Perché Pioli non è il vero problema del Milan

Rocco, Capello, Ancelotti. Cos’ha in comune Stefano Pioli con queste tre leggende della panchina? Aver guidato il Milan per almeno cinque stagioni. Il paragone fra i tre immortali e l’ex allenatore tra le altre di Chievo, Modena, Grosseto e Piacenza, è ovviamente impietoso. Altra pasta, altri tempi, tutt’altro talento nel comprendere gli uomini e disporli su un campo in erba. Nel calcio esistono le categorie, siamo tutti d’accordo.

Ora che Pioli è nell’occhio del ciclone per i risultati deludenti della squadra sia in campionato che in Champions, è arrivato il momento di analizzare con freddezza non tanto il suo operato al Milan, quanto i giudizi che negli ultimi anni sono stati espressi da media e tifosi riguardo un mister che ha avuto la grande sfortuna di vincere lo Scudetto.

Provocazione, sì, ma fino ad un certo punto.

 

Un buon allenatore

La carriera parla chiaro: fino al duello vinto con l’inter nella stagione 2021/2022, nessuno in Italia si sarebbe sognato di includere Pioli nella lista dei tecnici più decisivi della Serie A. O meglio, di quelli che ai piani alti del campionato possono davvero spostare qualcosa. Prima di arrivare a Milano sponda rossonera, infatti, l’uomo venuto da Parma era sempre stato considerato un buon allenatore e il suo percorso professionale, per molti versi brillante, lo aveva portato fino a quel livello per cui ti vengono affidate squadre in lotta per qualificarsi alla Champions League.

Mica male, intendiamoci, seppur in un periodo storico in cui la Serie A non è esattamente la competizione più in vista del mondo. In definitiva, superati i 50 anni, il giudizio su Pioli era unanime: bravo sì, ma gli manca quel qualcosa per entrare nel gotha. Non è l’essere umano a cui affidare la gestione tecnica di una società che vuole vincere il campionato e andare in giro per l’Europa a sfidare i più forti.

Dopo l’ottimo lavoro svolto alla Lazio, Pioli era stato chiamato sulla panchina dell’Inter, una situazione in cui aveva messo in mostra pregi e difetti: la squadra proponeva un calcio divertente e per pochi mesi persino vincente, salvo poi inabissarsi in una crisi senza ritorno. Quel quid, quel maledetto quid, l’uomo venuto da Parma non ce l’ha, pensarono molti. Pazienza. C’è chi diventa un professore della tattica, chi invece resta nella storia per essere un motivatore senza pari, pochi eletti addirittura riescono a conciliare i due aspetti e iscriversi nell’albo d’oro dei migliori di sempre. Pioli è altra cosa, lui è un buon allenatore.

 

Stefano al lunapark

L’arrivo al Milan ha segnato per Pioli l’ingresso in un lunapark nel quale ha avuto la possibilità di confrontarsi con un ventaglio di emozioni fino a quel momento sconosciute. All’inizio si è divertito da matti sulle montagne russe delle vittorie alternate ad alcuni ko inspiegabili, poi qualche buon uomo travestito da giornalista gli ha regalato zucchero filato a volontà dopo che il bambino venuto da Parma è riuscito nell’impresa di agguantare la coda della scimmietta posta molto in alto in una giostra che girava velocissima. Ora, purtroppo per lui, il lungo pomeriggio di svago sta volgendo al termine, e a Pioli rimangono in tasca pochi biglietti per gli ultimi giri di giostra a San Siro.

 

Colpevole di cosa?

Ma in fondo, cosa si può rimproverare a Pioli? Forse di aver allungato la sua permanenza al Milan grazie ad una dirigenza che non ha una prospettiva diversa dal comprare e rivendere giovani calciatori che domani potranno diventare fuoriclasse o almeno campioni? Che colpa ne ha Pioli se l’Inter nel momento decisivo della stagione frenò a tal punto da favorirlo in un testa a testa che valeva il primo posto?

Poi ci sono i meriti, che non sono pochi. Dopo una serie infinita di aspiranti allenatori che hanno profanato la panchina del Milan, grazie all’ex mister della Lazio la società rossonera ha finalmente potuto programmare le stagioni in maniera consona, sapendo di poter contare su una guida tecnica affidabile. Oggi qualcuno, accecato dalla rabbia per gli ultimi risultati della squadra, potrebbe far notare che in questo campo Pioli non ha brillato, sfruttando poco e male alcuni presunti colpi di mercato messi a segno dalla dirigenza.

L’obiezione è sicuramente ammessa al dibattimento ma, ancora una volta, va ricordato che Pioli è Pioli, cioè un allenatore che mai nella sua carriera si era ritrovato a gestire una situazione tanto complessa. Sono pochi in Italia gli allenatori con uno spessore tale da sapersi districare, per capacità attuali o per pedigree, tra le faccende extracampo. Pioli non è uno di questi, perché non ne ha la capacità e ancor di più perché nelle sue precedenti esperienze in Serie A non gli era mai stato richiesto.

 

Piedi per terra

Per capirci, l’attuale allenatore del Milan è oggettivamente inferiore a diversi suoi colleghi con cui si ritrova a lottare per i primi posti della classifica. Pioli non è Allegri né Mourinho, due figure spesso dileggiate ma che riguardo determinati ambiti della loro professione potrebbero tenere corsi in cui i Pioli di questo mondo sarebbero ammessi soltanto come studenti. Sarri e persino il buon vecchio Ranieri sono allenatori che nella storia del pallone nostrano avranno un posto ad un tavolo diverso rispetto a quello dove siederà Pioli. Senza parlare dei colleghi più giovani di Pioli che sono in rampa di lancio e che con tutta probabilità lo supereranno per palmares e e non solo (Simone Inzaghi è il primo indiziato ma non il solo).

 

Pioli out

Dopo la sconfitta interna con il Borussia Dortmund, il popolo del #pioliout ha alzato la voce a tal punto che l’ipotesi dell’esonero, sempre che non arrivi una serie di risultati positivi nelle prossime settimane, sta pian piano assumendo contorni realistici. Pioli, ad un certo punto dipinto come una sorta di Guardiola sbocciato in tarda età, ora è il bersaglio preferito di chi ha a cuore le sorti del Milan. Eppure lui non è cambiato di una virgola, è stato e resta un buon allenatore con limiti evidenti, a partire dalla gestione atletica del gruppo, che al momento sta causando il pienone nell’infermeria di Milanello.

 

Attenuanti generiche

L’uomo venuto da Parma non viene più visto come il fine psicologo in grado di eleggere un Ibrahimovic quarantenne a guida spirituale della squadra campione d’Italia, al contrario è preso di mira perché secondo tanti il Milan non ha più un leader da quando lo svedese si è ritirato. C’è poi il capitolo calciomercato con annessi e connessi: in queste settimane Pioli è stato messo in croce dai tifosi che lo accusano per l’incapacità di far performare una squadra che sarebbe piena zeppa di giovani talenti. A questo proposito, sempre tenendo presente che la Serie A di oggi non è competitiva come ai tempi d’oro, al tecnico rossonero andrebbero riconosciute le attenuanti generiche: davvero qualcuno credeva che il Milan sarebbe stato in corsa per lo Scudetto dopo aver venduto Tonali e cambiato metà della rosa?

La storia dice che cambiare così tanto il volto di una squadra non porta quasi mai risultati entusiasmanti, a meno che i nuovi non siano dei fuoriclasse. Dire che con ottimi calciatori quali Pulisic, Loftus-Cheek e Reijnders sia obbligatorio vincere lo Scudetto è un’operazione intellettualmente disonesta. Ma purtroppo per Pioli ormai le chiacchiere stanno a zero e sarà già un mezzo miracolo se concluderà la stagione da allenatore del Milan. Il suo ciclo è finito. Con tutta probabilità a Milano ha toccato l’apice della carriera e sotto sotto, da persona di buonsenso quale si è sempre dimostrata, presto si renderà conto di aver esagerato quando, inebriato dal successo e dai complimenti, ha creduto di essere un grande allenatore.


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Di Vincenzo Corrado

Giornalista professionista, scrittore e altre cose che andavano di moda prima dell'intelligenza artificiale. Nato al mare e cresciuto tra la nebbia: avrei preferito il contrario.