Nba, il pagellone della Eastern Conference – Parte 1

Con la conclusione dell’All Star Weekend, l’NBA ha compiuto il classico giro di boa di metà stagione, con le 30 squadre della lega ormai inquadrate in una classifica ben delineata. Il solco – a parte qualche caso sporadico – è piuttosto netto: chi lotta per il fattore campo ai playoff, chi sgomita anche solo per un posticino al play-in e chi ha mestamente già tirato i remi in barca.

Una situazione che probabilmente non rimarrà così cristallizzata fino al 14 aprile, quando verrà alzata l’ultima palla a due, ma che ci permette comunque di dare delle valutazioni sommarie su quanto accaduto in questi primi quattro mesi. E visto che lo sport preferito di tutti noi è dare voti e sputare giudizi più o meno sensati, quale miglior modo per fotografare questa prima parte di stagione, se non presentare il pagellone delle due Conference? Cominciamo con la Eastern.

 

Atlanta Hawks — 5

Partiamo tutt’altro che con il botto. Gli Hawks al momento hanno un record ben al di sotto del 50% (24-31), con una previsione di 357 vittorie a fine Regular Season. Una stagione mediocre sotto tutti i punti di vista: Atlanta non brilla offensivamente (decimo OffRtg della lega con 117,8) con percentuali al tiro nella media (20esima nei tiri da dentro l’arco, 18esima per conclusioni dalla lunga distanza).

Una situazione che viene perfettamente rispecchiata dal bilancio vittorie e sconfitte: 11-22 contro squadre sopra al 50%, 13-9 contro franchigie con record perdente. Coach Snyder ha riconfermato le idee portate l’anno scorso, con una filosofia basata su un’esecuzione rapida in attacco in modo da sfruttare l’atletismo e la freschezza dei suoi uomini migliori (terzo pace della lega).

Tuttavia il problema rimane la metà campo difensiva, dove gli Hawks fanno acqua da tutte le parti. Il penultimo rating (120 punti per 100 possessi concessi) è solo la punta di un iceberg molto profondo. Atlanta non ha una difesa perimetrale in grado di reggere il più banale dei pick ‘n roll e il solo Capela non è ormai più sufficiente a garantire una protezione del ferro competente. Risultato sono le prestazioni da almanacco del basket delle stelle avversarie che vanno a nozze con questa mancanza di aggressività (ogni riferimento ai 73 punti di Doncic è puramente voluto).

Aggiungiamo all’equazione una delle peggiori difese in transizione della NBA (sotto Atlanta solo Chicago e Dallas) ed ecco spiegato il 5 in pagella. Una squadra che se fosse unicamente per la metà campo offensiva, sarebbe comodamente nella Top 6 della Eastern Conference ma che deve fare i conti con una difesa degna delle migliori squadre in modalità tanking selvaggio.

 

Boston Celtics — 8

Prima parte di stagione solidissima per i ragazzi di coach Mazzulla, già ai nastri di partenza i grandi favoriti per la corsa al titolo della Eastern Conference. Boston non ha tradito le attese, con un ruolino casalingo scintillante (26-3 con i soli passaggi a vuoto contro Nuggets, Lakers e Clippers) e un quintetto titolare con pochi eguali in NBA sui due lati del campo. Holiday, White, Tatum, Brown e Porzingis in campo contemporaneamente possono vantare un NetRating di 12,1 con un attacco perfettamente bilanciato (il solo Tatum raggiunge il 30% di usage) in cui tutti possono fare tutto.

 

La clip è molto esplicativa: avere cinque giocatori in grado di bloccare e allo stesso tempo farsi trovare pronti sugli scarichi per un tiro da 3pt, permette ai Celtics di generare attacchi sempre imprevedibili e pericolosi, grazie anche a letture individuali costantemente sopra la media. In questo senso Derrick White si sta rivelando il vero asso nella manica. L’ex Spurs è cresciuto esponenzialmente, non tanto per quanto riguarda le statistiche (lievemente migliori rispetto all’anno scorso ma nulla di trascendentale), quanto per la presenza sui due lati del campo e la capacità di leggere le situazioni di gioco.

Un quintetto extra lusso, perfetto per condurre a velocità di crociera una Regular Season in testa alla Eastern Conference ma che dovrà trovare un valido supporto da almeno due o tre panchinari quando i giochi si faranno più seri. Boston in deadline non ha fatto movimenti per puntellare il vero tallone d’Achille di questa stagione, vedremo più avanti se rimpiangeranno questo immobilismo.

 

Brooklyn Nets — 5 ½

Stagione mediocre quella dei Nets, nel vero senso della parola. In una Eastern Conference in cui è sempre più difficile trovare la media borghesia, Brooklyn, Chicago e Atlanta potrebbero esserne gli ultimi esponenti (mezzo voto in più per i Nets perché come minimo provano a difendere).

Non ci aspettavamo grandi cose dal roster messo in piedi da Sean Marks, nel migliore dei mondi possibili forse un approdo al play-in senza troppe preoccupazioni. La stagione ha preso una piega abbastanza prevedibile con la solita – stucchevole – telenovela Ben Simmons: ormai non ci caschiamo più caro Ben, dovresti cambiare copione se vuoi che in NBA si torni a parlare di te.

Ai nastri di partenza molti addetti ai lavori attendevano grandi cose da Mikal Bridges, chiamato a spiccare il volo come prima opzione offensiva, con i gradi di stella della squadra, dopo ottime stagione da role player a Phoenix. Il prodotto di Villanova ha parzialmente deluso le aspettative con una stagione piuttosto insipida e incolore con pochi alti, probabilmente affossato dal contesto generale del roster.

In tutto questo ha suscitato più di qualche interrogativo la gestione tecnica e umana di Cam Thomas da parte di coach Vaughn. Non stiamo parlando del giocatore più facile e gestibile della NBA- anzi – però l’alternanza panchina e titolarità di quello che risulta essere probabilmente il talento più puro offensivamente dei Nets ha generato non pochi squilibri.

 

Chicago Bulls — 5 ½

Tocca alla terza e ultima rappresentante del ceto medio della Eastern Conference. I Bulls sono ormai al terzo anno del trio DeRozan, Vucevic, LaVine e visto che, scomodando Agatha Christie, due indizi sono una coincidenza e tre fanno una prova, possiamo dirlo con certezza: l’esperimento è da considerarsi fallito.

Il gruppo guidato da Billy Donovan con discrete ambizioni, ha raggiunto i playoffs solo una volta (eliminati 4-1 senza troppe cerimonie dai Bucks) e non ha mai dato l’idea di poter veramente presentare una candidatura seria per un posto tra le nobili dell’Est.

Chicago entrava in questa stagione vantando una delle difese più solide e competenti della NBA e molti principi dell’anno scorso sono rimasti ben radicati nelle attitudini dei protagonisti in campo. I Bulls sono la squadra che concede meno conclusioni da dentro l’area, un ottimo risultato considerando l’assenza di un vero rim protector in grado di scoraggiare le penetrazioni a canestro. La coperta però è molto corta e una difesa élite in una zona di campo viene pagata a caro prezzo in un’altra (di gran lunga Chicago è la squadra che concede più conclusioni da 3 punti agli avversari).

Per non citare i dati impietosi sulla difesa del pick ‘n roll, dove la presenza di Vucevic e Drummond sta facendo acqua da tutte le parti.

Le fredde statistiche parlano chiaro: i Bulls non hanno minimamente idea di come difendere i rollanti quando coinvolti nel pick ‘n roll.

 

In questo mare di grande anonimato, per una franchigia che se non fosse stato per Michael Jordan sarebbe una delle più tristi e perdenti della storia, l’unica nota veramente lieta è la stagione di Coby White. Ok, perdonatemi per aver messo Jordan e Coby White nella stessa frase, vi do un attimo per riprendere fiato. Il numero 0, oltre che sfoggiare una capigliatura sempre più estrema, ha elevato notevolmente il livello del suo gioco portando la sua media punti a partita da 9 a 19 in una sola stagione, con una solidità al tiro e nella gestione dei ritmi dell’attacco impensabili fino a poco tempo fa.

 

Charlotte Hornets, Detroit Pistons, Washington Wizards —

No, non mi sono dimenticato nella tastiera il voto per le peggiori tre del gruppo e, probabilmente, dell’intera NBA. Dai, veramente vi aspettavate un numero, un voto, un giudizio che andasse a riassumere quanto non fatto vedere fino ad ora?

Mal comune mezzo gaudio, Charlotte, Washington e Detroit sono racchiuse in questa grande bolla destinata prima o poi a scoppiare (non a caso, almeno le prime due sono le principali indiziate per una relocation, ogni volta che ciclicamente il discorso salta fuori). Tre franchigie, tre proprietà con le idee tutt’altro che chiare, incapaci di dare una direzione tecnica – quantomeno nel breve periodo – credibile.

Gli Hornets, con la chiusura del ciclo Kemba Walker, avevano provato l’inversione di rotta con mosse credibili e l’arrivo di Lamelo Ball sembrava aver portato la scintilla in grado di far scattare qualcosa. Il più classico dei fuochi di paglia. Complici anche le controversie penali di Miles Bridges, Charlotte si ritrova con un roster da 13 vittorie in 54 partite giocate, poco funzionale e assemblato male.

Una palude in cui sta muovendo i primi passi Brandon Miller. Il numero 24 sta acquisendo sempre più peso all’interno dell’attacco di Charlotte (usage passato dal 18% delle prime 20 partite al 26% delle ultime 10), con discreti numeri dalla lunga distanza: un solido 40% da 3 punti su 8 tentativi nelle ultime 10 giocate, un campione statistico ancora poco significativo ma comunque incoraggiante.

Il ragazzo sta già mettendo insieme un discreto range di tiro e personalità nel prendere triple dal palleggio in transizione

 

Andando più a Nord, sulle sponde del Lago Erie, la situazione non è tanto migliore, anzi. Detroit è balzata agli onori della cronaca solo ed esclusivamente per il record di sconfitte consecutive (28!) fatte registrare tra ottobre e dicembre. Per il resto buio totale.

I Pistons sono probabilmente la squadra peggio allenata della lega. E pensare che proprio questa estate si sono assicurati per i prossimi sei anni i preziosi servigi di coach Monty Williams con un contratto del quale non ho neanche il coraggio di scrivere le cifre. Poco da aggiungere se non “salvate il soldato Cade”. Ah sì, incoraggiante la stagione di Ausar Thompson che, già al primo anno tra i grandi, si candida come uno dei difensori più competenti dell’intera NBA, pur restando, tuttavia, un’ala che tira il 15% da 3. Ne deve mangiare di pastasciutta, il ragazzo.

 

Chiudiamo la trinità con i Wizards o meglio con Jordan Poole. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Con lui al comando e Kuzma come primo ufficiale del vascello Washington, la situazione non poteva essere che disastrosa.

Ancora adesso, le più brillanti menti applicate al basket stanno cercando di capire cosa passasse nel cervello di Poole quando si è inventato questa giocata

 

Se Charlotte e Detroit, per quanto siano totalmente disfunzionali e depresse, possono cercare un minimo appiglio a cui aggrapparsi per il futuro, i Wizards non hanno niente. Tabula rasa. Né giovani, né attrattiva per un grande free agent, nulla. Sono i più seri candidati a cambiare aria (qualcuno ha detto Vegas?).

 

Cleveland Cavaliers — 9

Dopo questa grande tripletta di negatività, risolleviamo gli umori con una delle squadre più calde dell’intera NBA. I Cavs nel 2024 hanno un ruolino di marcia praticamente immacolato (18 vittorie e 3 sole sconfitte a Toronto, Milwaukee e in casa contro Phila), nonostante i parecchi infortuni.

Coach Bickerstaff sembra aver trovato la quadra a un roster molto talentuoso, ben assemblato ma che inizialmente ha fatto fatica a trovare i giusti equilibri. Cleveland vince la maggior parte delle partite nella metà campo difensiva: attualmente può vantare il secondo miglior defensive rating della lega, dietro solo ai T-Wolves ed il migliore se ci limitiamo al solo 2024, con 105,1. Un dato ancora più impressionante se consideriamo la lunga assenza per infortunio di Evan Mobley, il migliore difensore della squadra.

Con il numero 4 ai box, i comprimari hanno fatto un notevole passo in avanti: Dean Wade non avrà statistiche scintillanti ma risulta un ottimo coltellino svizzero per contrastare i pick ‘n roll avversari e Okoro come primo marcatore del palleggiatore avversario è in grado di assicurare una pressione che rende difficile l’esecuzione degli attacchi più semplici.

In questa azione con blocco centrale, Wade chiude perfettamente la linea di penetrazione a LaVine per poi scattare sul passaggio del numero 8, andando a contrastare Vucevic generando una palla persa.

 

Quella dei Cavs è una difesa estremamente intercambiabile, in cui tutti possono marcare gli avversari dall’1 al 5, lasciando pochissimo spazio a eventuali mismatch. Inoltre, Mitchell da battitore libero e in aiuto è un lusso che poche altre squadre possono vantare. Altro concetto fondamentale è l’estrema mobilità del lato debole: chiunque non sia coinvolto direttamente nell’azione risulta essere una preziosa risorsa per andare eventualmente a ruotare sulla palla. Un lavoro che coinvolge tutti i cinque uomini del quintetto, con grande sforzo collettivo.

L’intercambiabilità del quintetto rende i Cavs una delle difese migliori della NBA

 

In questo sistema è fondamentale la presenza di Jarrett Allen. Il lungo ex Nets non balza agli onori della cronaca per numero di stoppate o percentuali al ferro degli avversari, banalmente perché nessuno vuole invadere il suo spazio vitale. Le guardie ci pensano sempre due volte prima di attaccare dal palleggio l’area di Cleveland o giocare un pick ‘n roll: la presenza del numero 31 è decisamente condizionante.

Per quanto riguarda la metà campo offensiva, i Cavs hanno giovato della più classica addiction by substraction: complice l’infortunio di Garland che ne ha limitato l’utilizzo ad appena 26 partite, Mitchell ha avuto il via libera come principale e spesso unico creatore di gioco. Per l’ex Jazz una stagione da 28,5 punti di media, conditi da 6 assist e 5 rimbalzi, cifre solidissime che però non gli hanno garantito la titolarità all’NBA All Star Game.

La metà campo offensiva dei Cavs è grande, tanto grande. L’idea di base è giocare uno spread pick ‘n roll con tutti i 5 giocatori fuori dall’area, cercando di rendere il più dinamico possibile Mitchell. Le difese avversarie sono costrette a rincorrere e coprire molto spazio, facendo delle scelte nette che quasi sempre si rivelano infelici: il prodotto di Louisville è in un momento di forma splendente e qualsiasi scelta pare sempre quella giusta.

Due clip con Mitchell palleggiatore: lettura perfetta per servire il compagno in angolo e passaggio schiacciato per spezzare il raddoppio

 

I Cavs al momento sembrano una macchina perfetta e ben oliata e anche il rientro di Garland non ha messo sabbia negli ingranaggi. Rientrato in rotazione da 7 partite, la guardia sta giocando in punta di piedi senza pretendere troppi possessi (19% di usage dal suo rientro) né tiri (sono solo 8,4 le conclusioni di media a partita).

 


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Di Lorenzo Bartolucci

Elegante mitomane stregato dalla scientificità del basket. Mi diverto a sputare sentenze su The Homies e Catenaccio, bilanciando perfettamente il mugugno ligure con l'austerità sabauda.