Quello del 2014 è stato un draft decisamente controverso e capace di contrapporre cocenti delusioni ad alcuni tra i giocatori più dominanti di questa epoca della NBA, come Joel Embiid e Nikola Jokić. Il serbo, in particolare, è una delle più grandi steal della storia, scelto a fari spenti e quasi da sconosciuto con la pick n. 41 dai Denver Nuggets mentre in televisione veniva trasmesso uno spot della Taco Bell. In grafica venivano riportati non solo un ruolo diverso ma anche una serie di best player avalaibles ritenuti superiori a Joker e in taluni casi rivelatisi veri e propri carneadi. Da quel giorno, Jokić ha vinto due volte il titolo di MVP della Regular Season e una volta quello delle NBA Finals a suggellare l’anello conquistato da assoluto protagonista nel 2023. Oggi, a distanza di 10 anni, ci lanciamo in questo gioco degno del più classico dei what if: un redraft della classe del 2014 alla luce di quanto dimostrato in questi primi dieci anni di carriera.
1ª scelta – Cleveland Cavaliers
Ai piani altissimi della draft class 2014 non possono che esserci i due lunghi sopra citati, che stanno facendo la storia della NBA moderna e si sono divisi il titolo di MVP della Regular Season nelle scorse tre stagioni. In questa realtà alternativa i Cleveland Cavaliers decidono di selezionare Nikola Jokić, preferendolo a Joel Embiid. Una rivalità che ha fatto molto discutere in questi ultimi anni, due giocatori dal grandissimo impatto sulle loro squadre, con l’europeo più completo nella metà campo offensiva e il nativo camerunense più decisivo in difesa. A risolvere qualsiasi dubbio interviene la salute fisica, un fattore decisamente a favore di Jokić che in carriera sin qui ha giocato 655 partite contro le 428 di Embiid.
Nel corso della carriera in NBA Jokić si è affermato come uno dei migliori cestisti di quest’epoca, per molti addirittura il più forte attualmente in attività . Considerazione che tuttavia non può non tenere conto del contesto tecnico ed ambientale in cui si è formato: selezionato da una squadra già di buon livello e senza particolari pressioni, a Denver è cresciuto fino a diventare il centro focale dell’attacco anche grazie alle straordinarie doti di playmaking e al suo ottimo tocco sia nei pressi del ferro che da fuori (in tre diverse stagioni ha tenuto una percentuale superiore al 38% dall’arco). Negli anni i Nuggets sono cresciuti, creando un organico capace di valorizzarne i pregi e al tempo stesso agire di squadra per compensarne i difetti in termini di mobilità difensiva, aggiustamenti che hanno permesso di alzare il livello complessivo fino a portare a casa il primo anello della storia della franchigia, oltre ai prestigiosi premi personali già menzionati.
E se invece fosse finito ai Cavaliers? L’estate 2014 della franchigia di Cleveland è stata estremamente particolare, con il ritorno del figliol prodigo LeBron James. Tuttavia per convincere il Prescelto i Cavs hanno sacrificato la loro prima scelta, scambiandola con Minnesota per arrivare a Kevin Love, più pronto per l’assalto al titolo sin dal primo giorno e decisivo nel titolo ottenuto dai Cavs nel 2016. Difficilmente il serbo avrebbe fatto parte di questo roster, ritrovandosi a Minneapolis per le stesse ragioni che vi hanno portato Andrew Wiggins. Ma provate a immaginare cosa avrebbero potuto fare LeBron, Irving e Jokić assieme.
2ª scelta – Milwaukee Bucks
La seconda scelta del draft 2014 è nelle mani di Milwaukee, la peggior squadra della stagione precedente con un record di 15-67. Come si intuisce dai risultati, i Bucks sono lontanissimi parenti della squadra attuale ma nel roster annoverano due dei pilastri attorno ai quali sapranno rilanciarsi e perfino portare a casa un anello nel 2021. In primis il 19enne Giannis Antetokounmpo, reduce dalla sua annata da rookie: a fronte di soli 24 minuti di media alla prima stagione in NBA, il greco sembra pronto a prendersi posto in quintetto e conseguentemente maggiori responsabilità nella crescita della franchigia. A fargli compagnia l’amico Khris Middleton, reduce dalla stagione da sophomore, la prima nel Winsconsin dopo essere stato selezionato da Detroit al secondo giro nel 2012. Due giovani promettenti ma ancora acerbi, tanto che al momento del draft il leader tecnico della squadra è il playmaker 22enne Brandon Knight. Un core di giovani che rappresenta la pietra angolare su cui i Bucks intendono costruire il proprio progetto tecnico, anche grazie all’inserimento di un altro ottimo prospetto con la scelta numero 2.
Nella realtà i Bucks hanno scelto Jabari Parker, innamorati della sua grande stagione a Duke ma anche e soprattutto alla luce dei molti dubbi su Embiid: nella stagione a Kansas, il centro di Yaoundé aveva giocato appena 23 minuti a partita per problemi di falli. E sebbene in quei minuti avesse dimostrato di essere dominante, la salute fisica rappresentava un grosso punto di domanda, dal momento che il giovane Joel si era da poco rotto un osso del piede, circostanza che lo avrebbe costretto a restare ai box per tutti i primi due anni di carriera, facendo persino aleggiare il fantasma del ritiro, un po’ come successo a Greg Oden qualche anno prima. Ma anche Parker ha avuto problemi fisici tali da comprometterne sin da subito la carriera ai piani alti, di fatto sancendo il fallimento della strategia dei Bucks.
In questo nostro gioco, quindi, i Milwaukee Bucks scelgono quello che si è rivelato essere il secondo miglior giocatore della classe in questi dieci anni, nonché uno dei migliori centri della era moderna, Joel Embiid, dimostratosi un lungo completo sin dal tardivo debutto ad ottobre 2016. Immaginate cosa sarebbe successo mettendo insieme lui e Antetokounmpo: i Bucks avrebbero potuto godere di una tra le migliori coppie di lunghi mai viste nella storia e, anche se la convivenza non sarebbe stata facile, due talenti del loro calibro avrebbero trovato il modo di gestirla e, probabilmente, di portare più di un titolo nel Wisconsin.
3ª scelta – Philadelphia 76ers
Nell’estate del 2014 i Philadelphia 76ers sono nel pieno del famoso Process ideato dal GM Sam Hinkie. Ceduti tutti i migliori, il livello del roster è estremamente mediocre e reduce da un record di 19-63. Sarà solo la prima di una serie di stagioni in cui vedremo Philly stazionare nei bassifondi della classifica, attirando le prese in giro di molti tifosi e anche le attenzioni dei vertici della lega su una strategia ritenuta lesiva dello spirito di competitività alla base del gioco. Pochissimo talento a roster e speranze riposte esclusivamente nel Rookie of the Year in carica, Michael Carter-Williams, che aveva fatto vedere grandi cose nel suo primo anno in NBA prima di rivelarsi solo un fuoco di paglia. Al suo fianco Nerlens Noel, sesta scelta del draft 2013 che ha saltato interamente il suo anno da rookie a causa di un infortunio.
Se è vero che nei due anni a seguire le cose sarebbero andate perfino peggio, con tanto di terrificante record 10-72 nella stagione 2015-16, il draft 2014 ha rappresentato l’occasione per uscire dal fango e svoltare le sorti della franchigia scegliendo Embiid. Vista la ratio di questo articolo e il fatto che Joel è già stato “scelto”, è inevitabile sottolineare come i Sixers sarebbero destinati ad un peggioramento rispetto a quanto visto in questi dieci anni, trovandosi costretti a virare su Julius Randle. Un’ala grande dal fisico possente che dopo aver fatto fatica ad imporsi ai Lakers è decollata grazie al passaggio ai Pelicans e, soprattutto, ai New York Knicks, sua attuale squadra grazie alla quale si è assicurato il premio di Most Improved Player nel 2021, oltre a tre convocazioni all’All Star Game.
A New York Randle ha dimostrato di poter essere un primo violino in grado di portare la sua squadra ai playoff, sebbene la dimensione attuale della franchigia della Grande Mela derivi dall’innesto di Jalen Brunson, che oggi possiamo ragionevolmente ritenere la prima opzione offensiva. Julius è un attaccante versatile, molto pericoloso al ferro grazie al suo fisico possente ma al tempo stesso in grado di segnare da fuori, fondamentale che ha sviluppato negli anni fino a toccare il 41% da tre punti nel 2020-21. Alla sua capacità di scoring aggiunge anche discrete doti di playmaking, utili a muovere il pallone soprattutto sfruttando la sua gravity vicino al ferro per trovare i compagni liberi sul perimetro. Il grande limite di Randle fino ad oggi è stata l’incapacità di confermare i suoi pregi ai playoff: nel periodo della stagione in cui le difese avversarie si fanno trovare più preparate, Julius non è mai riuscito a giocare in maniera efficiente, abbassando la sua ts% ad una media del 46%. Le difficoltà riscontrate in postseason hanno fatto sì che gli venisse incollata l’etichetta di “perdente”. Ma nonostante ciò è un giocatore che, quantomeno nell’immediato e pur inferiore a Embiid, avrebbe potuto portare diverse vittorie ed aiutare la crescita di Philadelphia, se circondato dai compagni giusti.
4ª scelta – Orlando Magic
Sebbene l’attuale ciclo sembri finalmente portare ad una crescita, gli Orlando Magic vengono da un lungo e faticoso periodo di non competitività . Sono ormai remoti gli anni in cui, trascinati da Dwight Howard, arrivarono addirittura fino alle Finals nel 2009 e solo in queste ultime due stagioni sembra sia stata intrapresa la giusta strada in campo e anche in termini di progetto tecnico. Nel 2014 i Magic sono nel pieno della loro banter era, reduci da una stagione negativa con un poco invidiabile record di 23-59 ma con un buon nucleo di giovani su cui poter scommettere grazie agli anni di tanking che hanno determinato scelte e trade utili in prospettiva futura. A roster ci sono il centro Nikola Vucevic, ormai affermatosi come lungo da doppia doppia di media e pronto a prendere le redini della squadra, la guardia Victor Oladipo, seconda scelta al draft dell’anno precedente, nonché il talentuoso Tobias Harris, che nell’arco di qualche anno diventerà uno scorer piuttosto affidabile.
Al draft 2014 i Magic hanno scelto Aaron Gordon, un profilo apparentemente solido ma che non avrebbe cambiato le sorti dei Magic e che ha dato il meglio di sé solo una volta accasatosi a Denver, oltre che durante lo Slam Dunk Contest del 2016, competizione nella quale però si è piazzato secondo alle spalle proprio di quello che, nel nostro gioco, vedremmo molto bene nel core di Orlando con la quarta scelta, ossia Zach Lavine. Se è vero che il ragazzo si è presentato al draft con un profilo piuttosto simile ad Oladipo, quello di un ottimo atleta con l’esplosività necessaria per fare le proprie fortune al ferro, è altrettanto vero che entrambi si sarebbero poi dimostrati molto fragili, tanto che il loro percorso in Nba è stato funestato dai problemi fisici. Purtroppo per i Magic Oladipo non è mai riuscito a superare del tutto questi infortuni, mentre il prospetto da UCLA è riuscito comunque ad avere una buona carriera e a diventare per due volte All Star.
Lavine negli anni si è rivelato un attaccante estremamente efficace, in grado di segnare su tre livelli e di giocare sia on che off ball, grazie anche al suo 38% di media in carriera da tre punti. La sua abilità realizzativa gli ha permesso di giocare da primo violino e toccare anche i 27 punti di media in quel di Chicago. Tuttavia, come già detto per Randle, anche su di lui aleggiano dubbi circa l’utilità in un contesto vincente. Certo è che a Orlando avrebbe fatto molto comodo e sarebbe stato quello scorer perimetrale che stanno cercando tuttora, tanto che radio mercato riferisce che dalla Florida siano interessati proprio a lui.
5ª scelta – Utah Jazz
Alla numero cinque troviamo gli Utah Jazz, una squadra che, dopo aver perso Al Jefferson, Paul Millsap e Richard Jefferson, è ripartita da un buon nucleo di giovani (gli otto giocatori più utilizzati della stagione successiva al draft hanno meno di 24 anni). Il più “vecchio” di loro è la stella della squadra, Gordon Hayward, fresco di un rinnovo al massimo salariale da 63 milioni in 4 anni. Una cifra considerata eccessiva all’epoca ma che fa quasi sorridere se rapportata ai rinnovi contrattuali della NBA odierna. Al suo fianco i Jazz possono schierare Derrick Favors, reduce dal sostanziale miglioramento nella sua terza stagione tra i professionisti, le guardie Trey Burke e Alec Burks scelte in lottery negli anni precedenti e il centro titolare Enes Kanter, incalzato da un giovane Rudy Gobert pronto a spodestarlo già dalla stagione successiva.
È stata proprio l’ingombrante presenza sotto canestro di Rudy Gobert a condizionare la scelta dei Jazz. Il centro francese ha vinto per tre volte il premio di Defensive Player of the Year e per sei volte è stato selezionato negli All-Defensive Team, affermandosi come uno dei migliori difensori della sua epoca. Già coperti tra i lunghi e ritenendosi ad un buon livello dal punto di vista difensivo, i Jazz hanno puntato su Dante Exum, un talentuoso play australiano la cui carriera è stata funestata dagli infortuni, tanto da essere scambiato oltre cinque anni dopo con un misero bottino di 215 partite giocate. Stanti le peculiarità di Gobert, a distanza di dieci anni possiamo dire che in questa realtà parallela avrebbe senso accoppiarlo con un altro grande difensore come Marcus Smart. Anche quest’ultimo ha vinto un DPOY, nella stagione 2021-22, prima guardia a riuscire nell’impresa dai tempi di Gary Payton nel 1996. Grazie alla sua grandissima forza (190 cm per 99 kg) l’ex Celtics si è affermato come un difensore point of attack micidiale, in grado di mettere in difficoltà qualsiasi guardia avversaria.
Il limite di Smart sono le capacità offensive, ben al di sotto di quelle dei giocatori di cui abbiamo parlato nelle scelte precedenti di questo redraft. In carriera non ha mai superato i 14 punti di media, agendo da comprimario sia a Boston che, da quest’anno, a Memphis. Nonostante ciò Smart-Gobert avrebbe potuto costituire una coppia di difensori pressoché imbattibile sul pick and roll. Con un difensore come Marcus sul perimetro, il centro francese avrebbe incontrato meno difficoltà anche ai playoff e Utah avrebbe potuto ottenere risultati maggiori di quelli effettivamente raccolti in questo decennio.
6ª scelta – Boston Celtics
I Boston Celtics sono una squadra poco abituata ad avere una scelta così alta, stante la grande tradizione che li ha portati a vincere ben 17 titoli, l’ultimo nel 2008 con il trio Garnett-Pierce-Allen. Sei anni dopo, però, nessuno dei Big Three è ancora nel Massachusetts e l’unico reduce dal roster dei campioni è Rajon Rondo, playmaker e veterano principale della squadra, che comunque lascerà nel corso della stagione 2014-15. I Celtics dell’estate 2014 sono una squadra ancora in ricostruzione, i cui leader sono rappresentati, oltre al già citato Rondo, da Jeff Green e Avery Bradley. Ma i veri valori aggiunti sono l’allenatore Brad Stevens e il GM Danny Ainge. I due riescono a costruire un organico che, pur essendo apparentemente mediocre, si rivelerà estremamente solido ed affidabile, tanto da raggiungere i playoff già nel 2015.
Detto che la scelta effettuata al draft 2014 si è rivelata fortunata, con l’approdo di Marcus Smart alla corte di coach Stevens, nella logica qua proposta avrebbe potuto fare molto comodo, con la sesta scelta, un talento cristallino come Andrew Wiggins, un’ala molto atletica e capace di avere impatto su entrambe le metà campo, tanto che nella realtà è stato la prima scelta assoluta dei Cleveland Cavaliers, poi finita ai Timberwolves, dove ha vinto il Rookie of the Year ed è diventato il punto di riferimento della franchigia assieme a Towns. I limiti incontrati in carriera si sono rivelati più mentali che tecnici, dal momento che la scarsa costanza e un carattere non esattamente da leader ne hanno precluso la preventivata crescita. Ciò non gli ha impedito di ritagliarsi un ruolo significativo, addirittura vincendo il titolo nel 2022 come comprimario e terza opzione offensiva agli Warriors. Curiosamente, tuttavia, è stato fondamentale nella vittoria dell’anello soprattutto per l’apporto nella metà campo difensiva in marcatura su Jayson Tatum, stella dei Celtics, avversari di Golden State alle Finals.
Nella nostra realtà alternativa, Wiggins avrebbe probabilmente vissuto questo storico appuntamento come giocatore dei Celtics e, da compagno di squadra di Tatum, avrebbe potuto riscrivere la storia di quella stagione. Perfetto per il sistema di Brad Stevens, oggi staremmo probabilmente parlando di un giocatore diverso se si fosse misurato sin da subito con un contesto più funzionale rispetto a quello trovato a Minneapolis. Alla luce dei progressi mostrati da Tatum e Jaylen Brown a Boston, non è difficile immaginare ad un Wiggins divenuto più volte All Star e in grado di aiutare i Celtics a ritornare al vertice con costanza.
7ª scelta – Los Angeles Lakers
Per uno strano scherzo del destino il draft 2014 pone subito dopo i Boston Celtics l’altra grande dominatrice dell’albo d’oro NBA, i Los Angeles Lakers. Un’annata pessima, chiusa con un record di 27-55, ed una squadra ben lontana dai fasti che avevano portato ai due titoli consecutivi nel 2009 e 2010: gli unici superstiti di quel roster sono Pau Gasol, che in estate avrebbe lasciato L.A. da free agent per unirsi a Derrick Rose e Jimmy Butler a Chicago, e il 36enne Kobe Bryant, reduce dal più grave infortunio della sua carriera, la rottura del tendine d’achille nella partita contro i Golden State Warriors. Con il Black Mamba ormai tormentato dagli acciacchi fisici e nessun compagno a dargli man forte nel tentare di risollevare le sorti della franchigia, i Lakers sembrano una squadra destinata ad un lungo rebuilding. La scelta effettuata nel mondo reale con Julius Randle, pur non rivelatasi funzionale, è stata comunque la miglior possibile.
Dovendo scegliere oggi, con Randle già accasato a Philadelphia con la terza pick, i gialloviola potrebbero rivolgersi ad un giocatore poco pubblicizzato nel 2014 ma di grande potenziale come Jerami Grant. Ala piuttosto acerba al momento del draft, al college si è distinto per un bell’uso del corpo e per caratteristiche idonee a renderlo un difensore versatile ma, al contempo, ha mostrato grossi problemi nella metà campo offensiva, a partire dal tiro perimetrale, alla luce delle solo 20 triple tentate in due anni a Syracuse. Limiti che lo hanno fatto scendere al secondo giro, nel quale proprio i Philadelphia 76ers hanno utilizzato la loro pick n° 39 per assicurarselo.
Dopo aver faticato nei suoi primi anni di NBA, Grant è riuscito ad affermare tutto il suo potenziale a Detroit nel 2020. Oggi ha limato molti dei difetti di dieci anni fa, trasformandosi in un valido riferimento offensivo da oltre 20 punti di media nelle ultime quattro stagioni e riuscendo anche a superare il suo limite più grande, il tiro dall’arco, nel quale ha raggiunto percentuali che si attestano sopra il 40% da due anni. Grazie al suo fisico, inoltre, si è confermato un buon difensore in grado di marcare tre ruoli. I dubbi riguardano i contesti in cui si è confrontato: pur essendo sicuramente interessanti, le statistiche sopra menzionate sono state raccolte in squadre non competitive che stazionano nei bassifondi della classifica, rendendolo un profilo con qualche punto interrogativo per le contender. Tuttavia, per skillset, potrebbe essere un ottimo terzo violino per una squadra ambiziosa come i Lakers.
8ª scelta – Sacramento Kings
Dopo due squadre con un passato glorioso alle spalle, ecco i Sacramento Kings, una delle franchigie meno vincenti della storia alla luce dell’unico titolo conquistato nel lontano 1951 quando si chiamavano ancora Rochester Royals. Nel 2014 i Kings sono una franchigia derelitta, che non riesce a raggiungere la postseason da 7 anni, guidata dall’attuale coach dei Denver Nuggets, Michael Malone, alla prima esperienza in panchina. L’uomo franchigia è DeMarcus Cousins pre-infortunio, un centro in grado di fare praticamente di tutto nella metà campo offensiva ma anche molto discontinuo e poco affidabile mentalmente. Al suo fianco, a proposito di discontinuità , c’è Rudy Gay, in grado di alternare serate da 20 punti a match di totale indolenza.
Con due attaccanti così impattanti, i Kings hanno bisogno di un giocatore dalle ottime skills difensive, un profilo adeguato per poter tornare finalmente a giocare i playoff. Con l’ottava scelta avrebbero quindi potuto aggiungere un ottimo giocatore complementare come Aaron Gordon, che ha trovato la sua dimensione perfetta ai Nuggets proprio accanto a un centro dal grande talento offensivo come Jokić e com’era, appunto, Cousins. Gordon avrebbe rappresentato la soluzione ideale nella propria metà campo, essendo uno dei difensori più versatili della NBA odierna, in grado di marcare il miglior attaccante avversario ogni notte. In termini di produzione offensiva le peculiarità dei compagni più quotati avrebbero contribuito a togliergli responsabilità palla in mano, permettendogli di esaltarsi tagliando a canestro senza palla.
La realtà , invece, ci ha raccontato una storia diversa: con la loro pick, i Kings hanno optato per un altro talento offensivo, nello specifico un tiratore perimetrale come Nik Stauskas. Decisamente non è stato un successo: scambiato dopo un anno, la sua carriera in NBA non è mai decollata, tanto da essere free agent da ormai due stagioni. Al tempo stesso, a Sacramento non si sono visti match di playoff per altri nove anni, fino a quando, la scorsa stagione, è stato finalmente interrotto un digiuno infinito.
9ª scelta – Charlotte Hornets
La scelta numero nove del draft 2014 è maledetta: sarebbe spettata ai Detroit Pistons che tuttavia l’hanno scambiata due anni prima con Charlotte per assicurarsi Corey Maggette, che dal momento del suo approdo nel Michigan avrebbe giocato solamente 18 partite prima di ritirarsi. Una decisione apparentemente molto favorevole agli Hornets, che si ritrovano una scelta in Top 10 in un contesto già discretamente competitivo, stante l’approdo ai playoff del 2014 dopo una serie di stagioni fallimentari. Il cammino in postseason è terminato immediatamente, con un secco 4-0 incassato dai Miami Heat di LeBron James, ma il futuro di Charlotte sembra roseo. La manovra offensiva è guidata da un giovane playmaker in rampa di lancio come il 23enne Kemba Walker, reduce dalla prima esperienza ai playoff con 19,5 punti e 6 assist di media a partita. Il leader tecnico e morale della squadra però è ancora il 29enne Al Jefferson, reduce dalla sua migliore stagione in carriera, valsa l’inserimento nel terzo team All-Nba in carriera.
Al fianco di questi due giocatori la squadra non possiede abbastanza talento per poter ambire a qualcosa di più di un primo turno dei playoff. La scelta potrebbe mettere a disposizione degli Hornets un talento in grado di alzare il ceiling, un profilo come Bogdan Bogdanović. La guardia serba all’epoca giocava ancora in patria con il Partizan Belgrado e sarebbe sbarcata in NBA solo nel 2017. Ma visto che stiamo immaginando uno scenario diverso, non è inverosimile pensare che con una scelta di lottery e la conseguente combinazione di aspettative e stipendio, Bogdan avrebbe potuto portare i suoi talenti negli Stati Uniti sin da subito. Se è vero che il backcourt composto da lui e Kemba sarebbe stato piuttosto vulnerabile difensivamente e che la carriera di Bogdanović non è stata al livello delle premesse, è altrettanto innegabile che l’approdo del serbo avrebbe aiutato in alti modi. Nel corso degli anni si è dimostrato infatti un ottimo giocatore complementare, fornendo playmaking secondario e una grande pericolosità nel tiro da fuori. La sua aggiunta non avrebbe trasformato Charlotte in una squadra vincente ma avrebbe sicuramente aiutato di più rispetto a quanto avvenuto nel mondo reale, dove è stato selezionato Noah Vonleh, un lungo sottoutilizzato, scambiato dopo una sola stagione e che, dopo anni da comparsa NBA, è finito a giocare in Cina.
10ª scelta – Orlando Magic
A chiudere la Top 10 ci sono nuovamente gli Orlando Magic, a seguito di un lungo intreccio di pick: la decima scelta, infatti, arriva da Philadelphia, che a sua volta l’aveva acquisita da New Orleans. In cambio, i Magic hanno sacrificato alcune scelte future e la pick n° 12, acquisita dai Nuggets che a loro volta l’avevano rilevata dai New York Knicks. Già detto del core giovane a disposizione, nel nostro redraft i Magic hanno aggiunto anche Zach Lavine con la quarta scelta, andando a comporre un quintetto quasi completo, con l’unico buco nel ruolo di point guard. Anche nella realtà la franchigia si è mossa in questa direzione ma Elfrid Payton si è rivelato una delusione. Oggi invece consiglieremmo la scelta di Spencer Dinwiddie.
La carriera di Dinwiddie è stata sicuramente migliore rispetto a quella di Payton, sebbene al ragazzo proveniente da Colorado sia sempre mancato qualcosa per poter essere un vero creatore primario. Non abbastanza talentuoso per poter gestire un attacco né abbastanza pericoloso nel tiro da fuori, ma dotato di una buona lunghezza per il ruolo, in una squadra con diversi creatori sul perimetro e con il talento a disposizione di questi Magic avrebbe potuto fare bene, raggiungendo i risultati e la visibilità ottenuti come sesto uomo dei Brooklyn Nets del 2019. Il limite di questa eventuale scelta sarebbe la tenuta del backcourt nella metà campo difensiva, alla luce della presenza di un altro difensore insufficiente come Lavine.
Gli altri
Non solo la Top 10: in questa classe ci sono sicuramente altri giocatori che meritano almeno una menzione. Impossibile non citare Clint Capela e Jusuf Nurkic, due centri ormai da anni titolari in contesti anche competitivi e con impatto nel pitturato, talvolta in difesa, tal altra in attacco. Probabilmente entrambi avrebbero meritato di essere redraftati in Top 10 ma ne sono rimasti esclusi soprattutto per questione di fit per le varie squadre. Andando avanti possiamo trovare anche il Sixth Man of the Year della stagione 2020-21 Jordan Clarkson. Dopo aver giocato nei Lakers e a Cleveland, la guardia sembra aver ormai trovato la sua dimensione nello Utah, dove si è affermato come uno dei migliori scorer in uscita dalla panchina, anche se l’efficienza e l’applicazione difensiva non sono ottimali.
Il draft 2014 ha saputo fornire star sottovalutate, affidabili role player dalla solida carriera NBA, validi tiratori come Joe Harris e Doug McDermott o esterni versatili capaci di avere un impatto su due metà campo come Gary Harris e Kyle Anderson. Ma al tempo stesso anche delusioni come i già citati Dante Exum, Noah Vonleh e Nik Stauskas, grandi promesse rivelatesi semplici giocatori marginali come Dario Šarić e anche storie meno piacevoli, come il declino di Adreian Payne, pick numero 15 del draft 2014, concluso con un tragico omicidio in una sparatoria a maggio 2022. Una serata attesa un anno da tifosi e franchigie, che avrebbe avuto il suo momento più importante durante la pubblicità di una fajita.
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