Albert Gudmundsson e i suoi fratelli: le gemme d’Islanda

Quando si parla d’Islanda, subito pensiamo ai vulcani, alla Blue Lagoon o a Björk. Ma la terra del ghiaccio e del fuoco è da tempo vogliosa di mostrarsi al mondo anche per quanto può offrire in altri ambiti. Quando però non si arriva a 400mila abitanti in tutto il Paese non è facile trovare un modo per far sapere che esisti.

A risolvere questo problema ci pensa lo sport. Il calcio, in particolare, è da sempre uno dei mezzi più immediati che una nazione ha a disposizione per mettersi sulla mappa anche se, in un luogo in cui può nevicare da ottobre a maggio, non è così facile praticarlo con regolarità. Ma ecco che per ovviare a questo “piccolo intoppo” è intervenuta la KSI.

 

La svolta dell’Islanda

No, la KSI non è la sigla di un’agenzia di intelligence internazionale, più semplicemente si tratta della Federazione calcistica islandese, che nel 2002 ha messo a punto un piano per far crescere il movimento. Tre le mosse fondamentali:

  • Costruzione di campi indoor
  • Formazione di coach qualificati
  • Costruzione di piccoli campi vicino alle scuole

Secondo Aron Gunnarson, il capitano dell’Islanda dei miracoli, arrivata ai quarti di finale dell’Europeo 2016 alla prima partecipazione della sua storia alla fase finale di un torneo per nazioni, sono in particolare le ultime due le decisioni che maggiormente hanno aiutato la fioritura del calcio islandese. Infatti, se gli stadi al coperto aiutano sicuramente a praticare lo sport anche d’inverno, non si può ignorare l’importanza di avere dei campetti in cui giocare con gli amici dopo la scuola per aggiungere quelle fondamentali componenti di divertimento e passione che nutrono il Gioco.

 

Il Paese degli allenatori

Ovviamente costruire campi da gioco non basta per produrre calciatori di livello. L’aspetto primario per raggiungere lo scopo è la preparazione degli allenatori e dei formatori che devono prendersi cura dei giovani. In Islanda non esistono allenatori amatoriali, senza una licenza almeno di tipo UEFA B non è possibile svolgere la professione. Si tratta di un passaggio di vitale importanza per capire come un Paese tanto piccolo possa crescere così tanto nella formazione di talenti.

Le parole di capitan Gunnarson risuonano sibilline: i campi indoor sono arrivati dopo, quando i giocatori della sua generazione erano già cresciuti, ma sin da bambino lui e i suoi compagni hanno avuto un’istruzione calcistica di primissimo livello. Tutto ciò favorito da una Federazione che apre i corsi a tutti, a differenza dell’Italia, e anche a costi ridotti. Una misura che ha portato ad avere un allenatore qualificato ogni 500 abitanti. Per capire meglio in che modo in Islanda si sviluppano calciatori, è opportuno guardare da vicino il caso del Breiðablik.

 

Il modello Breiðablik

Innanzitutto, non si tratta di una squadra di Reykjavík, particolare non da poco, dato che quasi metà degli islandesi vive nella capitale. Il club di Kópavogur, cittadina con meno di 40mila abitanti, è stato fondato solo nel 1950, con tutte le difficoltà che questo gap anagrafico comporta.

Oggi la polisportiva del Breiðablik può vantare il primato di club più titolato del calcio femminile islandese, con ben 18 titoli in bacheca, mentre nel 2022 ha vinto il secondo titolo maschile della sua storia. Ma il primato più importante è stato raggiunto in questa stagione grazie alla qualificazione ai gironi di Conference League. Poco importa se non sono arrivate vittorie, nell’era moderna nessun club islandese era mai approdato alla fase finale di una competizione europea. Un traguardo storico da cui ripartire, che certifica la bontà del lavoro svolto a livello giovanile. Infatti, nel percorso verso gli Europei che ha visto l’Islanda cedere solo all’Ucraina nella finale del playoff, sono stati impiegati ben 14 calciatori cresciuti nella squadra di Kópavogur e di questi 7 erano tra i 23 convocati che hanno sfiorato il sogno Germania 2024 nell’ultima partita dei playoff.

Una tradizione iniziata da Gylfi Sigurðsson, il calciatore più famoso e di successo del Paese, oltre che capocannoniere di ogni epoca della Nazionale. Un’abitudine che continua ancora oggi con Jóhann Guðmundsson, l’attuale capitano, che ha potuto esprimere il proprio talento fino in Premier League. A spiegare perché tutto ciò sia possibile in questa piccola squadra ci ha pensato Hákon Sverrisson, responsabile dell’Academy, ai RIG (Reykjavík International Games) del 2023.

 

A livello giovanile, infatti, il Breiðablik non ha rivali in Islanda. Con ben 55 squadre tra U12 e U19 (65% in più del secondo club di questa particolare classifica) è la società che guida il virtuoso movimento nazionale. Iscrivere tante squadre, spiega Hákon, permette di avere più ragazzi che giocano i tornei giovanili di alto livello. Questo non solo migliora il loro sviluppo ma permette ad un maggior numero di giovani di praticare questo sport, dal momento che non esiste una “selezione all’ingresso” e tutti sono ammessi all’avviamento al calcio ed alle strutture del club.

Basta presentarsi, come in tutte le società sportive dell’isola, pagare la quota ed i ragazzi vengono inseriti nel settore giovanile del club, dove a chiunque viene data la possibilità di allenarsi con coach qualificati. D’altronde non si può essere schizzinosi quando in tutto il Paese c’è lo stesso numero di abitanti che ha Bologna. Qui nessuno viene scartato, anzi tra i 6 e i 14 anni i bambini vengono incoraggiati anche a provare altri sport, cosicché, verso i 12-14 anni, possano scegliere con maggiore consapevolezza a quale disciplina dedicarsi.

Negli ultimi due decenni c’è stato anche un notevole incremento del numero di impianti. Oltre ai due stadi, quello principale (Kópavogsvöllur Stadium) e quello indoor (Fífan indoor Stadium), nel centro vi sono anche otto campi in erba e uno in sintetico, che si estendono complessivamente per 2 km. Dall’U14 all’U19 ci si allena, divisi in gruppi da 30 calciatori – fino anche a 80 per i più piccoli – su una metà campo. Questo porta inevitabilmente a sviluppare giocatori molto tecnici e bravi negli spazi stretti. Non a caso vi è una grande produzione di centrocampisti a discapito di attaccanti abili ad attaccare la profondità, un problema comunque ricorrente in questa epoca nel calcio europeo, come si può notare ad esempio anche in Italia e in Germania.

 

Avanguardia e tradizione

Quante volte abbiamo sentito dire che uno dei problemi del calcio giovanile è il comportamento dei genitori? In Islanda hanno capito come tenere buone le famiglie. Infatti le mamme e i papà possono assistere agli allenamenti ma non solo. Per i coach, che sarebbe più giusto chiamare formatori, è fondamentale coinvolgerli spiegando loro le varie esercitazioni e il motivo per cui vengono svolte. Parlare con i genitori aiuta a renderli partecipi della formazione dei bambini, specialmente di quelli più piccoli. Ad esempio, gli istruttori spiegano perché i motivi per cui insistono su esercitazioni 3 contro 2 o 1 contro 1, cosicché i genitori possano comprendere gli allenamenti e la ratio del piano formativo, affiancando i loro figli nella crescita non solo tecnica ma anche psicologica.

Sono proprio gli allenatori delle categorie dai 10 anni in giù a essere ritenuti i più importanti per la crescita dei ragazzi. Specie a livello di Under 6, categoria in cui allena lo stesso Sverrison, non si vuole che i ragazzi passino troppo la palla ma bensì che provino a dribblare e a stare a contatto col pallone il più possibile, sia per sviluppare la tecnica in conduzione che per agevolare la fantasia e il gioco, che a quell’età è fondamentale. Ma il lato tecnico non è l’unico focus preso in considerazione per il funzionamento di un modello virtuoso come quello del club di Kópavogur.

Sebbene al Breiðablik la preparazione dello staff sia ritenuta fondamentale e la metà degli istruttori sia in possesso del patentino UEFA A, anche la tradizione vuole la sua parte. Non è un caso, infatti, che la gran parte di questi siano ex giocatori del club, anche solo a livello giovanile, che vengono instradati già da ragazzi a una carriera da coach, in modo che non solo apprendano ma siano anche in grado di tramandare, come fatto con loro, la cultura della società ed il senso di appartenenza. Una strategia che fornisce ai ragazzi meno talentuosi i mezzi per rimanere nell’ambito dello sport pur senza diventare calciatori.

Lo sviluppo di un calciatore non è uno sprint ma una maratona” (Hákon Sverrisson)

 

Il capostipite della dinastia: Albert Gudmundsson

Nel novero dei calciatori che hanno cambiato la percezione del calcio in Islanda, una menzione speciale non può che averla Albert Guðmundsson. Abbiamo imparato a conoscerlo in Italia ma forse ciò che non sappiamo è la predestinazione che si trascina addosso per via del suo nome e cognome. Infatti, il suo omonimo bisnonno materno, nato nel 1923, è anche il primo calciatore professionista della storia del calcio islandese.

Albert senior, soprannominato la Perla Bianca, è riuscito a toccare questo traguardo nel 1944 con la gloriosa maglia dei Rangers. A 21 anni si era trasferito in Scozia per studiare economia e da lì è iniziata la sua carriera calcistica. Si trasferì all’Arsenal la stagione successiva ma l’apice del successo lo raggiunse in Francia, con la maglia del Racing Club di Parigi. Prima di accasarsi nella capitale transalpina, però, disputò un’annata con il Milan, tracciando anche in questo caso la strada per il pronipote, attorno al quale rimbalzano voci che lo vorrebbero protagonista di un possibile trasferimento a Milano, anche se sponda Inter.

 

Gli studi di economia, tra l’altro, non andarono sprecati per il bisnonno della stella del Genoa: Albert Guðmundsson infatti è stato Ministro delle Finanze prima e Ministro dell’Industria poi, diventando così una figura apicale anche in campo politico oltre che calcistico. In più, il nonno materno del “nostro” Albert è Ingi Björn Albertsson, che ha detenuto il record di gol segnati nel campionato islandese per 25 anni, venendo superato solo nel 2012.

Lo sport è una questione di famiglia in casa Guðmundsson. La mamma, Kristbjörg Helga Ingadóttir è stata calciatrice, mentre papà Guðmundur Benediktsson è diventato un’icona, non tanto e non solo da calciatore e allenatore ma soprattutto da commentatore tecnico per la tv islandese. È infatti lui a essere diventato famoso in tutto il mondo per la gioia incontrollata al fischio finale della partita con l’Inghilterra di Roy Hogdson del 27 giugno 2016 a Nizza. La stessa città che ha dato i natali a Ingi, suo suocero.

 

L’esplosione di Guðmundsson

Albert ha dimostrato sin da subito di avere la testa sulle spalle. È cresciuto nel club più antico d’Islanda, il KR Reykjavík, fondato nel 1899, talmente in anticipo rispetto agli altri che ha dovuto aspettare il 1912 per avere un avversario e poter quindi dare il via al primo campionato islandese, che altro non fu che una finale secca vinta contro il Fram Reykjavík. La terra del ghiaccio e del fuoco però l’ha lasciata già molto giovane, a 16 anni, come da abitudine per i talenti dell’isola. Uno degli approdi preferiti è l’Olanda, nello specifico per Albert si sono aperte le porte dell’Heerenveen. Nonostante l’interesse di grandi club come l’Arsenal, la scelta è ricaduta sul club che secondo lui poteva farlo approdare più in fretta in prima squadra.

Il suo piano subisce una deviazione quando uno dei club più quotati dei Paesi Bassi, il PSV, lo acquista e lo fa debuttare in Eredivisie a 18 anni. In prima squadra gioca una stagione sola, la 2017-18, in cui il club di Eindhoven vince il titolo. Passa poi all’AZ, dove mette in mostra il talento che convince il Genoa ad approfittare, a gennaio 2022, del suo contratto in scadenza per portarlo in Italia per soli 1,2 milioni di euro. Il suo arrivo non evita la retrocessione ma Albert capisce che è il caso di restare, che quella può diventare la sua squadra. Avrà ragione. In Serie B trascina i suoi alla promozione con 11 gol e 5 assist ma è in questa stagione, al ritorno in massima serie, che tutto il mondo si è accorto di lui.

Negli USA li definiscono late bloomer, sono quegli sportivi il cui talento esplode tardi. Albert si è preso il palcoscenico della Serie A, uno dei campionati più importanti a livello europeo, solamente a 26 anni. Non sarà stato in linea con i tempi sempre più rapidi con cui l’industria calcio produce calciatori ma la sua comparsa sulla scena è stata dirompente. Parliamo infatti di una fonte di creazione di calcio che sembra inesauribile.

Con 2,4 passaggi chiave a partita è il migliore del campionato e si posiziona al secondo posto per xA (assist previsti) dietro a Leão, di cui 3 solo da open play, cioè da azione manovrata. Solamente Soulé riesce a creare più occasioni da tiro, il tutto grazie alla sua abilità sia nei calci piazzati – anche diretti verso la porta – che nel dribbling, risultando decimo nella classifica dei calciatori che ne completano di più. E poi segna tanto, anche più di quanto preventivabile, perché quei 12 gol in 29 partite sono figli della quarta overperformance della Lega, dietro a Lautaro, Koopmeiners e Pellegrini. Un dato in cui ovviamente incide la fortuna ma, guardando anche a chi lo precede, sinonimo di un giocatore che sa calciare molto bene e segnare gol più difficili della media.

In sé racchiude tutte le qualità che vengono esaltate dal sistema di formazione islandese. È abile con entrambi i piedi, utilizzando egregiamente anche il sinistro come dimostrato proprio contro l’Ucraina. A ciò si aggiungono le qualità tecniche negli spazi stretti, in conduzione e quelle balistiche, oltre a un’abbondante dose di fantasia. Come molti altri calciatori islandesi, sa districarsi in più ruoli, riuscendo a spaziare lungo tutto l’asse offensivo, sia centralmente che esternamente, condizione essenziale per sfruttare il suo uno contro uno.

La fase offensiva del Genoa dipende totalmente dalle sue invenzioni. E lo stesso ha dimostrato anche in Nazionale nelle ultime uscite, le prime dallo scandalo a sfondo sessuale che lo avevano visto coinvolto in estate e che gli era costato l’esclusione dalla lista dei convocati.

 

I “fratelli” di Albert: Kristian Nökkgi Hlynsson

Ovviamente, il solo Guðmundsson non può bastare per garantire un futuro roseo al calcio islandese. Ma il fantasista del Genoa sembra essere in buona compagnia. La rassegna dei connazionali pronti a prendersi i palcoscenici più prestigiosi non può non cominciare da una delle massime espressioni del settore giovanile migliore dell’isola, ovvero Kristian Nökkgi Hlynsson. Il classe 2004 ha lasciato l’Islanda a soli 15 anni, quando l’Ajax lo ha prelevato dal Breiðablik per portarlo ad Amsterdam. Al De Toekomst, la casa dei talenti dei lancieri, sanno come coltivare i giovani calciatori ma in questo caso è stato facile, perché parliamo di una personificazione perfetta di tutti i concetti che ha descritto Sverrison.

Centrocampista dalle grandi doti tecniche, calcia molto bene sia da fermo che da fuori, si destreggia con entrambi i piedi e si trova a proprio agio negli spazi. L’abilità nello scanning gli permette di orientare spesso lo stop nella direzione giusta e, grazie alla capacità di lettura del gioco, ha fatto intravedere un’ottima predisposizione ad attaccare l’area di rigore. D’altronde è lui stesso ad aver detto davanti alle telecamere della tv dell’Ajax che il gol è meglio dell’assist, perché niente batte la gioia del segnare.

Anche i numeri lo dimostrano, visti i 7 gol e un assist messi a referto nelle 25 partite di Eredivisie giocate fino ad ora. Solo le due punte Brobbey e Akpom, oltre a Bergwijn, hanno siglato più reti di lui. Proprio Akpom è l’unico giocatore in rosa in grado di superarlo in quanto ad overperformance offensiva, avendo segnato quasi 2 gol in più di quelli previsti. Brobbey è invece l’unico ad aver effettuato più tiri in porta dell’islandese, il quale mostra una certa qualità balistica, essendo solo quinto per tiri totali nella rosa.

Come detto, Hlynsson dimostra di calciare bene ma anche di saper andare dentro l’area, dal momento che solo uno dei suoi gol non è arrivato nei 16 metri finali. A dimostrazione di ciò, merita menzione la doppietta all’Utrecht, in particolare il primo gol. Ad Amsterdam hanno capito sin da subito che conviene lasciarlo vicino alla porta, come trequartista del 4-2-3-1 di van’t Schip. Al CT Hareide, santone norvegese della panchina, il compito di non disperdere il suo talento.

 

Hákon Haraldsson

In questo momento, la principale spalla in nazionale di Guðmundsson è Hákon Arnar Haraldsson. Il classe 2003 è l’unico di questa nidiata a giocare in uno dei top 5 campionati europei, oltre ovviamente allo stesso Albert. Il Lille ha speso 15 milioni di euro per prelevarlo dal Copenaghen. E non è un caso che giocasse per i Byens Hold: già da un decennio nella capitale danese hanno imparato a coltivare e amare il talento della terra del ghiaccio e del fuoco grazie a calciatori come Gíslason o Ragnar Sigurðsson, fratello del più famoso Gylfi.

Prelevato a soli 16 anni nell’estate del 2020 dall’IA Akranes, dalla fine della stagione 2021-22 Haraldsson è entrato in pianta stabile in prima squadra, risultando decisivo, con 3 gol in 7 partite, per vincere il titolo. La scorsa annata è stata quella della consacrazione, mentre in Francia quest’anno ha incontrato molte difficoltà, con un solo gol in Ligue 1. Certamente non ha ancora rispettato le aspettative legate al prezzo pagato per lui e al suo talento ma Paulo Fonseca ha espresso più volte di credere nel ragazzo.

L’ex allenatore della Roma lo utilizza come ala sinistra del suo tridente assieme a Zhegrova che parte invece da destra e David al centro dell’attacco. La versatilità però, lo abbiamo capito, è una peculiarità degli islandesi e infatti Haraldsson può spaziare su tutto il fronte offensivo, sia sulla fascia opposta che come trequartista, persino svolgendo egregiamente sia il ruolo del falso nueve che della mezzala, come dimostrato al Copenaghen.

Si tratta di un calciatore estremamente fantasioso, ma soprattutto nevrile. Un giocatore di alto ritmo, con gamba per strappare ma e capace di galleggiare con profitto tra le linee. Un profilo estremamente completo, che vuole chiudere bene la sua prima stagione ad alto livello e darsi lo slancio per la prossima, in cui sarà chiamato a incidere di più in termini realizzativi.

Islanda - Puntero

 

Orri Óskarsson

Se parliamo di prodigi a livello giovanile non si può non nominare Orri Steinn Óskarsson. A soli 13 anni ha giocato la sua prima partita da professionista con la maglia del Grotta, in seconda divisione islandese. Ovviamente il Copenaghen non poteva lasciarselo scappare, anche perché i danesi con il classe 2004 hanno una corsia preferenziale. La sorella di Orri è infatti la fidanzata del Head of Talent Recruitment del club, Mikkel Kohler.

Parliamo di una punta di 186 centimetri per 76 chili, ultimo esempio di attaccante dal fisico da corazziere e piedi buoni che arriva dal nord. Una macchina da gol che ha spodestato Jonas Wind, attuale centravanti del Wolfsburg, dal trono di massimo goleador nella storia della formazione U19 del club biancoblu con 41 gol in 40 partite, a cui ha aggiunto anche 11 assist. In questa stagione è entrato in pianta stabile in prima squadra segnando 8 reti e servendo 7 passaggi vincenti in 31 uscite stagionali. In Nazionale maggiore si è già portato a quota 2 in 8 gare.

Al suo fisico imponente aggiunge ottime doti atletiche, anche se non ha lo strappo letale in campo aperto di un Haaland o di un Gyökeres. Parliamo di un 9 vero, che la fa da padrone in area di rigore e sulle palle alte, ma soprattutto di un calciatore elegante e associativo. Può colpire tanto di destro quanto di sinistro, oltre che ovviamente di testa. Se dovesse mantenere il livello realizzativo che ha avuto a livello giovanile anche tra i grandi, allora l’Islanda avrebbe risolto il problema del centravanti per i prossimi 15 anni.

 

Diamanti grezzi

L’ultimo sguardo lo poggiamo su due ragazzi ancora giovanissimi, uno nato nel 2005 e l’altro nel 2006. Il più “anziano” dei due è Haukur Andri Haraldsson, il fratellino di Hákon. Il Lille non ha voluto farsi scappare anche lui, prelevandolo dall’IA Akranes per soli 50mila euro. Non è un gigante – 170 centimetri, 10 in meno del fratello – ma ha grandi doti atletiche e tecniche. A soli 16 anni giocava nell’U19 del suo Paese. L’estremo versatilità lo rende utilizzabile in tutti i ruoli del centrocampo, anche se è come mezzala che esprime le sue doti migliori da box-to-box. Al momento è una delle stelline della formazione Primavera dei francesi ma Hákon lo aspetta, nel club come in nazionale.

 

Infine Ásgeir Galdur Guðmundsson. Un cognome che evidentemente è garanzia quando si parla di calcio e di Islanda. Soprannominato Magic, è la gemma che il Copenaghen lancerà nei prossimi anni. Cresciuto nel Breiðablik, da cui i danesi lo hanno acquistato per ben 336mila euro quando aveva solo 16 anni, si tratta di un esterno totalmente ambidestro di 186 centimetri che unisce tecnica, potenza ed eleganza. Utilizzato principalmente come ala destra, ama accentrarsi e sa come tagliare alle spalle della difesa. Ha tutto dal punto di vista fisico, atletico e qualitativo per diventare un calciatore importante.

 

 


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Di Alessandro Briglia

Definitemi voi se ci riuscite. Gli indizi per capirmi sono nei miei pezzi. Scrivo ciò che sono, e sono ciò che scrivo.