La Serie A, dal punto di vista tecnico, scoppia di salute come non le capitava da diversi anni. Sei squadre in due punti al vertice, proposte di gioco interessanti sparse nelle varie zone della classifica, giocatori che sembrano sul punto di fare il grande salto e di poter ambire a un ruolo importante in nazionale, Retegui e Kean su tutti. Eppure, come ogni anno capita quando si entra nel vivo della stagione, dopo le prime giornate forse troppo vicine all’estate per essere prese davvero sul serio, puntuali arrivano le polemiche arbitrali. Lo sfogo di Antonio Conte dopo il pareggio a San Siro con l’Inter potrebbe essere l’inizio della cagnara a cui siamo abituati. O forse no. Perché, a ben vedere, il tecnico leccese è l’ultimo dei mohicani, attorniato da colleghi che utilizzano una comunicazione decisamente meno tossica.
Dite ad Antonio Conte che il calcio è andato avanti
Sia chiaro, in questi primi mesi di campionato gli arbitri, e il Var, hanno sbagliato. Come sempre è capitato e come sempre capiterà. L’illusione che la tecnologia possa rendere il calcio uno sport esente da sviste è un’utopia, anche se si trasforma magicamente in pretesa quando è la propria squadra a essere penalizzata dal metro di giudizio di chi deve fare rispettare le regole del gioco. Ma il punto non è questo.
Ciò che stona è la strategia comunicativa di Conte, esponente di una scuola di allenatori in grado di compattare il gruppo squadra e l’ambiente grazie anche alle bordate lanciate contro gli arbitri in momenti strategici della stagione. Questo modo di interfacciarsi ai giornalisti (e quindi ai tifosi) sembra sorpassato e stantio. Ne sa qualcosa José Mourinho, giusto per fare un nome un tempo di grido. Il Napoli, fin qui protagonista di un campionato eccellente, è stato a volte incudine e altre martello se si parla di decisioni arbitrali dubbie, basti pensare al rigore a favore nella partita con l’Empoli e quello contro nel big match di Milano. Tutto questo al netto del fatto che, regolamento alla mano, entrambe le decisioni arbitrali (e i relativi non interventi del Var) sono tutt’altro che scandalose. E va ribadito: regolamento alla mano.
Perché se poi Conte e altri allenatori credono di partecipare a una competizione che ha norme non in linea con lo spirito del Gioco, hanno il diritto e il dovere di farlo presente ai propri presidenti, in modo che la Lega Serie A possa agire di conseguenza. Tutto il resto è retorica, forse buona per creare il “noi contro tutti” che ha fatto le fortune di diversi allenatori nei decenni scorsi, soprattutto in Italia, dove ai massimi livelli la cultura sportiva è sempre stata oggettivamente arretrata rispetto ai Paesi che ospitano i top campionati.
Non siamo più ai tempi di Calciopoli
Come successo agli azzurri, anche Fiorentina, Lazio, Inter, Atalanta e Juventus hanno avuto vantaggi e svantaggi. E se è vero che il ritornello secondo cui a fine stagione torti e “favori” si compensano è poco più di una frase fatta, è altrettanto innegabile che gli ultimi campionati sono andati in archivio senza code giudiziarie, come invece era successo ormai quasi 20 anni fa con Calciopoli. Conte però sembra rimasto intrappolato in quel periodo storico fatto di scandali arbitrali che effettivamente falsavano i campionati, ma che per fortuna ci siamo messi alle spalle.
Qualcuno avvisi il mister del Napoli che l’aria fortunatamente è cambiata. E lui magari segua con attenzione le conferenze post partita di Marco Baroni e Raffaele Palladino, colleghi che con i cronisti parlano molto di calcio e poco di falli, rigori ed espulsioni. Al giorno d’oggi si possono ottenere risultati importanti anche utilizzando una comunicazione concentrata sull’essenza del calcio. Lo ha imparato persino Simone Inzaghi, che dopo un inizio di carriera zoppicante davanti ai microfoni, in cui spesso elencava i presunti errori arbitrali, ora è in grado di imbastire discorsi sensati senza ricorrere alla coperta di Linus della lamentela.
Lo sfogo dopo Inter-Napoli: la sceneggiata contiana contro gli arbitri
Analizziamo le parole di Conte ai microfoni di Dazn pochi minuti dopo la fine di Inter – Napoli. Già la premessa dello sfogo è oggettivamente sbagliata. Conte infatti contesta il mancato intervento del Var in occasione del rigore fischiato per l’intervento di Anguissa su Dumfries, cioè mente sapendo di mentire, e lo fa con l’aria stizzita di uno a cui hanno rubato l’auto per la terza volta in un anno. Prosegue dicendo che “al Var quando gli conviene intervengono, quando non gli conviene non intervengono“: è da qui in poi che il suo sfogo si rivela per ciò che è, un deliberato tentativo di avvelenare i pozzi. “Il Var, per correggere gli errori, o c’è o non c’è“, incalza l’ex allenatore dell’Inter, facendo quella che qualcuno in un’altra epoca definì della retorica insopportabile.
L’appello populista di Conte non si ferma nemmeno quando dallo studio Luca Marelli gli fa notare che il Var non è la moviola in campo promossa ai suoi tempi da Aldo Biscardi ed esiste un protocollo (migliorabile? Indubbiamente sì) da seguire in base alle diverse situazioni. A questo punto, mentre Conte assume sempre più il tono di un padre che mette in punizione in figlio che ha preso 4 in matematica, Massimo Ambrosini propone una variazione sul tema chiedendogli se vorrebbe la chiamata dell’instant replay in stile Nba. La domanda non riceve risposta perché, ribadisce Conte, “ma che c’entra, il Var deve chiamare l’arbitro se c’è un errore“.
Il dialogo è impossibile, il one man show prosegue senza sosta, con tanto di “parliamo della partita che è meglio” detto dopo quattro minuti e mezzo di veleno durante i quali, così, come un’iniezione intramuscolo, Antonio versione Masaniello ha buttato lì un “non mi sento sicuro con questo Var, così si creano dietrologie e retropensieri“. E su questo Conte ha pienamente ragione: chi segue il calcio spesso vive anche di teorie del complotto. Peccato che nella maggior parte dei casi siano i protagonisti del giochino, presidenti e allenatori come lui (per fortuna sempre più in minoranza), a buttarla in caciara per solleticare la pancia dei tifosi.
Per concludere un dato statistico: l’intervista dura 370 secondi, Conte ne ha utilizzati appena una sessantina per parlare di cosa è successo in campo nella sfida tra le due squadre al momento più accreditate a vincere lo Scudetto.
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