Il ritorno del professor Velasco

Julio Velasco torna sulla panchina della nazionale femminile dopo aver ricoperto il medesimo ruolo nel 1997, portando a casa un quinto posto agli Europei. Subentra a Davide Mazzanti che sicuramente paga le esclusioni eccellenti (Egonu in primis, ma anche Moki De Gennaro, Bosetti e Capitan Chirichella) e la mancata qualificazione diretta alle prossime Olimpiadi. Il ciclo dell’ex C.T. era ormai arrivato al capolinea: quando si fanno scelte così importanti, oltre che altamente impopolari, e i risultati non arrivano, i dirigenti sono costretti a rivedere i propri piani.

Il presidente della FIPAV Manfredi ha deciso di puntare forte e senza indugi sul Professore. Queste le sue dichiarazioni dopo la nomina: È una spanna sopra a tutti, è stata la nostra prima scelta. La presenza di Julio servirà a consolidare ulteriormente un ambiente già forte: nessuno meglio di lui può gestire certe situazioni”. Sembra chiaro il riferimento agli equilibri rotti da Mazzanti.

Il 71enne di La Plata, presentato l’8 novembre, ha però assunto l’incarico a fine dicembre, complice un lungo tira e molla: il tecnico si trovava contemporaneamente alla guida di Busto Arsizio, squadra militante in serie A femminile. Velasco ha escluso da subito la possibilità di un doppio incarico e quindi è stato necessario trovare la quadra, soprattutto per non penalizzare Busto che doveva adoperarsi in fretta a trovare un degno sostituto. Primo e imprescindibile obiettivo richiesto al neo selezionatore è la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi 2024, ottenibile con lo slot presente per il piazzamento nel ranking FIVB (rimanendo fermo come criterio prioritario quello della rappresentanza di tutti i continenti). Velasco ha esordito con la stampa in grande stile con una frase delle sue, diretto come solo lui sa fare:

Voglio disponibilità incondizionata per la Nazionale, non si prepara l’Olimpiade in un hotel a 5 stelle. Non si allena un esercito alla guerra in un albergo di lusso. Lo sport non è una guerra, ma è una competizione molto dura.

 

La gavetta e la nascita di un mito

Il sogno di gioventù di Julio Velasco è diventare professore di liceo e in questo concentra tutti i suoi sforzi. Un tentativo, però, che per qualche tempo viene lasciato in sospeso: Velasco interrompe gli studi a sei esami dalla laurea, trasferendosi a Buenos Aires. La vita in Argentina in quel periodo si può definire in molti modi e nessuno di questi è un sinonimo di “facile”: sono gli anni della dittatura militare. Si mantiene accettando i lavori più disparati e parallelamente inizia a nutrire la passione per il volley, sia da giocatore che da allenatore. Di lì a breve questo sport diventerà la sua professione, dopo aver finalmente conseguito la laurea in educazione fisica.

Il Ferro Carril di Buenos Aires è la sua prima palestra in patria, con cui si fa subito riconoscere ottenendo 4 titoli nazionali consecutivi, dal 1979 al 1982. Sempre in quest’ultimo anno fa da vice della nazionale argentina ai Mondiali che si giocano in patria, ottenendo la medaglia di bronzo. Lo nota Giuseppe Cormio, che punta prepotentemente su questo semi-sconosciuto tecnico argentino e lo porta con sé a Jesi, per guidare una squadra che ha appena vissuto la gioia della promozione in A2.

Il coach non perde tempo e si mette in mostra fin dalla prima occasione, trascinando la matricola marchigiana al secondo posto dopo una stagione a tratti vissuta da capolista. Nel 1985, però, la svolta che vale una carriera. La straordinaria stagione gli vale la chiamata della leggendaria Panini Modena, nella cattedrale del volley, dove incontra quelle che saranno le colonne portanti della pallavolo italiana per tutto il decennio successivo: Cantagalli, Lucchetta, Bernardi e successivamente anche Fabio Vullo.

Qui il Professore, come ormai lo chiamano tutti, riporta lo scudetto in terra emiliana e si conferma per altre 3 volte consecutive. Uno di questi titoli avrà un sapore particolare, visto che sarà conquistato utilizzando unicamente giocatori italiani. Modena vola anche in campo internazionale, raggiungendo per 3 anni di fila la finale di Coppa dei Campioni.


Alla guida di un gruppo di fenomeni

È solo l’inizio di un percorso lastricato di successi. Velasco inizia a stravolgere completamente il comune modo di intendere la pallavolo, sia a livello italiano che internazionale, imponendo silenziosamente il suo ruolo di leader e mentore. Oltre al lavoro certosino dal punto di vista tecnico, i giocatori agli ordini del Professore iniziano a prestare un’attenzione mai vista prima al lato fisico del gioco. Velasco è forse il primo coach a dare grande peso alle statistiche, utilizzandole come strumento di valutazione e di analisi per impostare il lavoro quotidiano e migliorare le prestazioni dei giocatori.

Al termine del ciclo vincente con Modena, Velasco riceve una chiamata che proprio non può declinare. A volerlo sulla panchina è la nazionale italiana, reduce negli anni immediatamente precedenti da un sorprendente bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. È una selezione giovane e promettente, a cui sembra mancare il proverbiale centesimo per fare una lira e ottenere il primo titolo della propria storia.

Due cose che non esistono più e che ci mancano, contemporaneamente: “Sfide” e la Generazione di Fenomeni

 

Come un Mister Wolf con l’accento platense, Velasco arriva e risolve il problema. Nel 1989, alla prima manifestazione da commissario tecnico, Julio Velasco conduce l’Italia a vincere l’Europeo di Stoccolma. Il suo credo vincente viene trasmesso ai grandi campioni presenti in quella nazionale: un compito facilitato dalla presenza nel gruppo di alcuni elementi chiave dell’epopea Panini Modena e che quindi diventano il tramite perfetto tra il coach e gli altri compagni. È l’inizio di un meraviglioso incantesimo che conduce all’esplosione del movimento nazionale e alla nascita di quella che si ricorderà nella storia come la “generazione di fenomeni“, che riceverà l’onore di essere premiata come Squadra del Secolo nel 2001. Il palmarès di quella nidiata baciata dagli dèi del volley è impressionante: 3 ori europei, 2 mondiali e 5 vittorie nella World League.

Un ciclo lungo sette anni che si concluderà ad Atlanta 1996 con una medaglia d’argento olimpica dal sapore amarissimo. Il 3-2 patito contro l’Olanda non potrà mai essere dimenticato da nessun appassionato: un risultato che volta le spalle alla Nazionale più forte di sempre al termine di un match clamoroso sia per intensità che per qualità di gioco e pathos.

Gli ultimi punti di una finale leggendaria, con dei pixel che ci portano davvero indietro nel tempo

 

Voltare pagina

Velasco in questo periodo raggiunge il picco della sua notorietà, diventando un personaggio al limite del nazional-popolare. Un risultato incredibile per uno sport come il volley.

Dopo la delusione a stelle e strisce, nel 1997 l’uomo di La Plata accetta l’idea di portare in alto anche la nazionale femminile. Non fa praticamente in tempo a sedersi in panchina che ottiene il primo titolo: dopo pochi mesi può mordere la medaglia d’oro ottenuta ai Giochi del Mediterraneo.

Gli Europei del 1997, giocati a Brno e Zilina, sono il primo vero banco di prova per lui e le sue ragazze. Lo strapotere delle squadre dell’Est Europa è ancora troppo difficile da contenere e la nazionale azzurra chiude con un quinto posto dolceamaro.

In seguito a questo risultato si concretizza una sua geniale idea e prende vita il Club Italia. Il progetto frullava nella testa del coach già da tempo: voci di corridoio riportano che la prima bozza del progetto sia stata messa giù da Velasco nella hall di un hotel ceco, in un momento morto durante la preparazione dell’Europeo. L’intento è quello di selezionare i migliori prospetti femminili della penisola per farli partecipare a campionati di categoria, senza obblighi di classifica. L’obiettivo è chiaro: far crescere gli elementi più talentuosi per prepararli all’approdo in un club della massima serie e, soprattutto, per costruire la nazionale del futuro. L’intuizione verrà ampiamente ripagata. Il programma voluto da Velasco fa nascere e crescere le stelle di Elisa Togut, Eleonora Lo Bianco, Simona Rinieri. Tutti elementi che conquisteranno il titolo mondiale nel 2002 sotto la guida di coach Marco Bonitta.

È una mossa pionieristica, a livello nazionale, e verrà presa in prestito da molti altri sport. Avete presente le società di calcio che fanno crescere i loro talenti nelle seconde squadre, oppure cercano affiliazioni con compagini di categorie inferiori per mandare sistematicamente in prestito le promesse più brillanti? Ecco, Velasco ci era arrivato con parecchi anni di anticipo.

 

Tra nuove suggestioni e vecchi amori

Nel 2001 Velasco torna sulla panchina di una nazionale maschile assumendo l’incarico di CT della Repubblica Ceca, poi si prende una pausa dal volley internazionale e torna in Serie A. È con la sua carismatica guida che Piacenza arriva nel 2003 alla finale scudetto, persa contro Treviso, una delle formazioni più nobili di tutto il panorama pallavolistico nazionale.

L’argentino non resiste poi al richiamo del PalaPanini e sceglie, dopo ben 15 anni, di tornare alla guida di Modena. Spesso, però, le seconde volte non sono mai soddisfacenti come le prime: questo capitolo della storia d’amore tra Velasco e gli emiliani non fa eccezione. Dopo un biennio di risultati altalenanti e ben poche soddisfazioni, Velasco lascia Modena. Sarà la Gabeca di Montichiari a godere, successivamente, della ritrovata verve di Velasco.

Nella stagione 2007-2008, infatti, il Professore suona la carica dei lombardi fino al raggiungimento dei playoff, che mancavano alla Gabeca da ben cinque stagioni. Sarà uno degli ultimi ruggiti di Montichiari nel panorama del volley nazionale. Dopo il tragico incidente che provoca la scomparsa del presidente della squadra, Marcello Gabana, nel 2009 sarà la figlia Giulia a prendere in mano le redini della Gabeca, optando per lo spostamento della squadra a Monza. Ma questa è un’altra storia.

 

Il gusto per l’esotico

Nel 2008, chiusa la breve ma positiva esperienza a Montichiari, Velasco è pronto a tornare ad indossare le vesti di selezionatore. Guida le nazionali di Spagna e Iran (che porterà alla storica partecipazione alla World League del 2013) per poi andare ad allenare la Nazionale del proprio Paese. È la prima volta che il Professore ha modo di lavorare come head coach per il proprio paese: un onore che Velasco sublimerà con la vittoria della diciassettesima edizione dei Giochi Panamericani, disputati a Toronto nel 2015.

Dopo un nuovo passaggio a Modena, durante il quale fa in tempo a vincere la Supercoppa Italiana del 2019, Velasco decide di ritirarsi dall’attività di allenatore.

Smetto senza aspettare il mio declino.

Non sarà un ritiro definitivo: come detto, nel 2023 prende in mano le redini della selezione femminile di Busto Arsizio, prima dell’approdo in nazionale a fine anno.

 

Talento interdisciplinare e creatore di concetti

Il talento del Professore, nel corso degli anni, non è rimasto inosservato. Il suo metodo di lavoro è stato mutuato anche in altri sport, uno su tutti il calcio. Il mondo del pallone lo seduce due volte: il primo a riuscirci è Cragnotti, che lo nomina direttore generale della sua Lazio, poi tocca a Massimo Moratti inserirlo nello staff dell’Inter. In entrambi i casi, tuttavia, il prof resta poco tempo. Quello tra Velasco e il calcio è un matrimonio che non s’ha da fare, forse anche a causa di incertezze e confusioni sul proprio ruolo e per la mancanza di libertà di movimento alla quale la leggenda del volley era abituato e che difficilmente gli veniva concessa in quel nuovo mondo.

Spesso il suo nome è stato accostato a carriere politiche che ha sempre smentito, anche quando la stampa lo segnava come papabile candidato al Ministero dello Sport. 

Le sue frasi e teorie sono state esportate come mantra in tutti gli altri sport, a dimostrazione di quanto il suo modo di pensare abbia mutato completamente il modo di intendere le varie discipline e più in generale il lavoro in team.

 

Le citazioni di un vincente per natura

Spesso le sue lezioni di leadership sono state proposte in contesti lavorativi che sono lontani dallo sport, ma molto vicini per dinamiche di gestione dei rapporti fra persone. Un uomo che con poche e semplici parole riesce a districare situazioni complesse.

Emblematiche sono le sue frasi più famose. Quante volte avete sentito dire, specie in quest’epoca social, che “chi vince festeggia e chi perde spiega“? Beh, sappiate che il primo a coniare questo motto è stato proprio Velasco.

Una delle più grandi battaglie filosofiche del Professore è sicuramente quella contro la cultura dell’alibi, fondamento delle lezioni che Velasco ha portato dietro le cattedre di tutta Italia, partendo dalla pallavolo per poi estendere il concetto a qualsiasi campo e situazione.

L’attaccante schiaccia fuori perché la palla non è alzata bene. A sua volta l’alzatore non è stato preciso per colpa della ricezione. A questo punto i ricettori si girano a guardare su chi scaricare la responsabilità. Ma non possono chiedere all’avversario di battere facile, di modo da ricevere bene. Così dicono di esser stati accecati dal faretto sul soffitto, collocato dall’elettricista in un punto sbagliato. In pratica, se perdiamo è colpa dell’elettricista.

Ha creato i talenti del passato e visto per primo quelli del futuro. Dall’alto di una mastodontica esperienza e di un intuito per il talento ai limiti del paranormale, Velasco è sempre riuscito ad inquadrare chi siano i perdenti e chi i vincenti, aiutato dal fatto che “i primi cercano alibi, i secondi cercano soluzioni“.

Quello di Velasco è un mito che il Professore si è costruito addosso usando come malta il lavoro quotidiano e la fatica come cemento. I risultati che ha ottenuto e la reputazione di cui gode sono monumentali e parlano ancora per lui. Un monumento allo sport che ha contribuito in maniera determinante a rendere sia popolare che competitivo e che adesso gli chiede aiuto, ancora una volta, per tornare a sorridere.

 


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catenaccio

Di Alessio Ciani

Innamorato della pallavolo da quando sono nato. Fissato con numeri e statistiche. Assicuratore per diletto.