mi mette l’ansia.

“Va bene, va bene! S’è beccata una bicchierata e nessuno esce di qui finchè non scopriamo chi è stato!”

 

Trainspotting non è che metta l’ansia, oddio forse anche, però è irrorato della stessa sensazione di febbrile eccitazione che ogni tanto esplode, come nella già citata scena del bicchiere o ancor di più nella indimenticabile sequenza iniziale. Tra l’altro, quando corre Guendouzi non sembra un Renton con più capelli e meno occhiaie?
Mattéo, facciamo così: se ci incontriamo ti porto al pub, però ne beviamo solo un paio e poi andiamo a guardare le rotaie dei treni per rilassarci, ok?

“Oh ma sei sicuro che questa sia Roma Tiburtina?”

 

[Scena post-credits] OGC Nizza: 2001 Odissea nello spazio (1968), Stanley Kubrick

Ah come gioca il Nizza di Farioli!
Ah come tiene il campo, ah come organizza la sua difesa posizionale, ah come ragiona sulle transizioni offensive e difensive… Già, come? La verità è che non lo sa quasi nessuno.

Il Nizza di Farioli è il 2001 Odissea nello spazio della stagione 2023-2024. In che senso? Nel senso che ad oggi non si può parlare male del Nizza di Farioli, così come non si può parlare male del capolavoro di Stanley Kubrick. Peccato che il Nizza di Farioli non lo abbia visto giocare praticamente nessuno. E se qualcuno l’hai visto giocare, non l’ha capito. Esattamente come 2001 Odissea nello spazio: il proverbiale film spartiacque del cinema moderno, recentemente indicato da Martin Scorsese come suo film preferito, è un’opera di cui non si può parlare se non in toni aulici. Vi sfido però a lanciare un sondaggio tra i vostri amici: in quanti l’hanno visto? Anzi, in quanti l’hanno visto TUTTO? Non vale citare la scena degli scimmioni o il dialogo del pilota con l’astronave Hal… Intendo tutto, dall’inizio alla fine. Quante mani alzate ci sono?

“Hal, mi ricevi? Cerca su Google ‘Foto di Farioli”

 

Stesso discorso per il famigerato Nizza. Tolti quei cinque o sei highlights, chi si è degnato di guardarne una o due partite intere? Eppure se oggi non citi il Nizza come esempio virtuoso di calcio moderno, intelligente, organizzato, non sei nessuno. Intendiamoci: non dubito minimamente che sia così, che il Nizza giochi uno dei migliori calci d’Europa. Solo, non mi permetto di esprimere giudizi, giacchè io del Nizza conosco al massimo i colori sociali. E, per dire, io almeno 2001 Odissea nello Spazio l’ho visto.

 


Ascolta Catenaccio, il podcast di Puntero. Puoi trovarlo su Spotify, oppure ti basta cliccare qui sotto.

catenaccio

Di Paolo Cenzato

Autore e sceneggiatore quando posso, esercente cinematografico quando riesco, ho scritto per il cinema e per la televisione. Calciatore amatoriale, sono alto un metro e novanta e non so colpire di testa, ma ritengo che i corner corti andrebbero vietati per legge.