Guida sentimentale al Fútbol sudamericano

calcio sudamericano

Da parecchio tempo, ormai, tante persone mi chiedono il perché di questa mia enorme passione per il calcio sudamericano. Una passione ventennale che, come tutti i rapporti viscerali, è mutata nel tempo fino ad assumere le sembianze attuali, sicuramente meno istintive, più mature e consapevoli. Passione che tralascia i contorni calcistici per sfociare in tanti altri ambiti rendendo il Sudamerica un vero e proprio compagno di vita.

Mission di questa guida sentimentale è avvicinare il maggior numero di persone possibile a un panorama calcistico, e non solo, differente da quello a cui siamo abituati. Appassionarsi così, a tavolino, non è possibile e sarebbe la cosa più forzata che ci potrebbe essere. Ciò che si può fare è, invece, tendere la mano e lasciarsi accompagnare all’ingresso di una via che, se sarete incuriositi e attratti, potrete poi percorrere da soli.

 

Premessa: l’attrazione per il diverso

Per essere sedotti e investiti dall’onda sudamericana bisogna, però, essere predisposti al cambiamento. L’attrazione verso qualcosa di diverso è la condizione necessaria per accogliere nella propria vita un contesto culturale differente. Lo stesso richiamo verso il dissimile che ha portato, me per primo, a pormi domande del tipo: ma perché giocano così? Perché esultano in quel modo? Perché gli stadi sono così colorati? Le risposte a queste, all’apparenza semplici, domande sono arrivate in modo abbastanza naturale con il tempo, man mano che mi immergevo in un mondo affascinante e che non aspettava altro che essere conosciuto.

 

La metamorfosi del football

La prima sostanziale differenza è che, a partire dai primi decenni del ‘900, in Europa viene praticato un calcio diverso da quello giocato in Sud America. Gli inglesi hanno avuto un duplice merito. Da un lato, hanno fissato delle regole a un gioco che aveva preso piede tra le fasce più agiate della società. Dall’altro, hanno preso questo gioco e lo hanno portato in giro per il mondo. In Sud America, però, forse più che in ogni altra parte del globo, il calcio si è arricchito di quella passione che lo ha reso da subito popolare. Eduardo Galeano in “Splendori e miserie del gioco del calcio” in riferimento all’evoluzione del calcio in Brasile, scrisse:

Questo sport straniero diventava brasiliano man mano che passava dall’essere un privilegio per pochi giovani benestanti, che giocavano copiando, all’essere fecondato dall’energia creatrice del popolo che lo scopriva. Così nacque il calcio più bello del mondo fatto di finte, andature oscillanti e di gambe volanti che venivano dalla capoeira, danza guerriera degli schiavi neri, e dagli allegri briganti dei sobborghi delle grandi città”.

 

La Nuestra e quel senso di appartenenza fuori dal comune

Dal Brasile all’Argentina la sostanza non cambia. Il calcio è un fenomeno sociale che parte prima di tutto dalla strada, dal potrero. Il potrero esprime l’arte del giocare ovunque, con ogni mezzo e con la naturale spensieratezza di chi vuole esclusivamente divertirsi. Nel calcio argentino esiste un termine, la Nuestra, per indicare quello stile di gioco che identifica pienamente i valori del popolo. Quei valori che hanno portato, col tempo, alla nascita di tanti club fondati appunto per staccarsi dall’egemonia britannica. Concettualmente, la Nuestra va oltre il risultato, la tecnica o la tattica. È semplicemente un modo di pensare al calcio che può tradursi con un solo termine: identità.

È proprio questo fattore identitario che ci porta ad analizzare un’altra differenza tra football e fútbol: il senso di appartenenza. La sensazione di essere una cosa unica con il club tifato. La storia di Abdon Porte ne è l’esempio perfetto. Colonna del Nacional di Montevideo, Porte si tolse la vita nel 1918 proprio sul prato del Gran Parque Central. Il dolore per non essere più il calciatore di un tempo era troppo forte da poter essere sopportato.

Il Viejo Casale è invece il prodotto della geniale penna di Roberto Fontanarrosa, scrittore e fumettista argentino. Nel racconto dal titolo 1971″, l’autore narra le vicende del signor Casale, portafortuna del Rosario Central che, a detta sua, non aveva mai assistito dal vivo ad una sconfitta della sua squadra nel Clásico di Rosario. A ottant’anni, contro ogni parere medico, il Viejo venne letteralmente rapito e portato allo Stadio Monumental dove il Central, sconfisse il Newell’s qualificandosi alla finale del Campeonato Nacional. Casale morirà al fischio finale, perdendosi così l’incontro decisivo contro il San Lorenzo.

A volte, il senso di appartenenza, è talmente forte da andare apparentemente contro il proprio credo. Sempre Galeano scrisse di quella volta in cui il suo amico Osvaldo Soriano gli raccontò di quando un tifoso del Boca Juniors, in punto di morte, chiese di essere avvolto nella bandiera biancorossa del River Plate in modo da affermare compiaciuto: “così muore uno di loro”.

 

Gli apodos

In tutto il Sudamerica calcistico, eccezion fatta per il Brasile, il termine apodo indica il più classico dei soprannomi. Mentre dalle nostre parti il “nomignolo” è roba per pochi ed è talvolta dispregiativo, in Sud America è roba per tutti, calciatori, squadre, tifoserie ma non solo. Gli apodos ti contraddistinguono e ti accompagnano per tutta la vita fotografando, a volte, un preciso istante e immortalandolo nella memoria collettiva. Il primo ricordo che ho di Matias Almeyda è quando, nel 1997, arrivò alla Lazio dal Siviglia. Capello lungo e quattro polmoni. Per tutti, però, Almeyda è el Pelado. Istantanea di quando, qualche anno prima, arrivò al River Plate con una capigliatura molto corta.

 

Il relato

Se il modo di vivere il fútbol risulta essere differente, lo è anche il modo di raccontarlo. Il relato non è altro che la cronaca della gara. In Sud America assume quei contorni poetici che ne elevano di diritto la caratura. Il racconto diviene infatti la trasposizione aulica di ciò che il cronista, il relator, vede e vuole trasmettere a chi in quel momento non ha gli occhi per vedere ciò che realmente sta succedendo. Le emozioni provate nel sentire la descrizione di un gol, di un’azione, di una parata, di un gesto tecnico importante, possono essere uniche. Così come è unico il relato più famoso della storia del calcio, quello del gol del secolo raccontato dal più grande relator che sia mai esistito e che esisterà mai, Victor Hugo Morales. Una vera e propria opera letteraria in cui Maradona spicca il volo trasformandosi in barrilete cosmico.

 

Appassionarsi in cinque mosse

Se ciò che si scosta dalla normalità del calcio che hai sempre vissuto ti affascina allora sei pronto a coltivare, piano piano sempre più, una nuova passione. Ma da dove cominciare? Ecco quindi cinque modi per iniziare questa nuova conoscenza.

 

1. Un passo indietro nel tempo

Storia e calcio non sono due mondi paralleli, anzi. Se da un lato l’attualità è importante, perché ci fa vivere e capire la realtà, è altrettanto importante comprendere le origini di queste dinamiche così diverse. Con un salto indietro nel tempo potrete scoprire che, ad esempio, sulle sponde del Rio de la Plata, il calcio è arrivato con gli inglesi nella seconda metà del XIX secolo. La sua diffusione è poi strettamente legata alla costruzione della rete ferroviaria. Sarà possibile scoprire che, a fine ‘800, la guerra civile argentina ha portato alla federalizzazione di Buenos Aires. In quegli istanti la città di La Plata, casa oggi di Estudiantes e Gimnasia, non esisteva ancora. Fu costruita proprio dopo che Buenos Aires divenne capitale federale in quanto serviva una nuova città di riferimento nell’omonima Provincia.

In Brasile, invece, il calcio si sviluppa quasi contemporaneamente a San Paolo e a Rio de Jainero, ci mette un pochino di tempo in più ad affermarsi ma è decisivo nella lotta al razzismo. Da Peron a Pinochet fino alla giunta militare in Argentina, il calcio può essere inteso come lente di ingrandimento per studiare e conoscere la storia del ‘900 nel subcontinente sudamericano. Allo stesso tempo, per comprendere i fatti più attuali, è fondamentale studiare la storia. Perché e da dove sono nate alcune delle rivalità più accese al mondo? Da dove nascono certi modelli calcistici che ancora oggi vengono discussi? Perché Di Stefano prima di essere acquistato dal Real Madrid andò in Colombia? È sufficiente tornare indietro nel tempo.

 

2. Le partite da non perdere

In oltre cento anni di calcio sudamericano, anche se non tutti ovviamente caratterizzati dal concetto di professionismo, il numero di partite che possono essere segnalate è infinito. Ne cito tre che, per ragioni distinte, occupano un posto di diritto della storia del calcio.

La prima è forse la partita più importante di sempre per portata culturale e sociale: il Maracanazo, la finale della Coppa del Mondo del 1950 tra i padroni di casa del Brasile e l’Uruguay. Scovare i filmati dell’incontro è complicato. Più semplice, invece, reperire immagini e racconti utili per comprendere l’importanza storica dell’evento. Tra tutte quella di Obdulio Varela, capitano della Celeste che, dopo il gol brasiliano di Friaça, raccoglie il pallone dalla sua porta e, serafico, lo conduce in mezzo al campo smorzando così l’entusiasmo del pubblico una volta ripreso il gioco. L’Uruguay vincerà in rimonta aprendo una ferita che in Brasile non si rimarginerà mai.

La seconda, decisamente più recente, ci riporta alle qualificazioni CONMEBOL al Mondiale statunitense del 1994. Il 5 settembre 1993 la Colombia allenata da Francisco Maturana umilia, al Monumental, l’Argentina del Coco Basile. I due gol a testa della coppia RinconAsprilla e il sigillo finale di Valencia, spediscono l’Albiceleste allo spareggio intercontinentale contro l’Australia.

La finale di Copa Libertadores 2018 è l’ultima partita della lista ma solo perché cronologicamente più vicina a noi. Quella che comunemente viene definita come la finale eterna rappresenta forse l’apice di una fortissima rivalità che dura ormai da oltre un secolo. Dopo il pareggio per 2-2 nella gara di andata, disputata alla Bombonera, Boca Juniors e River Plate erano pronti per contendersi il trofeo all’Estadio Monumental. A poche ore dalla gara un gruppo di tifosi del River Plate assaltò il pullman che stava portando il club rivale allo stadio. Come conseguenza di ciò, la finale di ritorno venne disputata al Santiago Bernabeu di Madrid. Il finale, per chi fosse totalmente all’oscuro di quanto accaduto, lo lascio scoprire a voi.

 

3. A ritmo di musica

Il tango è il genere musicale che, nell’immaginario collettivo, riporta nell’immediato in Argentina e Uruguay. Carlos Gardel ne è forse il più importante cantante e compositore. Tra tutti i suoi brani, Volver è quello che preferisco. Se invece in assoluto devo scegliere quale canzone ascoltare, non ho il minimo dubbio, la scelta cadrà sempre su La Cumparsita di Geraldo Matos Rodríguez.

La Bossa Nova ci accompagna invece tra le spiagge di Rio. Il Brasile è un calderone di contaminazioni tra allegria, si susseguono nella Bossa i cui più grandi esponenti sono Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes e Joao Gilberto. Scegliere una sola canzone è complicato. Riporto però una frase di Jobim, manifesto del genere musicale: “tristezza e nostalgia hanno la stessa dignità della felicità, perché condividono la stessa bellezza”.

Così come in tutto il mondo, anche in Sud America possiamo trovare grandi esponenti del rock come Rata Blanca e Fito Paez. Non manca poi la musica folkloristica tra Perù, Cile e Bolivia. Insomma ciascuno può trovare il proprio genere di riferimento. In tutto ciò, o almeno questa è l’impressione che ne ho sempre avuto io, le gesta dei calciatori in campo sembrano sempre accompagnati dalla musica.

 

4. Leggere, leggere…leggere

L’unica via per parlare di qualcosa in modo credibile è conoscerla. Nell’era del digitale c’è uno strumento che, per fortuna, resiste: il libro. Per apprezzare davvero il calcio sudamericano è fondamentale bypassare quella coltre di informazioni mainstream che uniformano un po’ il tutto e ne affievoliscono il fascino.

Prima di approcciarvi, però, ai testi calcistici è doveroso dare una lettura a quegli autori che, forse più di altri, possono trasmettervi la conoscenza iniziale verso un mondo nuovo e dalle mille sfaccettature. Ne ho scelti tre. “Cent’anni di solitudine” è il grande classico di Garcia Marquez. Un’opera senza tempo che permette di comprendere realmente l’importanza delle origini, delle radici, della memoria storica. La stessa memoria storica che si incontra in un qualsiasi testo di Luis Sepulveda. Scegliete voi ma se proprio non sapete da quale partire, “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, può essere l’opzione giusta.

Tengo per ultimo Eduardo Galeano. Non perché sia meno importante ma perché rappresenta il ponte ideale tra società, cultura, costume e fútbol. “Le vene aperte dell’America Latina” è un viaggio di sofferenza lungo 500 anni tra le più importanti vicende storiche del subcontinente. “Splendori e miserie del gioco del calcio” è invece un viaggio, in racconti, per celebrare tutto ciò che ruota attorno allo sport più bello del mondo.

Ci sono poi dei libri che non possono mancare sugli scaffali delle librerie degli appassionati di calcio sudamericano. Da Osvaldo Bayer a Jorge Valdano, Da Soriano a Carlo Pizzigoni, i titoli sono molteplici. L’obiettivo però è comune, trasferire la scintilla che permetterà poi a ciascuno di alimentare con il proprio credo una nuova passione.

 

5. Video e social

Proverò a guidarvi ma lasciando al contempo la sorpresa dell’ignoto. Youtube è quello strumento magico che da anni ormai ci apre porte e portoni verso ciò che vorremmo approfondire. Sarà sufficiente digitare poche parole per imbattervi in documentari, interviste, partite e chi più ne ha più ne metta. Stesso discorso può valere per le piattaforme di streaming. Unico consiglio, non perdetevi il documentario sull’avventura di Maradona alla guida dei Dorados di Sinaloa. Infine, i social e le emittenti sudamericane sono lo strumento imprescindibile per rimanere allacciati al subcontinente nonostante viviate a migliaia di chilometri di distanza.

 


 

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catenaccio

Di Alessandro Sanna

Insegnante, tifoso del Cagliari ed esperto di calcio sudamericano. Ho scritto per la Rivista Sottoporta. Collaboro con Carlo Pizzigoni a "La Fiera Del Calcio". Conduco su Twitch la trasmissione "Boxtobox" e sono autore del podcast "Que Viva el Fútbol". Ho scritto due libri: "Fantasie calcistiche rioplatensi: Storie di fútbol tra fantasia e realtà" e "¡Que viva el fútbol!: Storie, aneddoti e cronache delle più accese rivalità sudamericane"